Mancano ormai poche settimane al giorno delle elezioni politiche e il panorama
sembra immobilizzato; è stata messa in cantina, tra le battute e le contro-battute,
la proposta di un duello televisivo tra Berlusconi e Prodi, e congelata anche
la discussione sui programmi: sembra quasi di trovarsi di fronte ad una guerra
di posizione.
Prodi ha cercato l'appoggio simbolico di Kohl (la "vecchia" Europa),
mentre il candidato premier della Cdl è volato da Bush (la linea "filo-atlantista")
in cerca di uno spot elettorale teocon.
Lo ha già sostanzialmente ottenuto nei giorni scorsi, anche se giova
ricordare che Bush sta subendo in patria un tracollo di consensi ormai scesi
al 34%, e gli è stato rinnovato quando ha potuto fare il bis, in diretta
speciale su Canale 5, in uno speciale di ben venti minuti sul suo discorso al
Congresso degli Stati Uniti.
L'opposizione, anche attraverso i suoi consiglieri in sede di Vigilanza, ha
parlato di mancanza di equilibrio e violazione della par condicio, mentre
il direttore del Tg5, Carlo Rossella, si è rifugiato tra i discutibili
confini della messa in onda di un discorso non politico, ma istituzionale.
Siamo sempre alle solite: uno spazio a Prodi, uno a Berlusconi in quanto premier,
uno a Berlusconi in quanto rappresentante della Casa delle libertà, uno
a Berlusconi presidente di Forza Italia
"Il rappresentante del popolo italiano" ha fatto un lungo discorso
sulla necessità di libertà e democrazia in tutto il mondo, di
cui le guerre e le "baionette" statunitensi sarebbero state positivamente
esportatrici; d'altronde è noto che il nostro ami paragonarsi a Napoleone.
Con notevole amarcord (e incapacità di una seria analisi retro-storica)
Berlusconi ha poi ricordato il senso di cameratismo tra leader delle grandi
potenze mondiali durante il g8 di Genova, indifferenti alle proteste di massa
che stavano avvenendo fuori dai recinti entro cui si erano rinchiusi.
Intanto a sinistra si sprecano i richiami ad una generica "resistenza"
anti-berlusconiana, che si vorrebbe mobilitante nelle intenzioni; ma non è
stata portata avanti nessuna reale rivendicazione di quel programma così
voluminoso e redatto da tutte le relative forze politiche. Quasi non fosse stato
un parto doloroso, un compromesso necessario da valorizzare, ma un testo già
vecchio in partenza, che stabilisce solo linee di partenza, le destinazioni
essendo tutte da valutare ed eventualmente da capovolgere a seconda del futuro
risultato particolaristico di ciascuna delle forze partitiche che compongono
l'Unione.
Se il Programma rappresenta la sintesi, ergo l'auto-superamento hegeliano delle
differenze che pure sono importanti, tutti i partiti sembrano perseverare nella
riproduzione di linee politiche che spesso sono in antitesi tra di loro, con
grande confusione dell'elettorato, anche se questo sembra essere l'effetto inevitabile
sino a qui scaturito dal nuovo modello elettorale.
Dal giorno successivo della messa in stampa, dunque, la giacchetta arcobaleno
del programma del centro-sinistra è stata tirata dalle parti più
disparate.
Una coperta per tutte le stagioni che rischia di strapparsi, lasciando tutti
al freddo.
La Tav in Piemonte sarà una "grande opera" da realizzare subito?
Non si è ancora ben capito, e nel testo programmatico non vi è
alcuna specifica assicurazione.
E per quanto riguarda il ritiro delle truppe?
Il Programma sembra parlare chiaro: proposta immediata in Parlamento di ritiro
dei nostri soldati dall'Iraq, nei necessari tempi tecnici concordati con le
autorità irachene.
Per la sinistra radicale i tempi tecnici equivalgono a poco più di un
mese e anche Mastella, impensabile, ha infine ammesso: "Getto la spugna,
non si può restare un minuto di più in Iraq."
Ma Fassino ha fatto subito scoppiare il caso, dichiarando in un'intervista radiofonica
che il ritiro dovrebbe avvenire "non oltre il 2006". Cioè la
stessa posizione di Berlusconi.
Inoltre, se il Programma dell'Unione è teso a promuovere un corpo di caschi blu dell'Onu "in grado di intervenire nelle aree di sofferenza e conflitto con gli strumenti del dialogo, dell'interposizione non violenta, della diplomazia e della mediazione", per il contesto iracheno Fassino pensa invece ad una sostituzione delle truppe militari con un contingente "di forze di polizia e carabinieri", che in un Iraq in preda alla guerra civile (almeno 1300 morti nell'ultima settimana), non sembra poter né essere, né apparire, un'inversione di rotta verso una politica estera pacificatrice e non occupante agli occhi della popolazione locale.
Sul fronte della laicità, dei diritti civili, e della non ingerenza
della Chiesa, si registrano ulteriori battute d'arresto, ma anche curiose nuove
tendenze politiche, tutte in favore della "barricadera" Rosa nel Pugno.
