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di Giovanna Pavani

Certo, è difficile morire, ammettere che la propria esistenza politica non ha più senso. E, dunque, decidere di sciogliersi, di dirsi addio. Sarebbe la cosa migliore per la Lega, dopo che un plebiscito referendario ha bocciato senza appello l'unico obiettivo politico che teneva insieme il drappello montanaro "celodurista": il federalismo, poi mutuato in secessione, poi involuto in devolution. Bersaglio mancato. A quasi vent'anni dall'atterraggio in Parlamento, la spinta della Lega appare oggi solo inerziale, il suo radicamento sul territorio sta svaporando, persino nelle roccaforti. L'Umberto è un uomo malato, cui le circostanze e gli affetti dovrebbero consigliare di mollare la presa e di riflettere sul fatto che i partiti politici non sono per sempre. Specie se nascono con pretese, antistoriche e anacronistiche, che solo in un Paese come il nostro riescono ad avere, per qualche tempo, dignità politica. Invece no, Bossi non molla. Anzi, rilancia. Adesso rivuole il "lombardo Veneto". Niente scherzi, tutto vero. E, attenzione: ancora una volta stiamo davanti a un'azione politica che scava nel ventre molle dell'elettorato del Carroccio per blandirlo e vezzeggiarlo ancor più a fondo dopo la scudisciata del risultato elettorale. Ovviamente, come nelle migliori tradizioni della Lega, si guarda al passato che fu, mai un occhio al futuro. Si viaggia sempre sulla scorta di una storia che si studia ancora nelle scuole per far capire quali moti di popolo abbiano prima consentito la cacciata degli austriaci, poi determinato l'Unità d'Italia: a Bossi, di quella storia, sono sempre piaciuti solo i due capitoli prima del 1860. Dunque, oggi, rivuole le "sue" radici, la sua "padania", quella che gli italiani in blocco gli hanno negato votando No. Non ci sta, non ammette la sconfitta: oggi è di scena il "Lombardo Veneto" e la sua ricostruzione. E stavolta il suo Radetzky non preme da nord, arriva da sud, si chiama ancora "Roma ladrona" e i suoi abitanti indegni cittadini di uno Stato al quale, dopo la bocciatura della nuova Italia nata, tra una grappa e l'altra, nella baita di Lorenzago, il Bossi si sente ancor meno di appartenere.

Quando questa apparente boutade da colpo di calore estivo in un Parlamento già surriscaldato ha cominciato a farsi largo nei conciliaboli da Transatlantico tra i deputati del centrodestra, si è subito pensato ad un goffo tentativo degli sconfitti di tenere ancora i riflettori su di sé, regalandosi qualche minuto d'attenzione in più prima dell'oblio. Poi, invece, l'estremista padano, Mario Borghezio, ha sgombrato il campo da ogni dubbio. "L'idea ce l'aveva data il compianto professor Gianfranco Miglio (ideologo della Lega, scomparso anni fa, ndr) e adesso è il momento di realizzarla". Il progetto é ancor più eversivo di qualsivoglia minaccia precedente; legato agli appetiti di evasione (fiscale) dell' elettorato non solo leghista, ma di tutta la base solida dell'intera Cdl, prevederebbe l'unione di Lombardia e Veneto (le due regioni dove il Sì è stato preponderante, ancorché distribuito un po' a macchia di leopardo) in una macroregione sul modello dei Lander tedeschi. Lo consentirebbe, almeno sulla Carta, l'articolo 132 della Costituzione. Con un'apposita legge costituzionale si potrebbe arrivare al risultato di dare a Bossi il suo feudo. Berlusconi ci sta, lo ha già detto con chiarezza, nel nome della ricostruzione di quell'asse elettorale del Nord che li fece arrivare entrambi ai vertici del paese prima nel '94 poi nel 2001.

Si mormora che il Cavaliere abbia lusingato Bossi su questa proposta, prospettando il sogno di una nuova frontiera. O, per dirla con il leader del Carroccio, di avere "un altro modo di procurar battaglia". Tentando, nel contempo, di tenere compatti i suoi nelle baite di Lorenzago e dintorni. Dopo il referendum e dopo la sciagurata scelta del leader di rinviare la festa di Pontida, la più cruda base leghista già sente aria di disarmo e scalpita perché vent'anni di battaglie autonomiste non finiscano…"come lacrime nella pioggia". Ci vuole un nuovo vessillo sotto cui unire le forze di una seccessione ancora possibile: basta aguzzare il cervello, far finta di riscoprire come attuali un po' di polverosi proclami di Carlo Cattaneo (su cui si esercitano ignoranza e appropriazione indebita) ed il gioco è fatto. Al popolo leghista basta poco, l'importante è che ogni progetto finisca con la seguente frase: "meglio con l'Austria che con Roma".

Ora, questo progetto è in realtà solo un modo per tenere unita una compagine di centrodestra, attraverso l'asse Berlusconi - Bossi, che riesce a dimostrare la propria esistenza in vita solo occupando le aule parlamentari nel nome di una rappresentanza politica violata, in modo da impedire al governo legittimamente eletto di fare il suo lavoro. Ma è una Cdl in ordine sparso. Se la Lega cerca in modo goliardico di rilanciare il movimento nel segno di una nuova battaglia, della sorte degli alleati si ha traccia solo nelle intercettazioni telefoniche dell'ex portavoce del leader di An o nel presunto disegno ribaltonista di Casini che vorrebbe far prendere al suo Udc il posto che oggi occupa Rifondazione nella compagine di governo. Del Cavaliere, poi, solo qualche retroscena racconta di un uomo che ancora non se n'è fatta una ragione di aver perso tre consultazioni elettorali in tre mesi ma che mira, nonostante l'evidenza, a tornare a breve a Palazzo Chigi "perché tanto Prodi non dura".

Può, realisticamente, destare allarme il nuovo disegno secessionista bossiano, che altro non è se non una minestra riscaldata di quanto gli italiani hanno già rispedito al mittente? No, si direbbe. Ma storia della Lega degli ultimi dieci anni impone, al contrario, massima vigilanza: se siamo arrivati ad un referendum come quello del 25 giugno, che poteva rivelarsi distruttivo per il tessuto connettivo del Paese, è perché a Bossi e soci nessuno ha dato un severo stop a tempo debito. Un errore da non ripetere. Cominciando a spiegare al popolo di Pontida che cosa è stato davvero Radetzky e l'oppressione austriaca. E ricordandogli che Carlo Cattaneo, che loro vedono come un eroe, all'epoca stava dall'altra parte.