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di Rosa Ana De Santis

Potrebbe funzionare molto bene come titolo di un classico filmetto erotico degli anni 80 e non saremmo in ogni caso troppo lontani dalla realtà. Si tratta invece dell’ultimo siparietto dei doppi sensi sdoganato dal barzellettiere Berlusconi che torna a candidarsi, non nascondendo che il lupo del pelo e del vizio è orgogliosamente sempre lo stesso. Non stupisce quindi che nel bel mezzo di una campagna elettorale delicatissima per le sorti del Paese, in una convention a Mirano al cospetto di una nutrita platea, Berlusconi abbia ingaggiato uno scambio di doppi sensi sul numero di orgasmi di una impiegata della Green Power, per concludere in bellezza con una richiesta di guardarle il fondoschiena e prometterle di lasciarle il suo numero di cellulare.

Si sa, queste cose agli italiani piacciono cosi tanto che nonostante le macerie di 17 anni di governi Berlusconi, sono già disposti a sostenerlo sulle promesse dell’Imu e su queste simpatiche goliardate che lo rendono, nel segreto della prima mattina davanti allo specchio di casa, un esempio per i maschietti del Belpaese. Almeno sui peggiori, quelli che lo votano perché lo invidiano.

Ma il dato sconfortante è lei: questa giovane donna che regge il gioco delle battute, che invece di reagire fermamente si volta mostrando il curriculum del sedere, che sghignazza piena di orgoglio e finto imbarazzo giulivo per aver avuto le attenzioni del ricco, vecchio feudatario del castello. Non c’è imbarazzo, rifiuto, c’è l’accoglienza del piano squallido delle battutine penose degne di Alvaro Vitali, il vero nume tutelare del piccoletto di Arcore.

La signora asseconda divertita, nella speranza che le attenzioni del vegliardo zeppo di soldi e potere possano rappresentare la sua grande occasione. Deve aver pensato che l’occasione non poteva essere sciupata per diventare finalmente candidabile anche lei per il gineceo, virtuale o reale che sia, dell’Olgettina. E’ lei infatti che non interrompe l’offensivo assedio da cliente di bordello, che non taglia corto, che non va oltre; è lei che ci dice che il problema dell’emancipazione mancata delle donne italiane è un tema che riguarda le donne e non tanto o non più tanto gli uomini.

Le piazze di “Se non ora quando?” sembrano diventate così vuote e inutili quando una giovane donna in una veste pubblica e professionale, non nel letto di casa sua quindi, non si offende, ma anzi si lusinga di esser trattata pubblicamente nemmeno come un corpo, ma come una mercanzia addetta agli sfizi sessuali. Di Berlusconi ovviamente, non dell’ultimo operario edile a busta paga che al suo posto  avrebbe ricevuto un ceffone e sarebbe stato accusato già, per storielle simili a quelle del premier, di essere un maniaco sessuale seriale.

L’obiettivo quindi di una nuova stagione di cultura di genere o del più storico femminismo dei diritti è riempire le piazze per le donne e non solo contro il Cavaliere. Per quelle che, come questa ragazza, non colgono più la gravità dell’offesa e la penalizzazione sul piano della dignità  e dell’autonomia che si patisce argomentando il sesso e il corpo non più nel contesto della scelta privata delle emozioni e del piacere, ma in quello del compenso, del lavoro, della misura esclusiva del proprio valore su piazza. E’ la storia più vecchia del mondo, dirà la vulgata del bar, non certo quella del più noto circolo culturale, quella delle donne che si concedono per carriera.

Va detto per amore di verità linguistica ormai sempre più incline alla mistificazione dei termini, che si tratta di un comportamento che in un altro clima storico, per bigottismo forse più che per reale consapevolezza, veniva considerato, giustamente, qualcosa di cui non andar fiere, una specie di salvagente per quante, belle e oche, non possedessero altri talenti. E’ su questo punto invece che c’è un dato nuovo che ha ormai alimentato una seconda stagione di feroce maschilismo, feroce perché all’apparenza sconfitto. Maschilismo perché il fraintendimento è sul significato dell’emancipazione.

A concedersi per il ricco feudatario o a desiderare di farlo come fosse titolo di merito sono un po’ tutte, anche quelle con la laurea in tasca. A non avere vergogna di dirlo sono troppe, nemmeno davanti alle telecamere o peggio ancora ai propri genitori. A crescere con questo sogno televisivo nel diario segreto sono molte figlie italiane, magari ben istruite, di buona famiglia come si usa dire.

Bisogna quindi trovare il coraggio di riconoscere, con buon mea culpa del femminismo, che lo fanno perché credono di essere emancipate, libere nei costumi, disinibite, furbe e con gli stessi diritti degli uomini. Perché la libertà sessuale è stata spesso l’unico viatico per parlare di libertà con la “L” maiuscola e di autonomia. Forse troppo.

Le donne emancipate vere sono costrette nel proprio luogo di lavoro ad indossare i pantaloni e a coprire le curve della propria bellezza per essere considerate brave e valenti come i colleghi maschi, salvo poi esser pagate meno per lavorare di più. Le più belle e magari anche più preparate giocano a volte la carta del sesso sapendo di poter avere tutto a partire da questa, quando dall’altra parte c’è uno come Berlusconi.

Bisogna partire dalle donne, magari dalle figlie e magari dovranno interrogarsi le madri di questa generazione schiacciata dal mago del consenso Mediaset. L’incognita è come un fenomeno televisivo abbia potuto svuotare così tanto la tradizione del femminismo fino a renderlo estraneo alle nuove generazioni nei suoi valori fondativi. Forse perché si sono sbagliati gli interlocutori e gli obiettivi.

L’episodio da barzelletta erotica dell’impenitente premier della giarrettiera è un bollino di garanzia sulle manie del Cavaliere che rimangono le stesse, ed è purtroppo un altro pezzetto di squallore che monta non tanto sugli esiti delle prossime elezioni, né su quanto gli italiani abbiano capito, piuttosto su cosa siano diventati. O sempre stati.