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di Marco Dugini

Ormai è andata. Il responso delle urne ha sancito la vittoria del centro-sinistra, anche se si è trattato di una vittoria in bilico fino all'ultimo, e tutt'altro che netta.
E' emersa, in altre parole, un'Italia spaccata in due, e sarà dunque difficilissimo governare in queste condizioni.
La partecipazione al voto ha toccato quote numeriche da Apocalisse e da resa dei conti finale, sintomo del grande stato d'ansia suscitato dai toni virulenti emersi nell'ultima parte della campagna elettorale, e anche di una forte capacità di mobilitazione del proprio elettorato da parte di tutte e due le coalizioni, almeno in questo frangente.
Nelle sedi di tutti i partiti, in queste convulse giornate, si stanno meticolosamente analizzando i consensi ottenuti, quei consensi che decideranno i rapporti di forza nella prossima legislatura, sempre se quest'ultima resisterà alla prova di governo e non si andrà a nuove elezioni.
Qualche mese fa si era parlato di incubo da grande coalizione alla tedesca, in caso di empasse al Senato della Repubblica, ed infatti Berlusconi ha immediatamente giocato d'anticipo sui propri alleati, tirando fuori la propria maschera più conciliante, per essere più credibile nell'atto di proporre al centro-sinistra un governo di unità nazionale, un'esplicita "Grande Coalizione per il bene del Paese". Per non parlare dell'orrido scenario da Governo balneare.
Per ora Prodi ha declinato l'offerta, ma non è improbabile che in futuro su alcuni temi scottanti si cerchino convergenze sotterranee, "inciuci" e quant'altro. C'è sempre qualche vecchia talpa, buona per scavare in profondità. Ad ogni modo queste elezioni hanno segnato diverse tendenze interessanti, alcune davvero inaspettate, tra cui sicuramente la resistenza accanita di un berlusconismo che non vuole eclissarsi e che ha resistito agli attacchi degli avversari e alle critiche velenose degli alleati.
Per molti elettori di centro-destra "Berlusconi Presidente" rappresenta ancora una forza insostituibile per cantarle alla sinistra e non già un volatile amore con le ali bagnate e strappate dopo i miseri fatti di un quinquennio di governo.
E' pur vero che Forza Italia ha perso comunque più di due milioni di voti e cinque punti percentuali rispetto alle scorse elezioni; ma il suo 23,7% testimonia di un'accanita rimonta rispetto alle ultime tornate elettorali (Europee 2004 e Regionali 2005) che la vedevano in netta crisi.
Invece il partito di Berlusconi resta il primo al Senato e potrà dunque condurre l'opposizione fino alle prossime elezioni, ben lontano da scenari precedentemente evocati, tra cui una godibile "lunga notte dei coltelli" tra le forze di centro-destra.

Inoltre quel che ha perso Forza Italia, secondo un collaudato sistema di vasi comunicanti, l'ha guadagnato l'Udc.
La linea scelta da quest'ultimo partito, moderata - anche verbalmente - e auto-critica, ha dunque pagato fino in fondo.
Il partito di Casini ha praticamente raddoppiato i propri consensi, intercettando parte dell'elettorato berlusconiano deluso dal capo e passando, rispetto alle scorse politiche, dal 3,2% al 6,8%, per un totale di quasi un milione e mezzo in più di voti.
Un risultato lusinghiero che tuttavia continua a relegare l'Udc nel ruolo di ancella moderata, portatrice di acqua al mulino di Berlusconi, del tutto incapace di assumere le redini della Casa delle Libertà, come probabilmente i leader ex-democristiani avevano sognato e tramato in questi ultimi anni.

Al contrario per Alleanza Nazionale è andata esattamente come previsto.
Il risultato fotografa un 12,3% di elettori stabili e ormai acquisiti, senza rilevanti nuovi acquisti rispetto alle scorse politiche.
La posizione stabile di An è conseguenza diretta dell'eccessivo appiattimento di Fini rispetto alle posizioni e alle politiche di Berlusconi, che impediscono a questo partito la possibilità di intercettare una parte del voto critico, come invece è accaduto per l'Udc.

In questo senso è ormai chiaro che i principali rapporti di forza all'interno della Cdl rimarranno invariati nel corso della prossima legislatura, con una leggera fiducia in più accordata al partito di Casini.
Mentre si complica, subendo una battuta d'arresto, il sogno di Fini di sostituire il liberal-populismo di Forza Italia con il nuovo indirizzo liberal-conservatore di Alleanza Nazionale, idea del resto bocciata anche in sede europea, in seguito alla non ammissione di questo partito tra le file dei popolari europei.

