di Rosa Ana De Santis
La storia di Gilberto, malato terminale, è il primo video spot a favore della campagna pro-eutanasia, promossa dall’Associazione Luca Coscioni che insieme ad Exit ha avanzato una proposta di legge su iniziativa popolare per il rifiuto di trattamenti sanitari e la liceità dell’eutanasia. In attesa che parta la raccolta di firme era stato lanciato l’appello “malati terminali cercasi” e Gilberto, 53 anni e un cancro al fegato avanzato, ha risposto con la sua toccante testimonianza.
Tre minuti online sul sito www.eutanasialegale.it per raccontare un calvario medico, un trapianto e i cicli di chemio che avevano restituito speranza e poi la recidiva senza più scampo. In una frase c’è tutto il significato di questa battaglia culturale “Voglio morire da vivo”, dice Gilberto. Non vuole che la malattia arrivi a privarlo della sua coscienza e di quel po’ di autonomia che gli rimane.
In poche parole tirate fuori a fatica viene scalzato via ogni pregiudizio comune su chi chiede per se stesso e per chiunque lo desiderasse l’eutanasia. Chi ne chiede il riconoscimento giuridico ama la vita, come gli altri e forse di più, é stato quasi sicuramente un malato che ha combattuto strenuamente per guarire. E’ qualcuno che, come Gilberto, non vuole perdere umanità nel pensiero e nelle azioni: “Non voglio che la malattia mi prenda il cervello” dice alle telecamere.
Morire quando si è già morti è una crudeltà che oggi viene inflitta per legge a tutti, anche a chi ha un‘idea diversa dell’esistenza. Perché il tema è proprio questo. Il biasimo per i tanti che come Gilberto chiedono di morire con dignità nasce dall’assunto della indisponibilità del proprio corpo e della vita.
Un’idea che ne nasconde un’altra, magari a tanti cittadini non chiara, a causa di una scarsa attitudine italiana a ragionare sull’esistenza a partite dall‘IO e non dal Papa. Una lettura del tutto religiosa, che vede la vita umana non come un evento singolo, ma come un fatto di creazione che trova in Dio l’unico legislatore dell’esistenza.
Eppure la nostra legge già su altri fronti, se pur con numerose insidie, è contravvenuta a questa filosofia religiosa in favore del primato delle libertà civili, consentendo, ad esempio, il diritto all’interruzione di gravidanza che la stessa impostazione cristiano-cattolica non può prevedere in alcun caso.
Bisognerà quindi che prima o poi l’impostazione culturale che è dietro al diritto e le istanze che provengono dalla società siano recepite secondo un codice univoco. O sempre cattolici, o sempre laici. E la scelta non può non prevedere la facoltà di scelta per il cittadino che può orientarsi a seconda del suo convincimento.
Bisognerà che ci si renda conto che oggi, grazie alle nuove frontiere della scienza medica, non si muore più come si moriva venti anna fa e che, esattamente come si può concepire un figlio per via artificiale, si può rimanere intrappolati in una morte artificiale. Come quella di Eluana, la bambola addormentata, come quella che attende Gilberto quando sarà obbligato a rimanere a letto, senza autosufficienza né coscienza, addormentato dall’incremento della morfina per i dolori.
Non è forse anche questa, a voler essere rigorosi e coerenti, una piccola eutanasia concessa in extremis a chi sta morendo? I pazienti oncologici muoiono spesso per la morfina. Si è quindi disposti a tollerare quanto già accade nel silenzio dei drammi privati, per evitare sofferenze fisiche e dolore, ma non si è disposti a concedere nulla alla scelta di libertà cui ogni individuo ha diritto.
A chi rifiuta l’eutanasia, temendo reazioni a catena nel tempo di discriminazione e rifiuto per quanti patiscono condizioni estreme di vita - come i malati terminali che vogliono comunque rimanere aggrappati a questa forma di esistenza o ai disabili gravi - dovrà rendersi conto che da parte del potere questa non accettazione esiste già; la si trova nel rifiuto di operare in tante forme di disagio sociale, ogni volta in cui il sistema del welfare abbandona queste persone. Ogni volta in cui azzera risorse o conta al ribasso i malati di SLA, ad esempio.
E’ questa la morte ingiusta che si infligge a chi vuole sopravvivere ad ogni costo. Mentre è quella scelta in autonomia e libertà che viene negata in nome di un atto di fede, storico e dogmatico, che è di pochi e non di tutti e che nulla ha a che vedere con la spiritualità di ognuno. Scegliere di morire è un modo di scegliere come vivere, e chi non riesce a vederlo è pericolosamente abituato a pensare che gli uomini siano tali a prescindere dalla libertà.