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di Marco Dugini

I risultati delle amministrative narrano di tre vittorie schiaccianti per l'Unione (Roma, Torino, Napoli), mentre la Casa delle Libertà riconferma Cuffaro alla Regione Sicilia e vince con più affanno del previsto a Milano con l'ex-ministro Moratti, dopo un iniziale testa a testa.
Tutto meno che la rivincita promessa dalla Cdl.
Anzi, sottolinea beffardo D'Alema: "Se il tema per Berlusconi era una rivincita, allora c'è stata una riperdita", concludendo, "ma non era la rivincita il tema, perché si tratta di elezioni amministrative ed ora possiamo governare con tranquillità".
Forse, proprio in queste parole di D'Alema, sta la cifra politica della giornata elettorale appena consumata.
In effetti le amministrative di ieri rappresentano una prima iniezione di ossigeno nei polmoni del neonato governo unionista e una chiara battuta d'arresto per le mire revansciste di Berlusconi e dell'opposizione da lui capeggiata, che su quest'ultima chiamata alle urne si era a dir poco sbilanciato, intendendo affidarle un chiaro e rilevante significato politico.
"Spallata" contro il nuovo governo, in vista del "ribaltone", la lettura politica del cavaliere essendo quella di un governo di centro-sinistra ai limiti della legittimità, di cui il popolo italiano sarebbe già stufo dopo così pochi giorni e quindi desideroso di riportare in tempi brevi il centro-destra nelle stanze dei bottoni. Per l'ex-premier l'imperativo categorico era dunque quello di spedire un primo avviso di sfratto mediante queste amministrative, per volontà sua così vicine alle politiche di Aprile, per poi arrivare al ko tecnico già nel mese di Giugno, nel contesto del referendum costituzionale sulla "devolution".
Consultazione che, nelle sue intenzioni, sarebbe dunque stata spogliata interamente della sua motivazione originaria e dei quesiti ivi posti, le caselle del "si" e del "no" assurgendo al ruolo di referendum abrogativo (o confermativo) del governo Prodi.

Eppure, nonostante questa strategia abbia già fallito il primo, e forse determinante, obiettivo, con un corpo elettorale tutt'altro che smanioso di prendersi una rivincita istantanea, quanto assai apatico e disinteressato nei confronti dell'ennesima chiamata alle urne, non si può dire, nemmeno con il senno di poi, che la tattica di Berlusconi, evidentemente opposta a quella di Casini e dell'Udc, fosse sbagliata in linea teorica.
Piuttosto era l'unico modo per ammortizzare l'avvenuta sconfitta politica, rimuoverne nell'inconscio il lutto, tenere salda la sua leadership di capo indiscusso e la compattezza di un'opposizione che, del resto, potrebbe scricchiolare da un momento all'altro.
Di qui la linea di scontro duro ("e puro"), clima da campagna elettorale permanente fino a data da destinarsi, e assenza quasi totale di auto-critica sulla passata esperienza di governo.
Del resto il "Nord produttivo sta con la Cdl", Prodi ha vinto di un soffio e, fino alla riconta definitiva delle schede annullate, non c'è motivo di riconoscere la vittoria dell'avversario - è il ragionamento berlusconiano.

Invece adesso, per quanto riguarda il Nord, anche Milano si trova ad essere "spaccata in due", con una vittoria di misura della Moratti, che tra le altre cose ha perso gran parte del vantaggio di partenza lasciato dal sindaco Albertini, mentre Torino ha tributato un consenso quasi plebiscitario per l'Unione e in particolare per la gestione Chiamparino.
Per la destra si sarebbe potuto parlare di vittoria solo nel caso in cui questa avesse ottenuto ottimi risultati a Milano (confermando il "teorema Nord") e se fosse riuscita ad espugnare Napoli, su cui pure, in campagna elettorale, Berlusconi aveva cercato il bagno della folla.
Così non è stato e mentre la maggior parte dei quotidiani sottolinea, con varie sfumature, ora la buona tenuta generale dell'Unione, ora il suo avanzamento complessivo, gli editorialisti meno allineati della Cdl danno sfogo a tutta la frustrazione del momento.

