di Mario Braconi
Fino allo scorso 6 marzo l’hacker che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Sabu (@anonymouSabu su Tweeter) è stato probabilmente il rappresentante più mediaticamente visibile del movimento di ispirazione anarchica Anonymous, di certo il più chiacchierone. Purtroppo dall’estate del 2011 Sabu aveva cambiato bandiera: come racconta in esclusiva Fox News, il 7 giugno dello scorso anno alcuni agenti FBI, con tanto di giubbotto antiproiettile, hanno fatto irruzione nell’abitazione di Hector Xavier Monsegur (questo il vero nome di Sabu), un appartamento in un condominio di case popolari di Lower East Side a New York.
Anche se i federali fino a quel giorno non erano riusciti a determinarne la vera identità, Sabu era nel mirino dei federali da un bel po’ di tempo, in quanto hacker non troppo etico: Fox riferisce come il suo profilo di Facebook fosse stato già posto sotto sequestro perché presumibilmente impiegato come piattaforma di scambio di numeri di carte di credito rubate.
Le informazioni che è stato possibile ricostruire sul personaggio contribuiscono a disegnare un identikit diverso dell’hacer altoborghese caucasico che nel garage della sua villetta in un quartiere residenziale si dedica al crimine informatico per combattere la noia. Hector Xavier è un portoricano che viene dalla strada con una famiglia disastrata: secondo un vecchio articolo pescato da Gizmodo da un New York Times del 2007, i suoi genitori sarebbero stati arrestati per spaccio di eroina, accusa che procurò loro una condanna a sette anni ciascuno. Hector Xavier si riferisce alle persone di colore chiamandoli scherzosamente “niggas” ama l’hip-hop e i motori: grazie alla sua capacità di intrufolarsi nei siti di commercio online ruba pezzi di ricambio di auto per un totale di oltre tremila dollari.
Secondo la Fox, la sua abilità alla tastiera del computer gli procura un posto di lavoro presso LimeWire, la società che ha realizzato l’omonimo client peer-to-peer, ridotto sul lastrico da una causa milionaria intentantagli dalla casa discografica Arista per violazione del diritto d’autore. Secondo altre fonti Hector Xavier avrebbe lavorato per breve tempo alla OpenPlans, una startup informatica di New York. In ogni caso, trovatosi a spasso dopo il fallimento di LimeWire, Hector Xavier non riesce (o non vuole?) trovarsi un altro lavoro e, a quanto ci raccontano, viene totalmente assorbito dalla sua passione politica anticapitalista ed anarcoide.
Ed è a questo punto che nasce Sabu, nome di battaglia preso in prestito da un wrestler americano che tra gli anni 70 e 80 dello scorso secolo si fingeva di origine saudita per eccitare folle di spettatori americani sciovinisti. Tutto procede per il meglio, perché Hector Xavier diviene rapidamente un personaggio in vista prima di Lulzec (“sicurezza da ridere”) e poi di Anonymous: non è chiaro quale sia stato il suo effettivo contributo, ma la vulgata vuole che Sabu abbia avuto un ruolo nei vari attacchi che si sono succeduti nel corso dei mesi contro Sony, PBS, Mastercard, PayPal, HBGary e Visa.
Fino a quando qualcuno, quel maledetto 7 giugno 2011, lo “doxa”: in gergo, pubblica online tutti i suoi dettagli personali. Secondo la ricostruzione ufficiale, davvero poco credibile, Sabu si sarebbe tradito a causa di un’unica fatale distrazione: sarebbe entrato in una chatroom IRC senza proteggere il suo IP. Un errore talmente macroscopico che risulta francamente poco probabile che vi sia incappato un (presunto) genio del crimine informatico come Monsegur. Più o meno come se un latitante cominciasse a passeggiare ostentatamente tutto nudo davanti ad un commissariato di polizia.
