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di Fabrizio Casari

Meno di un centinaio di deputati. Tanti sono i rappresentanti del popolo corsi in aula per discutere di amnistia. Certo, non si trattava di condoni, dove il centrodestra garantisce il pienone, né di leggi elettorali, dove tutti ritengono, davanti alla loro coscienza ed alle telecamere, di doversi esprimere. I parlamentari assenti, in altre faccende affaccendati, hanno perso l'occasione di dimostrare che le condizioni di vita dei detenuti valgono almeno qualche ora delle loro vacanze e del loro shopping. I più decorosi hanno candidamente ammesso che avevano altro da fare; i più cinici hanno spiegato che tanto non ci sarebbero stati i numeri; i più ipocriti sono quelli (243) che hanno firmato per riunire la Camera in seduta straordinaria ed hanno poi deciso di non presentarsi, in un divertente quanto illuminante caso di dissociazione da se stessi; i peggiori hanno argomentato che non volevano generare illusioni, come se qualcuno potesse illudersi sul nostro ceto politico. Mancavano quasi tutti quelli che applaudivano scroscianti Papa Woytila quando, in un intervento davvero inconcepibile per uno Stato laico quale quello di un Papa che prende la parola in Parlamento, aveva comunque invocato un'amnistia. L'evento è ricordato da una targa, gli applausi sono in archivio.

Che la situazione delle carceri italiane sia gravissima poco importa. Che quella di migliaia e migliaia di detenuti sia drammatica, pazienza. I dati diffusi dagli organismi che si occupano della condizione degli istituti di pena parlano di un sovraffollamento intollerabile, dell'impossibilità di curarsi soprattutto per i cronici; di mancanza di personale qualificato e d'impossibilità di percorsi di reinserimento dei detenuti, per non parlare delle prevaricazioni e degli abusi verso i più deboli e soli. Un quadro preoccupante dal quale emerge una verità indiscutibile: è il disagio sociale il detenuto numero uno delle carceri del Belpaese. Sono i più marginali, una massa di senza diritti e senza difensori potenti, sui quali gli spioncini della celle che ogni sera si chiudono, somigliano ad una pietra tombale sul loro reinserimento.

Eppure la Costituzione italiana parla di reinserimento, di rieducazione del detenuto, così come prevede atti di clemenza, indulti o amnistie che siano. Ma il sovraffollamento e le condizioni della detenzione di molti non hanno nulla a che vedere con i percorsi rieducativi. Il Parlamento italiano, specie negli ultimi anni, ha votato a più riprese depenalizzazioni che hanno direttamente o indirettamente favorito imputati eccellenti. Sono stati cancellati reati e con essi condanne, previste o avvenute che fossero. Così oggi si può andare in carcere per essersi opposti ad uno sfratto o per aver difeso uno sciopero, ma si possono invece, in tutta legalità, truccare bilanci. E' divenuto illegale aiutare una coppia sterile mentre si può legalmente obiettare e rifiutare assistenza ad una che sterile non é. Può accadere che Castelli sia Ministro della Giustizia e Adriano Sofri sia sepolto dalla giustizia. Un provvedimento di clemenza non avrebbe avuto nessun effetto pernicioso; nessun pericolo minacciava le nostre strade e le nostre case tranne quello di mostrare un paese più civile di quello che in realtà é. Una occasione persa per chi si sforza di restituire umanità alla pena e di applicare la Costituzione; una conferma per chi ritiene che la decadenza del nostro sistema politico, risieda tanto nelle forme della rappresentanza quanto nello spessore dei rappresentanti.