Se si prova a cercare su una cartina la città uzbeka di Muynak, un po'
più a est del Mar Caspio, la si scopre affacciata su un ampio mare salato:
il Mare d'Aral. Si tratta del quarto mare chiuso più esteso del mondo.
Quella mappa però, come la maggior parte delle mappe geografiche, riproduce
una realtà ormai radicalmente diversa, in cui le risorse idriche mondiali
sono in costante diminuzione. Oggi Muynak si trova a circa settanta chilometri
da un bacino ridotto a un quarto della sua estensione originaria. La portata
dei due fiumi che lo alimentano è diminuita vertiginosamente a partire
dagli anni 60, quando Stalin ne fece drenare l'acqua per irrigare gli immensi
campi di cotone. I risultati non sorprendono: la popolazione rischia di morire
di sete; il deserto avanza; la forte salinità dell'aria provoca cancro
e altre malattie alle vie respiratorie. Mentre nelle città occidentali per una doccia di cinque minuti ognuno
di noi consuma cento litri d'acqua, le popolazioni dell'Africa sub-Sahariana
hanno a disposizione, in totale, solo dieci litri a testa per sopravvivere.
In altre zone va anche peggio. Dal 2004 una grave siccità affligge Somalia,
sud Etiopia e soprattutto Kenya. Nonostante in alcune zone la pioggia sia arrivata
con la fine di febbraio, la situazione è talmente grave che l'acqua non
è sufficiente a porre fine in breve tempo alla carestia. Oltre a un numero
di morti (soprattutto bambini) difficile da stimare, la maggior parte del bestiame
è già morto e questo mette a rischio le milioni di persone che
vivono di nomadismo.
Oltre a casi particolarmente drammatici, la situazione mondiale nel suo complesso
non è certo incoraggiante, come dimostrano i documenti su cui si è
riflettuto durante il quarto Forum mondiale sull'acqua, svoltosi di recente
a Città del Messico (16-22 marzo).
Il meeting non è riuscito ad offrire soluzioni concrete ai problemi idrici
del pianeta. "Quando il Forum è iniziato una settimana fa un abitante
su sei sul pianeta non aveva accesso all'acqua" ha dichiarato Jamie Pittock,
direttore mondiale acque del WW:. "Oggi, a chiusura dei lavori,
il rapporto rimarrà il medesimo", senza che siano stati presi nuovi
impegni.
Nel mondo un miliardo e seicento milioni di persone non hanno la possibilità
di accedere all'acqua pulita, mentre sono due miliardi e quattrocento milioni
coloro che non dispongono di una rete fognaria. Da quest'ultimo punto di vista,
la scelta di svolgere il forum in una metropoli dell'America latina non è
casuale. I fiumi, in questa parte del mondo, trasportano ben il 30% di tutta
l'acqua dolce del pianeta. Tuttavia, diversi fattori concorrono a rendere difficile
anche qui l'accesso alle risorse idriche: eccessivo sfruttamento delle falde,
corruzione nella gestione del settore, inquinamento.
Parlando proprio d'inquinamento, i pericoli per l'acqua sono diversi. Innanzitutto
c'è il mancato trattamento delle acque reflue dei centri urbani, problema
che riguarda non solo le sempre più popolose metropoli dei paesi in via
di sviluppo, ma anche numerose città occidentali. A Città del
Messico c'è un impianto di depurazione, ma la sua capacità è
di mezzo metro cubo di acqua al secondo, per una metropoli che ne produce invece
cinquanta di metri cubi al secondo.
Anche in Europa, dove il 50% dei liquami vengono riversati nel mare senza subire
alcun trattamento, sono poche le nazioni che ritengono prioritario investire
nella depurazione, nonostante una direttiva europea del 1991 secondo la quale
agglomerati con più di duemila abitanti devono occuparsi del riciclaggio.
Uno dei pochi esempi lodevoli è Londra, che depura il 90% delle sue acque
reflue.
E poi ci sono i classici scarichi industriali. Lo scorso febbraio migliaia
di argentini hanno manifestato in una cittadina a nord di Buenos Aires (Gualeguaychu)
contro la costruzione di due cartiere sul fiume Uruguay. La paura è per
il diossido di cloro, utilizzato per sbiancare il legno e che, se scaricato
nel fiume, causerebbe innumerevoli danni. Paure non infondate se si considera
che una delle due imprese europee responsabili del progetto - la spagnola Ence
- nel 2002 è stata condannata dall'Unione europea a chiudere la sua cartiera
sull'estuario del Pontevedra (Galizia) e a pagare 500mila dollari per i danni
ambientali causati.
Si può poi ricordare come la mancanza di adeguate misure di sicurezza
abbia causato, a fine 2004, il rilascio di tonnellate di benzene nelle acque
del Songhua (Cina nordorientale), da parte di un impianto chimico cinese.
Alcuni numeri aiutano a capire le conseguenze dell'inquinamento delle risorse idriche. Nel 2002 sono morti tre milioni e cento mila persone per malattie connesse all'acqua insalubre (diarrea e malaria). Di queste, il 90% era composto da bambini al di sotto dei cinque anni. Nel 1991 un'epidemia di colera in Perù ha fatto 323mila vittime, dopo che per tutto il 1900 nella zona il colera era stato considerato definitivamente debellato. In Africa il 50% della popolazione soffre di malattie legate ad acque contaminate.
Una questione spinosa e controversa riguarda, infine, la privatizzazione della
rete di distribuzione dell'acqua. In molti paesi in via di sviluppo la corruzione
della classe politica ha portato a enormi irregolarità. Si è così
pensato di favorire l'ingresso dei privati per razionalizzare il settore. Le
cose, spesso, vanno diversamente. Un caso è quello studiato da Andrea
Palladino e Astrid Lima nel loro documentario "L'acqua invisibile".
Nella brasiliana Manaus dal 2000 la distribuzione dell'acqua è stata
affidata alla compagnia Suez. Le bollette adesso sono anche il 40% più
care di quelle europee. In più non c'è stato miglioramento delle
infrastrutture. Ancora oggi solo il 10% della popolazione può usufruirne,
nonostante le condizioni contrattuali prevedano il raggiungimento della copertura
quasi totale della rete fognaria.
Nei paesi in via di sviluppo il costo dell'acqua dovrebbe basso, considerando
le condizioni di estrema povertà della popolazione. Ma in paesi dove
sarebbe necessario investire molto denaro, prezzi troppo bassi non attirerebbero
capitali privati. Le risposte però, potrebbero essere calibrate in modo
più equo, ad esempio, fornendo una quantità minima di acqua a
basso prezzo e alzando nettamente le tariffe per coloro che consumano di più,
come avviene in Sud Africa.
Si tratta solo di non voler fare affari sulla pelle dei poveri.