di Tania Careddu
Diverse quanto a matrice, fattori trasformativi e impatto, le minacce non risparmiano l’Italia: il terrorismo internazionale e la (non) cyber security. Incombente, camaleontico, liquido, organizzato e molecolare il primo è una minaccia emergente anche per il Belpaese. Minacce ubique e insieme geolocalizzate, coadiuvate dall’azzeramento della dimensione spaziale che offre l’ambiente digitale.
Accrescendo gli strumenti a disposizione degli attori mal intenzionati e allungando i tempi di percezione del pericolo, la rete rappresenta lo spazio senza confini per far viaggiare le minacce. Di gruppi mossi da precisi disegni ideologici, ispirati al più cieco fondamentalismo, che impongono, con violenza, le loro istanze politiche.
Oltre alle minacce direttamente promanate dalle organizzazioni terroristiche, fa tremare la pulviscolare formula basata sul jihad individuale, quella dei lupi solitari e delle microcellule o che operano in chiave emulativa. Per non parlare del fenomeno del foreign fighters che, anche in Italia, è risultato in costante crescita: reclutamento di elementi giovanissimi, con tempi di radicalizzazione molto stretti, e all’insaputa dei familiari. Senza dimenticare che il jihadismo dà prova, appunto, di un elevatissimo grado di affinità con i tratti materiali della modernità.
La minaccia cibernetica è la “nuova frontiera”: sebbene a oggi non si abbia evidenza di azioni terroristiche finalizzate a distruggere o a sabotare infrastrutture ITC di rilevanza strategica, non possono trascurarsi la campagna di ricerca on line effettuata da hacker mercenari per sostenere le operazioni delle organizzazioni terroristiche e la recente casistica di attacchi informatici ai danni di soggetti pubblici o privati.
L’Italia appare sempre più esposta perché target potenzialmente privilegiato sotto il profilo politico, simbolico e religioso (anche in relazione al Giubileo) e perché terreno di coltura di nuove generazioni di aspiranti mujahidin (che vivono nel mito del ritorno al Califfato). E pure per trovarsi in quella naturale sfida territoriale che è il Mediterraneo, uno dei teatri geostrategici più complicati e più delicati per la sicurezza del pianeta. Basti considerare che, il 2015, è stato caratterizzato da una forte escalation dei flussi - quasi un milione di migranti in fuga da guerre e povertà - non ultimi quelli provenienti dall’instabilità libica (circa il 90 per cento dei clandestini giunti via mare).Per l’intelligence italiana, nella “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, si può pensare a una - ancorché non sistematica - contaminazione tra immigrazione clandestina e terrorismo. E si è assistito alla proliferazione di gruppi criminali etnici specializzati sia nella falsificazione delle documentazioni che nel fornire assistenza ai migranti per il trasferimento nei Centri di accoglienza.
In questo quadro, particolare rilievo va prestato sia alla diffusione del radicalismo islamico nei Balcani sia ai ‘network somali’ per la gestione delle fasi dei flussi in uscita dal Corno d’Africa verso i Paesi europei, in termini di business, con il rischio ulteriore che possano fornire supporto logistico agli spostamenti di militanti jihadisti nell’area Schengen.