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di Alessandro Iacuelli

Lorenzo Necci, ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, l'uomo ricordato come "il creatore della TAV" è morto e non di morte naturale. E' stato investito da un'automobile mentre percorreva in bicicletta la provinciale Fasano-Savelletri, in Puglia. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, è stato investito da una Range Rover quando era diretto ad un partita di golf assieme all'ex assessore regionale e avvocato Paola Balducci, ora deputata dei Verdi, che ha immediatamente telefonato al 112 per i soccorsi. Secondo quanto accertato dai Carabinieri della Compagnia di Fasano, alla guida dell'auto c'era un uomo di Locorotondo, di cui non sono ancora state fornite le generalità. Necci era stato prima presidente di Enichem, e poi di Enimont e quindi amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato fino al 1996. Una carriera rapida, sempre in ascesa, fino ad essere indicato addirittura come possibile ministro dell'economia, poi l'inchiesta della procura di La Spezia, le accuse, il carcere. "Sacrificato", dichiarò Necci in quell'occasione. Nel 1990, su proposta di Bettino Craxi, approda alle Ferrovie. Il presidente del Consiglio era Giulio Andreotti. Necci avrebbe preferito l'Alitalia. Sono gli anni in cui Necci diventa "Lorenzo il Munifico", il manager colto e amico di tutti i potenti. E' vicino alla destra quando governa il Polo, a Lamberto Dini nel tempo dei tecnici, alla sinistra quando è il tempo dell'Ulivo. Probabilmente è stato un normale incidente d'auto, non sta certo a noi elaborare facili "teorie dei complotti" sempre di moda in Italia; ma appare comunque singolare come, dopo la sua fine politica, Necci avesse spesso fatto dichiarazioni strane, come la famosa frase: "Se muoio, le dico fin d'ora, non mi sono suicidato". Di chi aveva paura Necci, non lo ha mai rivelato, anzi ha sempre dato a capire di non saperlo. Di sicuro non è casuale, come dichiarò il Professor Stile, avvocato di fiducia dell'ex amministratore delle ferrovie, che "improvvisamente le procure di mezza Italia, da Napoli ad Aosta, da Salerno a Venezia, abbiano individuato in Necci il centro di tutto il malaffare nazionale".

Non pare però, allo stato dei fatti, potersi trattare di un caso simile a quello Ludovico Ligato, altro amministratore delegato delle Ferrovie, anche lui travolto da uno scandalo, quello delle lenzuola d'oro, assieme a Graziano. Ligato fu freddato a colpi di pistola nel giardino della sua villa di Bocale, trenta chilometri da Reggio Calabria, il 27 agosto del 1989. Il caso Ligato si rivelò particolarmente ostico per i magistrati. L'uomo non aveva conti in banca: aveva sì messo assieme un patrimonio archeologico, ma i conti in banca erano intestati a parenti. Durante una perquisizione nel suo ufficio romano fu poi trovata la fotocopia di una cambiale da sessanta milioni di dollari di proprietà di una società libanese. Si aprì un terreno fatto di sabbie mobili, poi come al solito è caduto quel silenzio che ha sempre coperto tutti i delitti eccellenti della Repubblica.

Sicuramente qui ci troviamo in una situazione molto diversa: in questo caso non ci sono lenzuola d'oro e le inchieste che hanno travolto Necci sono ben diverse. Il caso Necci è semmai più intricato, visto che ci troviamo davanti ad un uomo che è stato uno dei più importanti manager di Stato; oltre agli incarichi già citati è stato infatti anche amministratore delegato del consorzio TAV e presidente onorario delle Ferrovie mondiali. Nel 2002 era stato pubblicato un suo volume, intitolato "L'Italia svenduta", un libro-intervista nel quale il manager fa un'analisi lucida e a tratti impietosa su fatti e avvenimenti italiani, condotta su diversi piani, dal versante dell'economia sociale a quello della finanza, della grande industria, inserita nel contesto del fenomeno giudiziario di mani pulite che liquidava o inceneriva, a torto e a ragione ma con sorprendente velocità, buona parte della classe dirigente nazionale e dell'industria del Paese. Entrato di recente nel Nuovo PSI, era anche tornato all'imprenditoria privata, gestendo una impresa di logistica e trasporti. A gennaio del 1997 viene indagano, procedura poi archiviata, per il disastro del Pendolino a Piacenza. Poi arriva l'inchiesta di Milano sulla costruzione dello scalo Fiorenza. La procura dispone una misura cautelare a gennaio e, a marzo, chiede il rinvio a giudizio. Il 28 c'è l'udienza preliminare. Con Necci sono coinvolti i costruttori Luigi Rendo, Vincenzo Lodigiani, la cooperativa Ccc e Pacini Battaglia. Anche i magistrati perugini non se ne stanno con le mani in mano: Necci riceve gli arresti domiciliari per presunta corruzione dei magistrati Giorgio Castellucci e Renato Squillante. Viene accusato di aver affidato consulenze ad amici dell'ex pm Castellucci per ottenere l'archiviazione di due procedimenti sull'Alta velocità. Le inchieste in cui è coinvolto durante la sua caduta non finiscono qui: c'è anche quella di Milano sui 5 miliardi di tangenti Tpl divisi con Gardini tramite la Karfinco di Pacini. Poi l'inchiesta di La Spezia e l'arresto. Quando Necci era all'Eni ottenne contratti miliardari per costruire cartiere e raffinerie in Iran e dissalatori in Sicilia, quando passò alle Ferrovie ricevette l'incarico di studiare l'alta velocità. A Necci vennero contestati anche fondi per otto miliardi di lire passati attraverso la Karfinco di Pacini ed amministrati in Francia da Mario Delli Colli, manager della Tpl.

Un uomo scomodo? Certamente un uomo che sapeva, se non tutto, molto. Non sta a noi giudicare storicamente Necci, nè gettare ombre sulla sua morte; solo la magistratura inquirente potrà, se non cadrà anche stavolta il solito silenzio, dire cosa è successo su quella strada provinciale. Da parte nostra possiamo solo ricordare una sua frase recente: "Ci sono stati momenti in cui una mia firma valeva 25 mila miliardi. Chissà a quanti ho dato fastidio" Si tratta senza dubbio di una morte eccellente. E chissà che davvero qualcuno non abbia brindato.