Anche la Lega Nord non è andata malissimo, ma certamente il 4,6% ottenuto non rappresenta un risultato incoraggiante, anche se superiore a quello delle scorse politiche, e solo lievemente in flessione rispetto alle Regionali del 2005.
Su questo partito, tuttavia, gravitano una serie di incognite e contraddizioni che difficilmente potranno essere sciolte, in particolare da questa classe dirigente orfana del leader plebiscitario Umberto Bossi.
La linea di lotta e di governo non ha funzionato perfettamente e i risultati sarebbero stati ancora peggiori per la Lega Nord, se questa non si fosse alleata nel Sud Italia con la lista autonomista di Lombardo.
Nei giorni scorsi, prima del responso delle urne, Maroni aveva lasciato intendere la possibilità di abbandonare il centro-destra e di essere in cerca di alleanze a sinistra, se quest'ultima avesse sostenuto la loro idea di federalismo.
D'altronde il miscuglio di tematiche razziste e xenofobe, che questo partito ha usato come collante ideologico con la destra ultra-nazionalista, ha determinato l'irricevibilità della proposta per quella che D'Alema aveva definito, non molti anni fa, "una costola della sinistra".
Non bastasse, prossimamente l'Unione avrà anche la possibilità di prendersi una rivincita, tramite abrogazione referendaria della Devolution approvata nella scorsa legislatura, che è stata, nei fatti, l'unico bottino portato a casa dal partito di Bossi.
Tutto ciò da la misura di un partito tanto affamato di fatti concreti, tradizionalmente ottenuti in forza di plurimi e trasversali ricatti, quanto ormai confinato in un'area di estremismo marginale, ininfluente sia a livello di governo che di opposizione; e presto tutti i nodi potrebbero venire al pettine.
Sempre sul fronte del centro-destra c'è da rilevare il totale fallimento del cartello para-fascista sotto il nome della Mussolini, che ha ottenuto un magrissimo 0,67%, e la stessa cosa dicasi per altre forze ultra-destrorse quali la Fiamma Tricolore o il Movimento sociale di Pino Rauti.
Tutti questi micro-partitini, stelle moribonde di una costellazione razzista, nostalgica ed anti-semita, hanno chiaramente fallito l'obiettivo di intercettare l'elettorato post-missino, deluso dalle svolte di Gianfranco di Fini.

Sul fronte opposto, quello del centro-sinistra, la prima cosa che salta all'occhio è l'ottimo risultato della sinistra radicale nel suo complesso, così come la prova tutto sommato deludente delle forze moderate e "riformiste".
Alla Camera la lista unitaria dell'Ulivo non ha sfondato, praticamente fotocopiando quel 31,4% già ottenuto alle scorse Europee, che già era stato una battuta d'arresto per la nascita del Partito Democratico.
Tuttavia è anche vero che al Senato, dove Democratici di sinistra, Margherita, e Repubblicani europei, correvano da soli, i risultati sono stati ancora peggiori (rispettivamente 17,5%, 10,7% e 0,1%).
Sommando tutte le cifre si otterrebbe qualcosa di vicino al 28%, quindi inferiore al dato unitario della Camera.
Non a caso i leader dell'Ulivo hanno prontamente rilanciato l'idea dell'edificazione imminente del Partito Democratico, per garantire l'azionariato di maggioranza alle forze moderate del centro-sinistra, e perché "gli elettori ce lo chiedono" (Fassino).
Ma la prova del voto è stata decisamente di basso profilo sia per la Margherita (che perde quattro punti percentuali e poco meno di due milioni di voti) che per i Ds, i quali pur avendo recuperato qualcosa rispetto alle scorse elezioni, hanno fallito il tentativo di diventare il primo partito italiano al Senato e una forza in ottima salute.
A livello territoriale i Ds sono stati puniti sia nelle tradizionali roccaforti "rosse" dell'Italia centrale, in favore di Rifondazione Comunista, sia nel Piemonte di Fassino, in particolare nelle zone no-tav della Val Di Susa, dove gli elettori hanno tradito in massa la Quercia, siglando il loro consenso sui simboli della falce e martello e del sole che ride, i quali hanno ottenuto, nel complesso, risultati sbalorditivi in queste zone, con punte del 40%.
Ad essere punita, in questo caso, è stata evidentemente la linea "ad alta velocità" di Mercedes Bresso e Chiamparino.

