Hanno detto che Angelo Izzo, uno dei massacratori del Circeo, appena appresa la
notizia della morte della sua vittima, Donatella Colasanti, si sia mostrato "dispiaciuto"
e che poi, scuotendo la testa, abbia aggiunto una frase: "E' una donna che
ha subito molta violenza". Lui, certo, ne sa qualcosa. Di per sé quello
del suo aguzzino è un commento che non significa nulla, una frase laconica
che non lascia presupporre alcuna contrizione o dispiacere autentico. Sembra invece
trasparire, anche da parte dello stesso Izzo, la consapevolezza che Donatella
Colasanti di violenza ne abbia sopportata parecchia, anche dopo essere scampata
alle brutalità e alle sevizie della villa del Circeo. Diversamente da Rosaria Lopez, violentata e uccisa, Donatella riuscì
ad uscire viva da quella macchina dove i suoi aguzzini l'avevano cacciata dandola
per morta, ma da quel momento ebbe inizio un dramma durato tutta la vita, un
male di vivere assoluto, soprattutto quando giustamente, quanto inutilmente,
chiedeva di avere quella giustizia che non gli è stata mai concessa pienamente.
Donatella Colasanti cercava ancora la verità, eppure non c'era nessun giallo da dover risolvere e lo Stato, in prima istanza la giustizia - agognata non solo dalla vittima ma da tutti - l'aveva in qualche modo sentenziata: gli assassini, tre fascisti del "quartiere-bene" dei Parioli, vennero arrestati quasi subito, riconosciuti colpevoli e condannati in seguito all'ergastolo.
Sulla carta però, solo sulla carta. Perché poi, Andrea Ghira
è stato aiutato a scappare e non ha mai conosciuto le patrie galere,
Gianni Guido si rese protagonista di una rocambolesca fuga dal carcere e Angelo
Izzo, tornato libero, ha ucciso di nuovo.
Donatella Colasanti non ha fatto altro che urlare, per trent'anni, contro queste
impunità postume e grottesche, contro uno Stato che anche laddove riesce
a condannare è poi incapace di far scontare una pena e quindi di garantire
la giustizia oltre le carte dei tribunali.
Le collusioni e le complicità, frutto di amicizie e rapporti politici di cui davvero non c'è da essere fieri, hanno permesso ai tre assassini di non pagare quasi nulla di quello che avrebbero dovuto. In molti casi la giustizia ha visto questa storia ripetersi, a meno che dietro una sentenza non si celino pruriginose questioni politiche. In tal caso, lo stesso Stato dimostra una fermezza draconiana e l'ulteriore incapacità di andare il codice penale e di chiudere in qualche modo i capitoli laceranti della storia del Paese.
Che, appunto, potrebbero essere risolti proprio utilizzando gli strumenti del diritto e del garantismo, come la grazia o l'amnistia; ma l'attuale classe politica italiana non riesce a manovrare su questo terreno, per manifesta inadeguatezza morale o forse perché, più prosaicamente, il tornaconto in termine di voti a dar seguito all'appello di un Papa o a concedere la grazia ad Adriano Sofri, non ripaga a sufficienza.
Donatella Colasanti aveva fatto della ricerca di giustizia, la ragione della
sua esistenza, arrivando a non volersi arrendere nemmeno di fronte le prove
che garantivano come la morte di uno dei tre torturatori assassini era ormai
cosa certa. Con la morte di Donatella Colasanti andrà ora in archivio,
con tutta probabilità, anche il delitto del Circeo e quella giustizia
che chiedeva la vittima non ci sarà mai, perché più nessuno
sarà in prima fila a chiederla. Se Izzo non avesse ucciso di nuovo, i
suoi permessi premio si sarebbero presto trasformati in arresti domiciliari
e, di seguito, in una semilibertà propedeutica a quella vera e propria
che invece sta per toccare con mano il suo sodale Gianni Guido, che esce regolarmente
dal carcere ma almeno ci torna, per evitare che l'ennesimo tentativo di fuga
pregiudichi una vita diversa davvero a portata di mano.
Andrea Ghira è morto e ha scelto lui quando, come e dove, vergognosamente
protetto fin dentro la tomba da chi ha sempre pensato che la giustizia sia solo
un problema di altri e che, pagando, si possa ottenere davvero tutto.
La morte della Colasanti dovrebbe dunque lasciare un sottile tormento nella
coscienza di chi nella giustizia crede ancora, la consapevolezza cioè
di vivere in un Paese dove la giustizia viaggia su strade diverse e dove la
certezza della pena riguarda solo alcuni. Quasi sempre quelli che non possono
pagarsene una su misura.