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di Filippo Matteotti

Ce l'hanno messa tutta e alla fine ci sono riusciti, hanno demolito anche quel poco di buono che rimaneva di una manifestazione come le olimpiadi invernali. Da sempre le sorelle povere delle olimpiadi, un po' per il tipo di discipline coinvolte, praticate solo da una minuscola parte dell'umanità, un po' perché sono sempre state una competizione riservata a quelle popolazioni che hanno la neve, il tempo e i soldi per godersela. Non a caso anche la stampa statunitense le ha definite le "olimpiadi dei ricchi".
Fino a che la competizione ha potuto godere dei pregi e dei difetti del dilettantismo le cose non sono andate troppo male; pur essendo un appuntamento per pochi intimi, le manifestazioni riuscivano a conservare una misura umana e far godere praticanti e fan degli sport invernali. Poi le cose sono cambiate e le olimpiadi invernali sono diventate, come tanti altri eventi sportivi, uno spettacolo televisivo. Da allora le cose hanno virato al peggio, fino a giungere all'ultima edizione attualmente è in corso a Torino. L'olimpiade invernale è così diventata un carrozzone come tanti altri dello show-biz ed è corsa verso la degenerazione commerciale, tradendo non solo il tanto decantato spirito olimpico, ma anche la decenza. L'olimpiade di Torino nasce per volontà di un comitato olimpico locale, che a lungo andare ha dovuto fare i conti con la latitanza del governo nazionale, poco incline a favorire un evento spinto da un'amministrazione locale di segno diverso da quello della compagine guidata da Silvio Berlusconi. Questo ha portato alla gestazione di un evento di levatura internazionale mentre le due amministrazioni non collaboravano e a Torino sono rimasti soli e spesso si sono trovati il bastone del governo tra le ruote. Ora che le olimpiadi sono in pieno svolgimento, i nodi vengono al pettine e rivelano gli errori nell'impostazione della manifestazione. Il comitato promotore ha infatti peccato di gigantismo, inquinando non solo lo spirito naturalmente modesto dei montanari, ma lo stesso spirito olimpico, o quel che ne rimane. Sicuramente l'organizzazione è stata portata avanti con professionalità sabauda, ma tale professionalità si è purtroppo fondata troppo sull'aspetto del business e della comunicazione e poco su quello sportivo.

Così, mentre gli atleti devono affrontare spostamenti di oltre 100 chilometri per raggiungere gli impianti, a poco a poco sono venuti a galla i difetti di un'organizzazione troppo chiusa in se stessa per valutare correttamente le conseguenze alle quali mandava incontro ospiti, volontari ed atleti. La mancanza di denaro ha costretto a rinunciare a qualche migliaio di volontari, rimpiazzati con personale delle forze dell'ordine e dai militari; per questi sono stati previsti alloggiamenti molto distanti, tanto che alcuni di loro hanno denunciato di dover essere costretti a fare oltre quattro ore di viaggio per poter onorare turni di sei ore. Gran parte dei biglietti, molto costosi, sono andati invenduti (praticamente la metà di quelli disponibili), consegnando a molte discipline gli spalti vuoti, mentre per altre i collegamenti predisposti non consentono il raggiungimento dei campi di gara ai fan degli sport con più pubblico.

Il comitato olimpico ha cercato di correre al riparo offrendo biglietti alle scuole, ma il rimedio è stato peggiore del buco. L'invito ha fatto emergere in tutta la sua evidenza il ridicolo regolamento d'accesso alle manifestazioni, ne ha evidenziato la sua assurdità e come questa derivi da una serie di accordi incredibili con gli sponsor della manifestazione. Gli accordi con gli sponsor sono stati una delle spine nel fianco dell'organizzazione, che proprio per aver scelto la Coca Cola come partner per il viaggio della fiamma olimpica, si è trovata bersaglio di quanti ritenevano poco etica questa scelta. Proteste che hanno molestato la fiamma in tutto il paese per stigmatizzare la condotta riprovevole dell'azienda, recentemente al centro di gravissime accuse, comprese quelle di risolvere le dispute sindacali uccidendo i sindacalisti, o di lasciare senz'acqua le zone del terzo mondo nelle quali produce le sue bevande.
Altrettanto poco lungimiranti si sono rivelati gli accordi con gli altri sponsor, che hanno portato alla redazione del ridicolo regolamento per l'accesso agli eventi. Agli spettatori è proibito portare da casa cibi e bevande, che possono essere reperiti solo presso gli appositi snack-point, presto diventati oggetto dell'ironia di giornalisti, volontari ed atleti. Non solo: è vietato accedere agli eventi esibendo marchi che non siano quelli delle aziende sponsor ufficiali. La conseguenza è che l'abbigliamento di molti spettatori è stato "censurato" con adesivi dai volontari nelle parti che esibivano marchi di aziende aliene e stessa sorte è toccata anche ai giornalisti, che si sono visti coprire i marchi dei computer portatili prodotti da aziende non-sponsor.

Ai pargoli delle scuole, così generosamente invitati e agli spettatori, non è stato possibile portarsi le sane merende casalinghe, fosse anche un thermos, o esibire felpe e giubbotti con marchi "proibiti". In cambio hanno avuto la meravigliosa opportunità di nutrirsi con piatti di pasta riscaldati al microonde spendendo la bellezza di 7 Euro o di dissetarsi con un vino imbevibile venduto a 20 Euro la bottiglia. Sempre che non abbiano preferito i fast-food di una nota multinazionale che, con i loro fumi unti, appestano le ridenti località alpine. Non sono solo dettagli, ma le conseguenze dirette della (in)cultura degli organizzatori, troppo vicini al mercato globale per rendersi conto di quanto abbiano svenduto i valori olimpici, e troppo vicini a certe aziende per rendersi conto delle conseguenze per i loro "clienti". Una cultura evidentemente nefasta, che si è intravista anche dietro ad altre scelte: dalla faraonica cerimonia d'apertura fino alla scelta del braciere olimpico, per la quale si è ceduto alla tentazione di fare "a chi ce l'ha più lungo".

Anche il braciere da record è stato oggetto di polemiche, visto che brucia gas equivalente al fabbisogno di una comunità di 750 persone, proprio in tempi di penuria di gas. Olimpiadi vendute agli sponsor, ma non è una novità, olimpiadi ancora una volta utili prima di tutto ad aziende e politici. Tra qualche giorno Berlusconi passerà a chiudere la kermesse e a raccogliere un po' di visibilità elettorale, nonostante il suo governo ne abbia più sabotato che favorito la realizzazione, approfittando addirittura del decreto per le olimpiadi per far passare una legge penale contro i consumatori di sostanze psicoattive.

Ora, calato il sipario, sarà il momento di tirare le somme di questa enorme spesa di denaro; vedremo allora se gli imbecilli, come li ha definiti il sindaco di Torino Chiamparino, sono quelli che protestavano contro la Coca Cola o quelli che hanno siglato accordi e contratti che hanno portato alla realizzazione di questo ennesimo baraccone all'italiana.