Oggi le donne scendono in piazza a Milano per difendere la legge 194.
A sfilare dalla Stazione Centrale fino a piazza del Duomo, si rivedranno i volti
ammorbiditi dagli anni di tante "pasionarie" che negli anni '70 questa
legge l'hanno fortemente voluta e duramente conquistata. Al loro fianco, forse,
ci saranno figlie e nipoti, più avvezze di loro, oggi, a giocare con
la vita senza sentirsi addosso il fardello delle inattese - e a volte sgradite
- conseguenze dell'amore. Ma si vedranno senz'altro anche le donne immigrate,
quelle che in questi anni hanno fatto maggiore ricorso alla legge e che, anche
se non hanno affrontato il passo serenamente, senza dubbio sono state contente
di aver comunque potuto operare una scelta. Sono condizioni diverse da allora quelle che portano in piazza oggi le donne.
Negli anni '70 c'era un'emergenza in atto che l'ipocrisia cattolica costringeva
a rimuovere ed i tribunali declinavano solo come reato penale. Ma l'ecatombe
era sotto gli occhi di tutti e per quanto fosse imbarazzante pronunciare apertamente
la parola "aborto", per uno Stato che non è mai stato veramente
laico, bisognava comunque porre un freno allo strazio di pozioni di prezzemolo
bevute bollenti che procuravano solo blocchi renali; lunghi tavoli da cucina
attorno ai quali si muovevano agevolmente le "mammane", giovani ricoverate
d'urgenza con un ferro da calza conficcato nell'utero per porre fine, in vergognosa
solitudine, a una gravidanza indesiderata.
Clandestinità, morte, infezioni, disperazione, solitudine. Quando la
legge 194 fu approvata, si era finalmente fatto spazio il principio per cui
abortire non era una libertà concessa alle donne, ma una tragica necessità:
comunque la rappresentazione giuridica del diritto civile di scegliere. Tuttavia
il mondo cattolico (ma non solo quello) la 194 non l'ha mai digerita e non rinuncia
ancora a ribadire che la donna conta solo nel suo ruolo di madre; dunque la
scelta drammatica e la sofferenza della rinuncia a un figlio non possono che
essere qualcosa da condannare senza appello.
Si era pensato, comunque, che con l'approvazione della legge lentamente anche
la società avrebbe cominciato a modellarsi sulla base di questa nuova
conquista di civiltà, accettando di fatto che la scelta delle donne di
essere o meno madri dipendesse solo da loro, con il rispetto e la solidarietà
che si conviene a quelle invece costrette a una scelta che segna il resto dell'esistenza
e provoca talvolta rimpianti e rimorsi. Invece no.
Il lento e inesorabile fiume carsico della pressione psicologica esercitata
dalle alte gerarchie cattoliche e trasposto in politica da chi, nel centrodestra,
non è certo sensibile alla vita, ma mira ai voti dell'elettorato parrocchiale,
sta tentando di rimettere in discussione la legge sull'aborto. Non lo dicono
con chiarezza, mistificano le intenzioni reali attraverso inutili commissioni
d'inchiesta sull'applicazione della 194 mettendo in mora, di fatto, il lavoro
dei consultori dove si auspica, addirittura, l'arrivo dei volontari "per
il diritto alla vita", per dissuadere le donne e richiamarle a quello che
è il loro unico e reale dovere: essere madre. Comunque, a qualunque costo.
L'attivismo degli anti-abortisti sta crescendo di pari passo con i progressi
della scienza, che già ha fatto il "danno" di andar contro
il dettato biblico del famoso "donna partorirai con dolore", consentendo
invece, più o meno a tutte, di godere appieno la nascita del proprio
bambino con un'anestesia epidurale. Adesso poi, con la Ru 486, la mefistofelica
scienza dimostra addirittura che si può abortire senza rischi, senza
danni. Senza ricordi, ma mai senza rimorsi.
Eppure ci si sente dire - e proprio da chi dovrebbe, come il Papa, essere il
testimone vivente di cosa significano le parole compassione, misericordia e
perdono - che una risorsa della scienza, come la Ru 486, che mette le donne
sempre a minori rischi di complicazioni e di danni, è da leggere, in
realtà, come un qualcosa che "banalizza il dramma della scelta contro
la vita". Oscurantismo medioevale.
Le donne che saranno oggi in corteo a Milano lo faranno anche per rispondere
a questo insulto, che sembra nascondere anche ad una paura diversa: quella di
assegnare alle donne il diritto di parola e di scelta sui loro corpi. Quella
che un'eccessiva libertà al femminile possa minare le fondamenta del
modello cattolico di società, basata sulla famiglia e su una preistorica
distinzione dei ruoli tra maschio e femmina. Senza contare poi il richiamo al
"peccato mortale", che funziona sempre con chi vive nel timor di dio,
ma scuote comunque anche le coscienze dei laici più solidi.
La 194, insomma, sta correndo un grosso rischio, quello di essere radicalmente
cambiata con la solita scusa del miglioramento per metterla "al passo con
i tempi". A ben guardare non è poi cambiato molto dagli anni '70,
perchè sembra tornato di gran moda il clima d'allora fatto di caccia
alle streghe, di proliferare di volantini davanti alle chiese, con foto di feti
abortiti e fatti a pezzi e la colpevolizzazione del sesso come piacere. Soprattutto
per le donne, notoriamente destinate al dolore.
Ma, come 30 anni fa, le donne non hanno alcuna intenzione di essere messe sotto
tutela, non vogliono essere insidiosamente pressate a non scegliere e fustigate
se invece lo fanno; vogliono amare ed essere amate senza sentirsi in colpa o
provare vergogna, vogliono ribadire il concetto che essere madri è una
cosa meravigliosa e che non esserlo costa parecchio, ma è pur sempre
una scelta che nessuno si dovrà mai sentire in dovere di prendere al
proprio posto.
Le donne vogliono scegliere. Per questo oggi scendiamo in piazza.
E saremo certamente in tante.