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Le importazioni statunitensi di petrolio saudita sono ai minimi storici, gli acquisti cinesi di petrolio saudita continuano a crescere e gli interessi energetici russo-sauditi sono pienamente convergenti. Se è "tutta una questione di economia", allora i legami sauditi-statunitensi potrebbero non riprendersi mai del tutto.

 

“I nostri alleati nel Golfo non rispettano più l'accordo sottoscritto decenni fa, anche se abbiamo ancora una forte presenza militare nel Golfo, più consistente che mai, e continuiamo a chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani da parte dei paesi del Golfo. Troppo spesso i nostri alleati in Medio Oriente agiscono in conflitto con i nostri interessi relativi alla sicurezza”. –  Il presidente della sottocommissione per il Vicino Oriente, l'Asia meridionale, l'Asia centrale e l'antiterrorismo della commissione per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti, senatore Chris Murphy, luglio 2022.

La guerra in Ucraina e l'intensificarsi della concorrenza tra le grandi potenze hanno gettato un'ombra sui mercati globali e provocato alcuni cambiamenti sorprendenti nelle politiche estere degli stati. Il Regno dell'Arabia Saudita è tra questi paesi e il suo rapporto con gli Stati Uniti sta attualmente attraversando un periodo molto critico. Oggi Riyadh cerca un rapporto meno vincolante con Washington, che tenga conto della convergenza dei propri interessi con quelli di stati non occidentali.

Ci sono molte ragioni per cui il regno sta adottando una politica estera più pragmatica. Uno dei fattori chiave sono le relazioni energetiche, in particolare perché Riyadh cerca di preservare e far crescere i reciproci interessi con altre grandi potenze, come Cina e Russia.

La nascita dei petrodollari

Lo "shock di Nixon" nel 1971 ha segnato un cambiamento nella politica economica degli Stati Uniti, che hanno cercato da allora di dare la priorità alla propria crescita economica e stabilità rispetto a quelle di altri stati. Ciò ha portato alla fine degli accordi di Bretton Woods e della convertibilità dei dollari USA in oro. Washington si è invece mossa per stabilire un nuovo sistema in cui il dollaro USA fosse ancorato a una merce con domanda globale, al fine di mantenere la posizione di valuta di riserva dominante nel mondo.

Nel 1974 fu così raggiunto l'accordo sui petrodollari, in cui l'Arabia Saudita accettò di vendere petrolio esclusivamente in dollari USA in cambio di assistenza militare, sicurezza e sviluppo economico garantiti dagli Stati Uniti. L'accordo ha effettivamente legato il valore del dollaro USA alla domanda globale di petrolio, assicurando il suo continuo dominio come principale valuta di riserva mondiale.

Dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio saudita

Dopo l'accordo sui petrodollari, le esportazioni di petrolio saudita verso gli Stati Uniti sono aumentate, rendendo la sicurezza dell'Arabia Saudita ancora più critica per Washington. Nel 1991, gli Stati Uniti importavano 1,7 milioni di barili al giorno (bpd) di petrolio saudita, cioè un forte aumento rispetto ai 438.000 bpd del 1974.

Ciò rappresentava il 29,5% delle importazioni totali di petrolio degli Stati Uniti nel 1991 e il 26,4% delle esportazioni totali saudite, a conferma ulteriore dell'importanza per Washington di assicurare la sicurezza e la stabilità dell'Arabia Saudita. Ma l’eccezionale dipendenza dalle importazioni di petrolio dall'estero e dall'Arabia Saudita ha creato anche contraccolpi politici negli Stati Uniti, che hanno finito per lanciare a loro volta piani volti a ridurre le importazioni e ad aumentare la produzione interna di greggio.

Ciò è da ricondurre a diversi fattori, tra cui il potenziale impatto negativo di eventuali shock del mercato energetico - come il calo delle esportazioni di petrolio iraniano dopo la rivoluzione islamica del 1979 - sull'economia statunitense; oppure quello delle dispute geopolitiche sulle esportazioni di petrolio dall'Asia occidentale e i progressi tecnologici che hanno facilitato l'incremento della produzione di greggio negli Stati Uniti.

Nei decenni successivi, Washington è stata così in grado di ridurre con successo le importazioni di petrolio dall'Arabia Saudita: nel 2020, gli Stati Uniti hanno importato solo 356.000 barili al giorno di petrolio saudita, pari ad appena il 6% di tutte le importazioni di petrolio USA e il 4,8% di tutte le esportazioni di greggio saudita.

Cambiare le dinamiche del mercato petrolifero

In questo processo, l'Arabia Saudita ha perso gran parte del suo valore come mercato per gli americani e gli Stati Uniti non dipendono più dall'Arabia Saudita come fonte primaria di petrolio. Inoltre, il significativo aumento della produzione di “shale oil” negli Stati Uniti  ha creato un nuovo importante concorrente nel mercato dell'energia, che ha sollevato preoccupazioni a Riyadh per la sua influenza in declino come fornitore strategico di petrolio per il mondo.

Per diversificare le opzioni di esportazione di greggio, l'Arabia Saudita ha allora iniziato a guardare a est verso la Cina, il più grande importatore di petrolio al mondo. Negli ultimi due decenni, l'Arabia Saudita è gradualmente diventata la principale fonte di petrolio per la Cina, con le importazioni che sono aumentate del 16,3% tra il 1994 e il 2005, raggiungendo 1,75 milioni di barili al giorno nel 2022.