Alcuni esponenti di primo piano dei Ds hanno infatti abbandonato il loro partito
in favore dell'unione di Sdi e Radicali, che registrano anche la mobilitazione
di figure come Aldo Busi, il quale sintetizza nel modo migliore il pensiero
di molti transfughi, quando parla di fuga da una "sinistra clericale".
E queste piccole scosse sembrano aver portato i frutti sperati alla Rosa nel
Pugno, dato che si tratta del partito che più è cresciuto nei
sondaggi degli ultimi tempi, insieme all'Italia dei Valori, (con cui si è
schierata Franca Rame) mentre la sinistra radicale, la quale ha parzialmente
ceduto al ribasso sui Pacs e la laicità, sembra vivere una progressiva
perdita di consensi elettorali.
Ma quella della Rosa nel Pugno è stata l'ennesima trovata mediatica,
dal momento che dopo aver abbandonato il tavolo programmatico con accentuato
pathos, non di meno quindici giorni dopo ha firmato lo stesso comune documento.
Cioè quello che, per volere dell'anima più "cattolico-popolare"
dell'Unione, in maniera negativa valuta i diritti delle cosiddette coppie di
fatto soltanto in termini individuali e quindi al ribasso.
Inoltre, se il consenso alla Rosa nel pugno favorisce la componente laica dell'Unione,
parallelamente ingrassa anche una componente iper-liberista in economia e con
posizioni filo-statunitensi riguardo alle guerre "umanitarie" e non,
come quella in Iraq.
Sul tema sono prepotentemente intervenuti sul campo anche esponenti clericali,
in tonaca e in borghese, i quali, senza molti giri di parole, hanno bollato
come corresponsabili di tragici crimini contro l'umanità, coloro che
voteranno alle prossime elezioni i partiti che non si sono - o non si saranno
- schierati per il divieto dell'aborto.
Sembra dunque di essere tornati all'immediato dopo-guerra, quando la Chiesa
minacciava di scomunicare gli elettori cattolici del Pci.
Più in generale i recenti sondaggi confermano il vantaggio del centro-sinistra
sul centro-destra, laddove quest'ultimo sembra avere parzialmente terminato
la sua piccola rimonta, evidentemente cristallizzata intorno al 47%.
Resta da vedere come si comporteranno "gli indecisi", i quali, in
queste elezioni a maggior ragione, dovrebbero essere separati in due sotto-insiemi
molto differenti tra loro.
Da un alto vi è un sempre più consistente blocco di persone che
nutrono ormai un distacco il più totale dalla politica tout-court, raffigurata
con l'oleografia di una partitocrazia che persegue esclusivamente interessi
auto-referenziali, senza distinzioni di sorta tra partiti e/o schieramenti.
Qui, evidentemente, è in crisi il senso stesso della democrazia rappresentativa.
Dall'altro lato vi è un altro blocco, composto da coloro che sono tentati
dal voto, ma ancora non hanno preso posizione.
Questi appaiono in maggioranza schierati a favore del centro-sinistra e, proprio
a costoro, è rivolto il sensibile appiattimento del centro-sinistra su
molte tematiche.
Tuttavia la necessità della ricerca del consenso degli "indecisi"
crea proporzionalmente problemi con l'elettorato più marcatamente di
sinistra, che vuole una reale alternativa al centro-destra, e non una semplice
alternanza amministrativa. Alternativa scarsamente riscontrabile sia nelle urla
sguaiate di una parte della sinistra radicale in cerca di visibilità,
sia negli imbarazzanti silenzi dei convertiti della sinistra moderata in cerca
di consensi da Oltretevere e Viale dell'Astronomia.
Non a caso una fetta cospicua degli indecisi e degli scontenti, secondo i sondaggi, guarda anche ai partiti della sinistra (più o meno radicale), e questo fa risaltare la natura estremamente eterogenea di questo blocco. Ma forse proprio l'assenza dei temi centrali della condizione economica e sociale del paese, o comunque l'evidenziazione di ciò che non si vuole, più che di quello che si pensa di fare, rischia d'incentivare l'indecisione, anche di quella sinistra che non ha votato negli ultimi anni ed in quella, forse maggioritaria tra gli indecisi, che non si riconosce in nessuno dei partiti facenti parte del centro-sinistra. Tanto più l'elettorato democratico avverte l'urgenza di mandare a casa questo governo, tanto più cresce infatti l'indecisione sul voto di lista.
Comunque, se non verranno sciolti determinati nodi, come quelli economici,
sociali e di politica estera, un centro-sinistra così "plurale",
per non dire confusionario, non sarà mai visto come uno spazio di tutti,
dove ogni singola differenza è un arricchimento della coalizione in generale,
bensì come l'evasione da una presa di posizione inequivocabile sui punti
centrali attorno ai quali ruoterà l'azione politica del futuro governo.
Questo è il rischio che l'Unione dovrà evitare, sia con un rafforzamento
del ruolo del candidato premier, sia con una secca virata sui temi sociali nella
sua comunicazione elettorale, anche solo per evitare di scontentare tutte le
varie tipologie di elettorato che avvertono l'urgenza di cambiare.
Di chiarezza e passione c'è bisogno.