La sinistra radicale, dicevamo, ha ottenuto ottimi risultati.
Rifondazione comunista con il suo 7,4% al Senato, curiosamente ridimensionato ad un 5,8% alla Camera, ha ben ragione di essere soddisfatta di questo voto che la fa aumentare di due punti sia rispetto alle politiche del 2001, che alle regionali del 2006.
Alla fine pare che i semi piantati abbiano dato i loro frutti, soprattutto se si tiene conto dell'altissima affluenza alle urne, che ha impedito a questo partito di ottenere consensi ancora maggiori, segnalati da quei settecentomila voti in più guadagnati in queste ultime elezioni.
Anche Verdi e Pdci, sia unitariamente al Senato, che separatamente alla Camera, hanno centrato l'obiettivo categorico di superare le soglie indispensabili per accedere alla ripartizione dei seggi in entrambe le camere.
I Comunisti italiani, con duecentomila voti in più, hanno ottenuto al Senato un 2,3%, superiore alla prova, tutto sommato più modesta e inferiore alle aspettative, dei Verdi. (2,1% e diecimila voti in meno rispetto alle Europee del 2004).
Mentre al Senato, la coalizione di questi due partiti, vale a dire "Insieme per l'Unione", si è assicurata il 4,2% dei consensi, dimostrando - ed è un rarissimo caso - che è possibile fare cartelli elettorali col proporzionale, senza rilevanti emorragie in termini di voti.
L'unione di Verdi e Pdci, sembra dunque funzionare in seno all'elettorato, ben più che lo scorso tentativo del Girasole (Verdi più lo Sdi di Borselli).
Ad ogni modo, sempre sul fronte della sinistra radicale, e proprio in virtù dei risultati incoraggianti, si fanno sempre più insistenti le voci di una maggiore unità d'intenti, allargata anche a Rifondazione (il partito maggiore dell'area) e a spezzoni di movimento, tradizionalmente non circuibili in strutture e confini di partito.
Tutto questo con l'evidente obiettivo di contro-bilanciare la spinta aggregativa e potenzialmente egemonica del fronte moderato/riformista dell'Unione e con il sogno, dichiarato da Pecoraro Scanio, di toccare quote intorno al 20%, per ora proibitive anche a causa dell'eccessiva frammentazione delle proposte.

Tuttavia, se è importante sottolineare come i risultati della sinistra radicale nel suo complesso, superino ormai al Senato quelli di una forza di centro qual è la Margherita, la sostanziale parità e spaccatura in due del Paese, sancita dal voto, sembra invece avvantaggiare, enormemente e paradossalmente, proprio quelle forze moderate dell'Unione uscite ridimensionate dal voto.
E' chiaro che con soli 24.000 voti in più la coalizione di centro-sinistra difficilmente potrà perseguire grandi progetti di riforma e quel "vuoi vedere che l'Italia cambia davvero?" che è stato un po' il leit motiv di successo della campagna elettorale di Rifondazione.

In quanto ai restanti partiti dell'Unione, se l'Italia dei Valori di Di Pietro ha sufficienti ragioni per festeggiare, l'Udeur di Mastella è ormai in caduta libera, ed è possibile che parte del suo tradizionale elettorato centrista si sia rifugiato tra le file dell'Udc, per via della questione dei Pacs e dell'anti-clericalismo, fortemente accentuato della Rosa nel Pugno.
Rosa Nel Pugno che con l'Udeur, tuttavia, ha condiviso il fallito tentativo di strappare al fronte avverso una parte dell'elettorato fortemente critico nei confronti di Berlusconi.
Doveva essere ben più che un cartello elettorale tra i socialisti di Boselli e i radicali di Pannella e Bonino; avrebbe dovuto invece rappresentare la reale novità di queste elezioni: una forza laica, liberale e socialista al modo di Blair e Zapatero, capace di "rinnovare" il centro-sinistra. Ebbene si è dimostrato un micidiale fallimento, che ha gelato le aspettative di Capezzone & company, probabilmente sovraeccitati da sondaggi ed exit-pool, fallaci come non mai.
Exit-pool che del resto hanno giocato più di un brutto scherzo non solo alla Rosa nel Pugno, ma anche a milioni di italiani, certi com'erano di poter scacciare lo spettro di Berlusconi una volta per tutte, cosa che purtroppo non è accaduta.

Allo stato dei fatti attuale, invece, con i conti disastrati lasciati dalla destra, col paese spaccato in due fazioni numericamente uguali e con un centro-sinistra depositario di numerose contraddizioni interne, sia in politica estera che economica, la prova di governo sarà realisticamente molto dura.
La tentazione di un governo che elegga il presidente, scriva il Dpf e vada al mare è la jattura da evitare. Ma come sempre, chi vivrà vedrà. Non è detto che il centrodestra, alla prova dell'opposizione, resti quel macigno che si sogna ad Arcore…