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di Sara Nicoli

E' un sospetto che ormai circola da giorni: alcuni sindacalisti dei tassisti remano contro qualsiasi accordo possibile con il governo sul decreto che liberalizza la loro attività. E'ormai chiaro a tutti, per primo a Bersani, che prendono ordini da qualcuno di destra, una destra violenta e arrogante che si muove nell'ombra e muove come pedine alcuni tra i più enfatici leader della protesta delle auto bianche. Il primo si chiama Loreno Bittarelli, è il segretario dell'Unione Radio Taxi ed è legato, per sua stessa, orgogliosa ammissione, a Gianni Alemanno, Francesco Storace e a Fabio Sabbatani Schiuma, consigliere comunale di Roma coinvolto nella vicenda dello spionaggio politico alle elezioni Regionali ai danni della lista di Alessandra Mussolini. Lui, come Pietro Marinelli, dell'Ugl, o Giuliano Falcioni, leader del sindacato autonomo Ciisa, rautiano doc, considerano questa vertenza come un fatto politico di rivalsa contro un governo di centrosinistra che li attacca perché sono di destra e non certo perché nelle grandi città c'è davvero bisogno di più taxi a minor costo per tutti. Ecco perché continueranno a muoversi per evitare che dal tavolo del ministero dello Sviluppo Economico esca un qualche accordo, costringendo il governo a presentare il decreto così come è stato scritto all'inizio e puntando poi sui propri rappresentanti politici di opposizione (An, soprattutto, ma anche Forza Italia, per far dispetto a Prodi) per affossarlo in sede parlamentare. Le forche Caudine sono attese, come al solito, al Senato. E loro, i tassinari, sono convinti di vincere.

Un gioco di intimidazione e arroganza che, comunque, li vedrà ancora protagonisti fuori dal palazzo, con manifestazioni e blocchi del traffico che proseguiranno anche dopo la presentazione degli emendamenti che scade lunedì. Perché proprio lunedì si riuniranno ancora a Roma, sempre in quel Circo Massimo che li visti inneggiare ad Alemanno al grido di "Duce, Duce!", per esercitare un ulteriore pressione attraverso il blocco del servizio pubblico e, dunque, l'inevitabile congestione del traffico dentro la Capitale. Un problema che preoccupa sia la Prefettura che il Comune, ma contro il quale non sembra esserci arma possibile perché hanno giurato che se ne faranno beffe pure della possibile precettazione minacciata dal sottosegretario Enrico Letta. Vogliono sfondare il fronte con la violenza, la stessa che hanno usato senza alcuna remora contro due giornalisti radiofonici che tentavano un'intervista durante la loro assemblea permanente a piazza Venezia. Calci, pugni, spintoni. Dopo il ministro Mussi è stata la volta di due rappresentanti dell'informazione che stavano facendo solo il loro mestiere. E non su un fronte di guerra, non a Gaza o in Iraq, ma nel cuore di Roma. Questo il clima fino a ieri. Domani chissà. Quando si dice la forza delle idee: i tassisti vogliono menare le mani, senza metafore e al diavolo la concertazione. "Blocchiamo tutto, blocchiamo tutto" , oltre al classico "boia chi molla è il grido di battaglia". E a poco servono le parole di un pacatissimo sindaco di Roma che tenta di spiegargli che la doppia targa a fronte di una sola licenza non è la stessa cosa del cumulo delle licenze, che la vera liberalizzazione è davvero un'altra cosa rispetto a quanto contenuto nel decreto e che se si trova un accordo c'è possibilità di fare qualcosa di molto utile ai cittadini di cui loro saranno i primi beneficiari, a partire dall'aspetto economico. Niente, non ci sentono. Perché non ci vogliono sentire. Lo fanno apposta.

Questo non toglie che ci siano tassisti assolutamente per bene, così come siano più che comprensibili alcune delle loro rivendicazioni e parte delle rimostranze in ordine al decreto Bersani. Ma il fatto è che la leadership della protesta è in mano a pochi fiduciari di partito che la utilizzano in chiave politica contro il governo e con metodi squadristici tipici del loro background culturale.

Ma ormai l'Italia ha anche imparato a fare a meno dei taxi. Dopo giorni di blocco e di protesta, l'italica arte di arrangiarsi ha preso il sacrosanto sopravvento anche tra i più scettici consumatori dei mezzi pubblici. E se già il popolo della auto bianche era detestato dai più, dopo queste manifestazioni di arroganza e di prepotenza, il fronte dell'antipatia verso i tassisti ha raggiunto livelli di rara compattezza nella società civile. Se non fosse che la maggioranza delle persone ha paura di confrontarsi con personaggi così poco raccomandabili, temendo per la propria incolumità fisica, ci sarebbe da aspettarsi che il Circo massimo ritornasse ad essere l'arena del tempo della Roma imperiale: da una parte i tassisti, dall'altra i consumatori esasperati. Loro lo sanno. Sanno che la gente ne ha piene le scatole di tutto ciò che fa rima con taxi. E non vedono l'ora che qualcuno, complice il caldo e lo stress, reagisca male per passare poi da vittime di un governo "bastardo" che li ha dipinti come guastatori delle piazze rendendoli invisi all'intera cittadinanza italiana. Sarà sempre colpa d'altri, mai la loro.

Il governo, però, è stato chiaro. Accordo o non accordo si va avanti. Perché è evidente che non c'è alcuno scampolo di dialogo possibile con chi usa pretestuosamente la piazza su ordine di chi vuole solo destabilizzare l'Esecutivo con gli stessi metodi di prevaricazione che hanno contraddistinto cinque, lunghi, interminabili anni di governo di centrodestra.

Ce l'hanno nel sangue questo stile di vita, i tassinari. E non a caso alcuni di loro sfoggiano sinistri tatuaggi al braccio inneggianti la XMas o si fanno un vanto di tetri soprannomi tipo "P38". C'è da chiedersi quanto ci si possa sentire sicuri dentro un'auto bianca sapendo che alla guida può esserci uno di questi soggetti. E' questo su cui i più dialoganti dei leader sindacali al tavolo della trattativa dovrebbero interrogarsi: sull'immagine che comunque emerge da questa categoria di persone, prima solo antipatica e esosa. Oggi indubbiamente pericolosa per la sicurezza dei cittadini. Dentro e fuori i loro taxi.