di Tania Careddu
E’ emergenza. E rischia di diventare cronica. Fra provvedimenti in ordine sparso e misure addirittura controproducenti, l’inquinamento, nelle città italiane, dilaga. Polveri sottili - PM10 - minacciano brutalmente quarantotto su novanta città monitorate, con Frosinone in testa, seguita da Pavia, Vicenza, Milano e Torino, le quali hanno superato i trentacinque giorni permessi dalla legge. Polveri ancora più fini - PM2,5 - attaccano Monza, Milano e Cremona, che hanno oltrepassato i venticinque microgrammi per metrocubo.
Per non parlare, poi, di altri inquinanti atmosferici tipici degli ambienti urbani - ossidi di azoto e ozono troposferico - meno immediati nel determinare il superamento dei limiti consentiti, ma che, a lungo termine, mostrano criticità sostanziali: Genova e Rimini in testa, con Bologna, Mantova e Siracusa a seguire.
Qualche numero: nel 2012, l’Italia ha registrato il primato legato alle morti per PM2,5, circa cinquantanove mila casi, e, nel 2010, i costi collegati alla salute derivanti dall’inquinamento dell’aria si stimano tra i quarantasette e i centoquarantadue miliardi; confrontando il periodo dal 2009 al 2015 emerge che nei sette anni considerati, le città coinvolte siano prevalentemente sempre le stesse, ventisette città lo sono sistematicamente.
A farne le spese è soprattutto il Nord Italia ma è solo conoscendo profondamente l’origine dell’inquinamento atmosferico e le principali fonti che contribuiscono alla sua formazione che è possibile prospettare interventi adeguati. Traffico, industria, riscaldamento, agricoltura, responsabili delle emissioni di PM2,5 e di PM10, devono essere associati a fonti di inquinamento di origine secondaria, da non sottovalutare, ossia quelle che non lo generano per via diretta ma in seguito a reazioni chimiche tra le sostanze già presenti in atmosfera.
Un mix responsabile di patologie cardiovascolari e polmonari e a causa del quale ogni persona residente in Italia perde più di nove mesi di vita - quattordici mesi al Nord, sei mesi e mezzo al Centro, più di cinque mesi al Sud e alle Isole - e quelli che vivono nei centri urbani rinunciano a un anno e cinque mesi di vita. Polveri che non si vedono ma che, a lungo andare, si fanno sentire.Tanto quanto l’inquinamento acustico: nel 2014, i cittadini dei capoluoghi hanno presentato quasi duemila esposti (undici ogni centomila abitanti) e, secondo una stima internazionale, riportata da Legambiente nel dossier Mal’aria, l’Italia è seconda solo agli Stati Uniti, con Napoli al terzo posto dopo New York e Los Angeles.
Non solo fastidioso, il rumore contribuisce ad almeno diecimila casi di morti premature, ogni anno, dovute a coronaropatia e ictus e disturbi del sonno di otto milioni di individui, oltre a essere fisicamente stancante e alterare le funzioni degli organi. Il 90 per cento di questi effetti deriva dal traffico, sono quasi sei milioni i cittadini italiani esposti al rumore del traffico a livelli inaccettabili e quasi cinque milioni quelli disturbati durante la notte.
Chissà se utilizzando pneumatici silenziosi, come previsto dal regolamento del Parlamento europeo, in vigore da aprile prossimo, l’Italia diventerà più silenziosa.