Libero titola: "Stufi marci", Pierluigi Battista (fronda destro-fila del Corriere) stigmatizza l'inconsistenza e la disorganizzazione della classe dirigente della Cdl a livello locale e pure Il Giornale di Berlusconi riconosce che "dalle urne esce un Polo da rifare".
Ma fino al giorno del referendum sulla devoluzione, quest'ultima opzione appare poco probabile.
Il 25 e il 26 Giugno, dunque, continuano a costituire uno spartiacque per le future decisioni dell'opposizione e il suo carattere più o meno barricadiero. Tuttavia, dopo il passo falso delle avvenute amministrative, il tentativo di trasformare i quesiti costituzionali in un forte scontro tra maggioranza e opposizione rischia di essere assai pericoloso: un'arma a doppio taglio.
E per la Cdl si tratterebbe del taglio definitivo.

Certamente questo sarà un appuntamento fondamentale per la Lega, poiché, pur continuando a trionfare nelle tradizionali roccaforti "padane" (Treviso provincia, Varese, Lecco), adesso rischia di perdere l'unico bottino portato a casa nella scorsa legislatura, vale a dire la devolution.
A ragione la Lega inizia a preoccuparsi: di certo l'ennesima votazione, in clima balneare, in contemporanea con gli attesi Mondiali di calcio e in odor di astensionismo soprattutto a destra, non promette nulla di buono, in particolare tenendo conto che il referendum costituzionale non necessita di quorum, ergo i "no" del più partecipativo e organizzato popolo di sinistra potrebbero facilmente vincere. Castelli, tra i pochi nel centro-destra, non vorrebbe trasformare il referendum in uno scontro ideologico, ma discutere e chiamare al voto sul tema specifico, con una tenuta unitaria della propria coalizione e soprattutto un grande investimento in propaganda e mobilitazione.
Non lo ascolta nemmeno il suo compagno di partito Maroni: "Più il referendum sarà caricato di significato politico, più sarà drammatizzato, più avremo possibilità di vincere".

Certo è che adesso nel centro-destra si fa sempre più pericolosa l'ipotesi di fallire tutti gli obiettivi, dopo averli per l'appunto "caricati di significati politici" e, se così fosse, non tarderebbe a farsi sentire la linea meno frontista e più dialogante dell'Udc e di una parte di An, per ora messa in sordina.

Ma è stata davvero così netta la sconfitta della Casa delle libertà in quest'ultima tornata elettorale?
In realtà i dati parlano di una sostanziale tenuta delle amministrazioni uscenti, ora di sinistra, ora di destra, con un lieve miglioramento del primo in fatto di percentuali numeriche.
Se la lettura generale che è stata data dai principali commentatori è stata così negativa per il centro-destra è proprio in virtù dei propositi revanscisti dichiarati da Berlusconi nei giorni scorsi.
Lui ha cercato lo scontro immediato, lui ha voluto scommettere sul responso delle urne, lui ha perso.

Per altro, è pur vero che senza una forte diffusione di veleni ideologici (vedere alla voce anti-comunismo e tasse), materia in cui il Cavaliere è maestro indiscusso, le capacità di mobilitazione del suo corpo sociale moderato-conservatore sono ben poche, e questo lo sanno bene anche gli alleati più recalcitranti.
Laddove questo tipo di campagna elettorale non è possibile - ed è il caso delle amministrative - in cui pure la Cdl sconta una classe dirigente inferiore per capacità alla controparte avversaria, l'elettorato si limita a votare per il candidato verso cui ha più fiducia.
E spesso la scelta ricade verso l'Unione, che più risorse ha investito nel radicamento sul territorio.

Come che sia, sta di fatto che Berlusconi, dopo due sonore sconfitte tutte politiche, ha dato finalmente all'Unione e a Prodi la possibilità di governare con una certa stabilità, a meno di drammatici autogoal.
E se il 25 e il 26 Giugno dovesse vincere il "no", sulla Cdl calerebbero le tenebre e si assisterebbe alla già rimandata notte dei lunghi coltelli, tant'è che le odierne lamentele di Buttiglione - "la tattica del muro contro muro non paga, i nostri elettori vogliono il confronto parlamentare" - potrebbero presto guadagnare l'egemonia all'interno della coalizione.