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di Cinzia Frassi

Dalle elezioni politiche in poi, passando anche attraverso l'elezione dei Presidenti di Camera e Senato, del Presidente della Repubblica soprattutto e, da ultimo il recente voto amministrativo, quando c'è da votare i due schieramenti si fronteggiano aspramente e questo scontrarsi è diventato parte intima e costitutiva di entrambi. Quasi che senza questi "appuntamenti" o dopo questi, non sapessero come trovare regione dei rispettivi ruoli e natura, quelli di governare e di fare opposizione. Restare nell'emotività antagonista della gara distoglie dal fare i conti con un dopo gara in cui ci sarà da remare per 5 anni.
Come nella campagna elettorale che ha preceduto il voto politico del 9 aprile e come accaduto ultimamente e prima del voto amministrativo di pochi giorni fa, l'opposizione metterà in campo tutte le forze, cioè quelle che riuscirà a risucchiare il suo premier, per trasformare l'appuntamento referendario non solo nell'ennesima occasione per delegittimare il governo in carica, ma anche per tenere insieme una coalizione sempre più irrequieta e insofferente al suo interno. Dall'altra parte, altre ragioni spingono ad affrontare con trionfalismo ed energia un referendum da tempo un po' trascurato, che ha lasciato il campo a situazioni più urgenti da gestire per la coalizione di centro sinistra.
Ma le difficoltà del governo Prodi risiedono nel rappresentare agli italiani che lo hanno votato, una traduzione fedele oggi di quanto opposto, a volte in modo radicale e deciso, al governo Berlusconi negli ultimi cinque anni. Gia sul tavolo del nuovo governo ci sono questioni importanti che tuttavia appaiono come entità in continuo cambiamento, modificate o camuffate nei contorni che le definiscono e nei limiti di ciò che pare accettabile per la voce di questo o quel ministro o neo eletto tra le fila dello schieramento prodiano.

Anche la devolution fu un cavallo di battaglia ai tempi in cui si trattava di contrastare duramente il governo Berlusconi. Ma si sa che le prese di posizione, durissime quando si rema contro, possono essere ridimensionate quando ci si trova ad impugnare il timone e a decidere da che parte andare. E' così che parlando di guerra e rifiutandola drasticamente si finisce oggi con il proporre "missioni civili" improbabili. E' così che si allargano in maniera abnorme i significati altrimenti precisi di parole della lingua italiana quali "superamento" della legge 30, per riempirli con proposte meno rischiose e più caute. E' così che affrontando la questione del conflitto di interessi, ciò che era un rischio per la democrazia, oggi è "una impresa che da ricchezza al paese" sulla quale si affrettano in molti ad affermare rassicuranti intenzioni ben lontane dall'accanimento. Che all'impresa in quanto tale dev'essere ovviamente evitato, senza che questo però certifichi l'indifferenza per l'utilizzo politico ed imprenditoriale che della "risorsa" si è fatto a danno della democrazia ed a vantaggio del suo padrone e della sua parte politica.

Un altro giro di boa si farà il prossimo 25-26 giugno, quando gli italiani si troveranno ancora con una volta a fare i conti con la cabina elettorale. L'appuntamento referendario sembra essere ancora lontano, ma mancano solo poche settimane di tempo per mettere in grado i cittadini di fare la loro scelta. Un "si" o un "no" non facili da spiegare in modo articolato, chiaro e preciso ad un corpo elettorale stanco, troppo sollecitato ultimamente dai toni gridati della politica. La riforma della seconda parte della Costituzione varata unilateralmente dal passato governo Berlusconi, per certi versi e indirettamente non estranea alla prima parte della stessa, se non respinta dall'esito del referendum produrrebbe una trasformazione irreversibile e fatale per la vita democratica della Repubblica.

La revisione della Costituzione, in base all'art. 138 della stessa, varata dal centro destra sul finire del 2005, non può essere percepita come la modifica di una parte della Carta fondamentale italiana, quindi marginale, e che non interessa i principi fondamentali, perché essa avrà un forte impatto sull'assetto politico e istituzionale del Paese. Una revisione imposta dal governo Berlusconi, frutto di un lavoro di preparazione extraparlamentare che ha recepito unicamente le istanze e le concezioni proprie di una maggioranza di centro destra, non esente dalle necessità di baratto al suo interno.
La modifica di ben 53 articoli della Costituzione porta con se non solo la famigerata devolution, contropartita di 5 anni di governo della Lega Nord, ma soprattutto sfigura il Parlamento, garantisce un Premier sostanzialmente inamovibile e attore principale della vita istituzionale, la trasformazione del Senato della Repubblica in Senato Federale, la compressione del ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale.

Con la devolution si amplia la potestà legislativa delle Regioni che viene qualificata come "esclusiva" in materia sanitaria, scolastica e di polizia regionale e locale e in "ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato" (nuovo art. 117, c. 4 Cost.). Più che di devoluzione, si tratta di discriminazione su diritti fondamentali del cittadino che potrebbero presentarsi in modo diverso o svuotarsi in alcune parti del territorio nazionale.

Per quanto riguarda il Parlamento, la trasformazione del Senato della Repubblica in Senato Federale non consentirebbe un adeguato coordinamento tra la legislazione statale e regionale, oltre che un'effettiva partecipazione delle Regioni, dato che l'ultimo comma dell'art. 57 come riscritto sancisce che siano senza diritto di voto i rappresentanti delle Regioni in Senato, eletti da ciascun Consiglio regionale e dai Consigli delle autonomie locali.

Ma la modifica più incisiva si gioca sul ruolo della Camera e trasforma letteralmente la forma di governo parlamentare. Il riscritto art. 88 della Costituzione prevede in sostanza che il Presidente della Repubblica sciolga la Camera quando richiesto dal Primo Ministro, salvo il caso di sfiducia a quest'ultimo votata a maggioranza assoluta, cioè quella del collegata al Premier.
Ma non solo: l'art. 92, comma 2, come riscritto prevede che "la legge disciplina l'elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza collegata al candidato alla carica di Primo Ministro". E' chiaro quindi come l'intento sia quello di costruire un premierato forte e inamovibile con un pesante controllo della Camera e dove inoltre è nelle mani del Governo stesso il potere di scrivere l'ordine del giorno della Camera e del Senato. Si prefigura un sistema dove il Premier è eletto direttamente dai cittadini e dove le minoranze non hanno più voce in capitolo; dove i partiti verranno sempre più assorbiti da grandi coalizioni, dove si attua una politicizzazione della Corte Costituzionale, i cui membri eletti da Camera e Senato passano da cinque a sette.

Una nuova Repubblica del premier dove gli abusi - eventuali s'intende - della maggioranza, non saranno più garantiti da un equilibrio e un contrappeso tra i poteri, non più divisi ed equilibrati, ma gestiti dal premier stesso e dai suoi collaboratori. Con i cittadini, di nuovo, sudditi.