In ogni caso, pochi secondi di esposizione pubblica sono sufficienti a rovinare la vita dell’ex ufficialmente imprendibile Sabu, che nel giro di qualche ora si trova i Federali alla porta. Cerca di negare, ma anche un “duro” come lui ha un punto debole: i due bambini di cui ha la custodia. I poliziotti gli fanno un discorsetto che suona più o meno così: “Se li vuoi rivedere, devi collaborare con noi”. Ed è così che nasce la seconda fase della carriera di Monsegur: da Sabu il rivoluzionario, l’hacker etico, a Sabu il traditore. Più o meno da giugno 2011 in poi, tutte le azioni progettate, effettuate e comunicate al pubblico da Sabu sono state condotte dietro la regia del FBI. E’ particolarmente interessante il caso del clamoroso furto di dati perpetrato ad ottobre del 2011 da membri di Lulzec e/o Anonymous ai danni della Stratfor, la società di intelligence privata, cui i collettivi hanno sottratto ben 5 milioni di email.
Stratfor vuol dire Jeremy Hammond, comunista anarchico di Chicago molto attivo politicamente. Giovane generoso, che ha deciso di nutrirsi del solo cibo scartato da altri (freeganist, si dice), ha precedenti penali per aver rubato 5.000 numeri di carte di credito da un sito pro-guerra (secondo le accuse ha messo così in tasca 700.000 dollari), utilizzandole (a suo dire) per donazioni ad associazioni di sinistra, che in effetti non hanno mai visto un centesimo da lui, per aver hackerato un sito di suprematisti bianchi e per possesso di marijuana.
Ad occhio e croce, eccezion fatta per il furto, un persona molto più bella dei migliori tra i politici. Un temperamento generoso, ma poco incline alla riflessione sulle conseguenze delle sue azioni. Illuminanti le parole di sua madre: “Ha un quoziente intellettivo di 168, ma non ha cervello; è un genio senza sale in zucca”. Quando Hammond si mette in contatto con Sabu per informarlo di aver trovato la chiave per violare i sistemi della Stratfor, questi (che è controllato dalla FBI) lo incoraggia e addirittura gli offre la disponibilità di un server dove archiviare il suo futuro bottino digitale. Si sa poi com’è andata a finire: Anonymous ha completato l’operazione Stratfor, mettendo le mani su cinque milioni di e-mail riservate e saccheggiando 60.000 numeri di carta di credito (si scoprirà in seguito che alla Stratfor non si sono dati la pena di criptarli).
Mentre accadeva tutto ciò, la FBI stava a guardare. Perché? Si potrebbe dire che, per avere in mano delle accuse valide, i federali volevano lasciare che il crimine fosse effettivamente perpetrato. Ma forse è più probabile che la FBI abbia pilotato l’intera operazione Stratfor, soprattutto la fase 2, ovvero la cessione del materiale ad Assange, al fine di creare un appiglio giuridico per ottenere l’estradizione del fondatore di Wikileaks negli Stati Uniti. Ironicamente, proprio tra le carte della Stratfor è saltata fuori una mail secondo cui il Dipartimento di Stato avrebbe già bello e pronto un “caso giudiziario” per ottenere l’arresto di Assange negli USA.
In ogni caso, l’arresto di Sabu ha condotto all’arresto di altre cinque figure apicali del movimento anarchico, tra cui lo stesso Hammond. Resta il sospetto che un personaggio come Sabu non sia, sin dall’inizio, altro che un figurante, che con i suoi 50.000 contatti su Twitter poteva fungere da calamita per tutti i personaggi sospetti e potenzialmente dediti ad attività cospirative (leggi di resistenza a un sistema iniquo). Per quanto riguarda Hammond, non è escluso che si possa provare in tribunale che egli sia stato vittima di un “entrapment”, ovvero che si sia reso responsabile dei crimini che ora gli vengono contestati proprio su istigazione di chi ora lo accusa.