Stampa
di Giovanna Pavani

E' successo a tutti di recedere davanti ad un sopruso, un'angheria, una violazione di un diritto, perché mettersi da soli a fare causa contro qualcuno di più grosso e organizzato di noi non fa raggiungere mai i risultati sperati e, a parte l'orgoglio e la dignità negata, si finisce di solito con un pugno di mosche in mano: pochi i soldi di risarcimento quando si vince e la certezza che il comportamento di chi ha sbagliato, dopo qualche tempo continuerà ad essere il medesimo di prima. Quando si è da soli si è una goccia nel mare, si conta poco davanti alla legge, figurarsi davanti ad una grande industria o ad una lobby di cartello delle assicurazioni, o a un'azienda di telecomunicazioni che ci ha messo in bolletta servizi mai richiesti ma indubbiamente salati. E il pensiero non può fare a meno di tornare allo scandalo della Parmalat e a tutti quegli azionisti che si sono ritrovati, da un giorno all'altro, con i risparmi in fumo, senza poter far nulla per aggregarsi e ottenere un adeguato rimborso del danno economico subito. Adesso, però, si volta pagina. Pierluigi Bersani, con la sua manovrina anti lobby, ha pensato bene di aprire anche le porte all'azione legale collettiva, la cosiddetta class action, un sistema di diritto mutuato dagli Stati Uniti e che, in buona sostanza, consente ai cittadini consumatori di aggregarsi, nel segno di un diritto collettivo negato e di far causa "collettivamente" contro l'autore della violazione, avvalendosi di un solo legale. L'importanza dell'iniziativa di Bersani è passata più sotto silenzio rispetto ad altre, semplicemente perché in Italia non si è abituati a pensare (e pesare) nel senso di una collettività, visto che l'intero sistema è permeato da una forte matrice individualista, in particolare sul fronte del diritto. Ma se fino ad oggi questa opportunità di far causa collettivamente contro qualcuno è stata negata, è stato anche per tutelare la lobby degli avvocati e permettere la proliferazione degli studi legali: prima, se dieci persone volevano fare causa ci volevano dieci avvocati, oggi ne basterà uno per tutti. Anche qui, dunque, una spallata ad una lobby. Ma anche per le grandi aziende, per le assicurazioni, per chi, insomma, fino ad oggi ha fatto il bello e il cattivo tempo nella consapevolezza di rimanere sostanzialmente impunito, l'aria comincia a cambiare davvero.

Non è ancora chiaro come la class action sarà portata nell'ordinamento giuridico italiano, ma quello che è noto è che sarà più o meno corrispondente alla modalità americana. Negli Usa la class action è un'azione legale iniziata da un soggetto che chiede al Tribunale di essere autorizzato ad agire "per sé e per altri che si trovano nella medesima situazione". E' quindi uno strumento che consente, a tutti i soggetti che abbiano subito un danno, di beneficiare dell'attività processuale condotta da un soggetto (chiamato negli Usa lead representative) anche nell'interesse di altri. Solitamente il lead representative e' scelto tra i soggetti che vantano il maggior danno. Nel sistema americano, dove e' consentito il cosiddetto "patto di quota lite" (parcella degli avvocati proporzionale al risultato conseguito), tutte le spese di causa sono anticipate dallo studio legale che cura il contenzioso, incluse le spese necessarie - per esempio - per perizie o trasferte dei testimoni. Solo in caso di vittoria e recupero di somme lo studio legale potrà recuperare le proprie spese ed incassare gli onorari per il lavoro svolto.

Ora, è lecito pensare che la lobby degli avvocati italiani farà di tutto per evitare contraccolpi così pesanti sulle proprie rendite di posizione per evitare, ad esempio, di poter recuperare le spese solo a vittoria legale conseguita: ma comunque andrà, è già un successo il potersi aggregare e farsi tutelare da un unico legale anziché foraggiarne un'inutile moltitudine.

C'è poi un altro aspetto, quello dei risarcimenti in caso di vittoria della causa: non sono "collettivi" ma individuali, in misura del danno subito dal singolo rispetto ad una determinata violazione. Chiaro che per tutte quelle aziende che fino ad oggi hanno goduto di una sostanziale impunità, l'istituzione della class action sul modello americano rappresenta un pericolo, dunque anche i cosidetti "poteri forti dell'economia" spingeranno affinché questa nuova misura del diritto sia ingabbiata all'interno di rigidi lacci e laccioli che ne consentano l'utilizzazione solo in casi molto circoscritti. Ma nel governo non sembra esserci volontà di assoggettarsi alle inevitabili pressioni che saranno ricevute, di qui a breve, su questo fronte come su altri. Bersani è stato chiaro: è una manovra a misura di consumatore, contro i privilegi di "casta", per alterare modelli di business consolidati in alcuni settori che i "berluscones" non hanno mai osato neppure sfiorare.

A noi sembra quasi di sognare: potersi aggregare per combattere l'arroganza di qualsivoglia potere, anche sotto il profilo legale, è comunque una buona notizia. Ci fa sentire meno soli, ci aiuta a pensare diversamente, nel senso di molti e non di uno, nel nome di diritti collettivi e non solo individuali. Aumenta il senso di appartenenza ad una comunità e spinge verso la condivisione di quanto è necessario per renderla sempre più ampia ed accogliente. Insomma, l'introduzione della class action nell'ordinamento giudiziario italiano è una cosa che ha il sapore di sinistra.
Come al solito, un buon sapore.