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di Marco Dugini

Manca poco, pochissimo, alla data fatidica del 9 Aprile e le ultime settimane consumate in battibecchi tra i due schieramenti avversi confermano la sensazione di trovarsi di fronte ad una delle più brutte campagne elettorali di tutti i tempi, con una leadership politica decisamente modesta, anche quella di sinistra, "caimanizzata" com'è, per dirla con Nanni Moretti, dallo scontro frontale con un berlusconismo, in quanto fenomeno culturale sempre più scomposto e pericoloso.
Il reame attualmente al potere, percependo gli scricchiolii sempre più evidenti, sembra pronto agli ultimi colpi di coda, e non è neppure escluso che l'elettorato si rechi alle urne con allarmi terroristici in corso.
Con Tremonti, addirittura, l'avversario diventa agente della Cina, e dal rosso si passa quindi a sottolineare il giallo delle copertine dei programmi e del tir elettorale di Prodi.
Eppure queste politiche, per altri versi, risultano decisamente interessanti, a patto di non volersi fermare ad un riduzionismo semplicistico.
Più di qualsiasi altro tema - dalla politica estera alle Unioni civili, passando per la risoluzione del conflitto d'interessi - quello delle politiche fiscali, sarà davvero la cartina da tornasole di due modi d'intendere il futuro dell'Italia. Due Italie, dunque.
Quella dei furbetti del quartierino, della depenalizzazione del falso in bilancio, dei condoni da Repubblica delle banane, dell'evasione e dell'elusione fiscale - e si potrebbe continuare ancora - si presenta dunque con i suoi ben magri risultati, che del resto hanno scontentato persino lo stato maggiore di Confindustria.
Ma certamente diversi commercianti, piccoli imprenditori che non hanno tradizionalmente retro-culture "governiste" e il blocco delle professioni, non stravedranno di fronte all'accentuato pathos del centro-sinistra sulla questione "evasione fiscale".

Dall'altra parte c'è una larga fetta di questo paese che, più o meno volontariamente, le tasse le paga tutte e che per questo è molto adirata dallo stato delle cose, se è vero che l'evasione in Italia ammonta ad una media del 7% sul PIL; e stiamo parlando di dati certificati dall'Agenzia delle Entrate e in continuo aumento, con cifre equivalenti a quelle dell'intera spesa sanitaria nazionale.
Di più: la destinazione d'uso di queste risorse evase è per metà rivolta verso prodotti di lusso e beni rifugio, ergo con evidenti finalità improduttive.

Gli scettici, non senza motivi di ragione, sostengono che questo tema è sempre stato sollevato dai politici e nei fatti costantemente eluso.
Eppure, sgombrato il campo da ipotesi utopistiche quali la risoluzione tout court di questo problema nazionale nei primi anni di un futuro governo di centro-sinistra, non sembrano invece essere velleitarie quelle di una presa di coscienza del problema e di un'inversione di tendenza in tal senso.
D'altronde è proprio il paragone con il resto del continente a fornire i necessari punti di riferimento.
L'Italia non ha infatti alcuna situazione di sovraccarico fiscale, essendo quasi perfettamente in linea con la media europea (44,5% di entrate pubbliche sul PIL contro il 44,4%), a fronte di una quota evasiva decisamente maggiore.

Ridurre la questione ad uno slogan, come vorrebbe fare Tremonti quando parla di uno schieramento che è per la riduzione delle tasse e un altro che vorrebbe altresì aumentarle, è un approccio scorretto; significa preferire il collasso del sistema Paese, all'ipotesi di strappare un voto in meno alle prossime elezioni.
Difatti il centro-sinistra, nel suo complesso, sta cercando di smarcarsi da questa demagogica antinomia, puntando il dito su una diversa distribuzione del prelievo fiscale, piuttosto che su un suo aumento.
Il tutto con la finalità in uscita di uno Stato del benessere all'altezza dei tempi, magari sul modello funzionante dei sistemi scandinavi.
E' importante specificare che dalla falsata ed ideologica promessa della riduzione delle tasse, senza spiegazioni su cosa deriverebbe da una politica economica del genere, sono nati infatti i passati successi dei liberismi che si rifanno alla matrice reaganiana e tatcheriana; tuttavia l'operazione culturale del centro-sinistra pare fino ad ora riuscita, e non era certo delle più facili.

Del resto l'ipotesi stessa della riduzione del cuneo fiscale, sul quale si è ampiamente soffermato Prodi, è già di per sé una riduzione di tasse sul costo del lavoro regolare, che se da un lato positivamente andrebbe nella direzione di un meccanismo additivo in fatto di competitività nel mercato internazionale, all'opposto, e altrettanto positivamente, svantaggerebbe il lavoro precario, dove invece il cuneo aumenterebbe.
Una cura da cavallo e due piccioni con una fava?
E' possibile, ma proprio qui si annida la principale incognita, se è vero che il Professore è determinato ad effettuare un taglio di cinque punti sul cuneo fiscale nel solo primo anno di governo, che è un'ipotesi particolarmente avventurosa.

Il centro-sinistra, comunque sia, erediterà infatti i conti disastrati della Casa delle Libertà e una situazione strutturale del fisco incrostata nelle sue storture ormai decennali.
Ecco quindi che il Polo ha colto al balzo l'occasione di spaventare il ceto medio, impoverito dall'attività di questo governo, ma anche minacciato da una possibile stangata fiscale da parte del centro-sinistra.
"Aumenteranno le tasse sui B.o.t e colpiranno i risparmiatori comuni" è il coro unanime, il fuoco incrociato di tutte le "punte" della Cdl, che su questo tema ha ritrovato l'unità d'intenti.

A sinistra invece tutti si adoperano nel negare queste tendenziose insinuazioni che genererebbero "allarmismi" e turberebbero i mercati.
D'altronde il leader dell'Unione non è stato ancora sufficientemente chiaro nel definire orientativamente quale sarà il metodo di reperimento delle risorse, in modo da non colpire le pensioni e i risparmi dei ceti bassi e medi e senza tagliare la spesa sociale.
Su questo punto Prodi potrebbe, o meglio dovrebbe, sfruttare l'occasione del 3 Aprile, in occasione dell'ultimo faccia a faccia con Berlusconi, moderato da Bruno Vespa.

Ragionevolmente, par di capire, si andrà nella direzione dell'aumento dal 12,5% al 20% su rendite speculative e capital gain, vale a dire i guadagni di borsa, e questo è stato confermato da tutti, da Mastella a Bertinotti.

Una somma analoga sarà quindi reperita attraverso un aumento del carico contributivo sul lavoro precario.
E infine c'è la grande questione della lotta all'evasione.
La linea economica del prossimo governo, che qui si intreccia perfettamente con quella fiscale, sarà dunque quella di una redistribuzione delle risorse in senso maggiormente egualitario, andando a colpire invece le grandi fortune, i "grandi evasori" e le rendite superiori ai 100.000 euro.

Ad ogni modo, proprio per questo motivo, un'inversione di tendenza in fatto di evasione fiscale verso medie europee, più che un'utopia, più che una boutade proferita in clima di campagna elettorale, appare davvero strettamente legata al successo delle politiche economiche di un futuro governo di centro-sinistra.
Ma su questo sarà il tempo a dirci la sua, e prima ancora lo faranno gli elettori italiani il 9 d'Aprile.