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Una caratteristica tipica dell’atlantismo di ferro è sempre stata il doppiopesismo: se a compiere una determinata azione sono gli Stati Uniti o i loro sherpa europei non c’è problema, tutto è legittimo e democratico; se la stessa identica azione viene compiuta da altri – leggi: rivali politici e/o economici di Washington – allora diventa un atto spregevole, esecrabile e illiberale. Di solito questo approccio presuppone una certa dose di malafede, ma da quando è iniziata la guerra in Ucraina è stato talmente esasperato da suggerire una qualche forma di dissociazione. Ormai gli atlantisti fondamentalisti non sembrano rendersi conto di ricadere nel peccato contro cui predicano e per questo si lasciano andare a toni sempre più sguaiati, ineleganti, perfino volgari.

 

E così, dopo i “pupazzi prezzolati” scodellati da Mario Draghi nel corso della sua ultima conferenza stampa da presidente del Consiglio, la settimana scorsa è arrivato il turno di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Come non ricordare questa compìta signora tedesca quando, all’alba della pandemia, guardò dritta nella telecamera e, tra i capelli vaporosi, assicurò alla “cara Italia” il sostegno dell’Europa? Ora, sorvoliamo sul fatto che non aveva capito niente, perché il Covid non era un problema solo della “cara Italia” e nei mesi successivi l’Europa non avrebbe esattamente dato prova di unità. Il punto è che ora quella stessa signora così cortese, a pochi giorni dalle nostre elezioni politiche, ha decisamente cambiato tono. Ed è arrivata a minacciarci.

La settimana scorsa, durante una visita vassallatica all’Università di Princeton, vicino New York, Von der Leyen ha ricevuto una domanda sul voto italiano. L’etichetta diplomatica, ma anche un minimo livello di rispetto istituzionale e di decenza politica, avrebbero imposto una non-risposta: qualcosa tipo “non commentiamo i processi democratici dei singoli Paesi, saranno gli italiani a decidere”. Invece la numero uno dell’esecutivo comunitario ha risposto eccome, usando queste parole: “Vedremo. Se le cose vanno in una direzione difficile – ho già parlato di Ungheria e Polonia – abbiamo gli strumenti. Se invece vanno nella direzione giusta, allora i governi responsabili possono sempre giocare un ruolo importante”. Che tradotto significa: “Cara Italia, non ti conviene votare per i partiti che a noi non piacciono, perché abbiamo modo di fartela pagare”.

A questo punto serve un chiarimento: nemmeno fra un milione di anni questo giornale prenderà le parti di formazioni come Fratelli d’Italia, Lega o Forza Italia, che sono e rimangono agli antipodi della nostra visione del mondo. Sgombrato il campo da questo possibile equivoco, quello che qui interessa è sottolineare l’incoerenza assoluta delle istituzioni europee. Cos’è stata quella di Von der Leyen se non un’ingerenza nella politica interna italiana? Non era una frase volta a indirizzare il voto, indicando agli italiani (peraltro con le cattive) la “direzione giusta” da seguire, in contrapposizione a quella “difficile”? È curioso che un simile atteggiamento, così profondamente paternalistico e sfrontato allo stesso tempo, arrivi proprio da chi per settimane non ha fatto altro che accusare la Russia di ingerenze nei processi democratici occidentali.

Ma per avere la misura del livello di dissociazione a cui siamo arrivati, l’esempio migliore è forse quello fornito dal quotidiano La Repubblica. Le parole di Von der Leyen sono state commentate all’Onu dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha parlato di “atto arrogante di un’entità dittatoriale”. Ebbene, il giornalista di Repubblica commenta così: “Il ministro degli Esteri russo Lavrov irrompe sul silenzio pre-elettorale e interferisce sul voto italiano”. D’accordo: e invece Von der Leyen cosa aveva fatto?