Rafforzare le relazioni economiche e diplomatiche con Pechino è diventata una necessità per Riyadh, che trae il 70 per cento dei suoi proventi dalle esportazioni di greggio. Lo stesso vale per la Cina, una potenza globale che cerca attivamente di diversificare le sue fonti di petrolio per evitare di dipendere da un singolo paese.

Negli ultimi anni, la Russia è emersa a sua volta come partner essenziale dell'industria petrolifera saudita. La creazione dell'OPEC+ è stata una risposta al calo dei prezzi del greggio causato in parte dal vertiginoso aumento della produzione di “shale oil” negli Stati Uniti a partire dal 2011.

La Russia e l'Arabia Saudita sono i maggiori esportatori mondiali di petrolio e la loro collaborazione si è dimostrata vitale per il controllo dei prezzi, grazie al coordinamento delle quantità di petrolio immesse nei mercati. Ciò ha portato nel 2016all'espansione dell'OPEC, che è controllata dall'Arabia Saudita, e all'istituzione dell'OPEC+ per includere la Russia.

Cooperazione OPEC+ dopo la guerra dei prezzi

Dopo le conseguenze negative della guerra dei prezzi del 2020 tra i principali produttori di petrolio, sia Riyadh che Mosca hanno riconosciuto l'importanza della cooperazione per salvaguardare i propri interessi energetici.

Nel marzo di quell'anno, l'OPEC+ si era riunita a Vienna per affrontare il calo della domanda di petrolio causato dalla pandemia di COVID-19. All'incontro, l'Arabia Saudita, il più grande produttore dell'organizzazione, propose di ridurre la produzione per stabilizzare i prezzi a un livello ragionevole e più alto, mentre la Russia, il più grande produttore non OPEC nell'OPEC +, si oppose ai tagli e si mosse per aumentare la sua produzione di petrolio.

In risposta alla mossa di Mosca, i sauditi aumentarono anch’essi la propria produzione e annunciarono tagli inaspettati dei prezzi del petrolio, compresi tra 6 e 8 dollari al barile per gli importatori in Europa, Asia e Stati Uniti. Questo annuncio innescò un forte calo dei prezzi del petrolio, con il Brent che crollò del 30%, segnando il più grande calo dalla Guerra del Golfo del 1991, mentre il “benchmark” WTI scese del 20%. Il 9 marzo, i mercati azionari globali registrarono perdite significative e il rublo russo scese del 7% rispetto al dollaro USA, raggiungendo il livello più basso in quattro anni.

La guerra dei prezzi del petrolio è durata circa un mese prima che i membri dell'OPEC+ raggiungessero un nuovo accordo ad aprile che includeva tagli storici alla produzione di petrolio, pari cioè a 10 milioni di barili al giorno. Questa esperienza ha segnato l'inizio di una cooperazione energetica ininterrotta tra Mosca e Riyadh.

Arabia Saudita: priorità ai propri interessi

Dallo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022, gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sui loro alleati affinché applicassero le sanzioni occidentali contro la Russia. Washington ha cercato di convincere il leader dell'OPEC, ovvero l’Arabia Saudita, ad aumentare la produzione di petrolio per frenare l'aumento dei prezzi causato dal conflitto, ma finora i sauditi hanno respinto tutte le richieste.

Ciò ha provocato un aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita, che ha portato alla visita infruttuosa del presidente degli Stati Uniti Joe Biden a Jeddah nel luglio 2022 per cercare di convincere il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS) ad aumentare i livelli di produzione di petrolio.

Inoltre, i tentativi occidentali di stabilire un prezzo massimo per il petrolio russo sono serviti solo ad allarmare l'Arabia Saudita, in quanto questo meccanismo darebbe la possibilità ai paesi importatori di imporre i prezzi del petrolio ai produttori. Nonostante i tentativi aggressivi di indebolire il settore energetico della Russia, l'alleanza occidentale USA-Europa non è stata in grado di farlo e, di fatto, lo scorso anno si è verificato un aumento delle esportazioni di energia russa in Europa, Cina e India.

Un certo numero di paesi, tra cui l'Arabia Saudita, ha contribuito a sostenere le esportazioni di energia russa acquistando petrolio da Mosca e riesportandolo nei mercati europei bisognosi o utilizzandolo localmente per aumentare i proventi delle esportazioni. Poiché la Russia è il secondo esportatore mondiale di petrolio, il suo isolamento dai mercati avrebbe altrimenti ripercussioni pesanti, soprattutto per gli stati esportatori di petrolio.

La guerra in Ucraina ha dimostrato dunque che Riyadh è pronta ad affrontare Washington quando sente che i suoi interessi energetici sono minacciati. Oggi gli Stati Uniti non sono più un partner energetico per l'Arabia Saudita, ma piuttosto un concorrente. Al suo posto, Pechino e Mosca sono diventate partner essenziali per Riyadh e i reciproci interessi energetici sono un fattore importante dietro agli sforzi di Mohammad bin Salman per diversificare le opzioni di politica estera del suo paese.

Stati Uniti e Arabia Saudita: non più alleati energetici

Dall'inizio dell'era della Guerra Fredda, il petrolio è stato un pilastro fondamentale dell'economia russa (ed ex sovietica). È perciò da sempre una priorità degli Stati Uniti riuscire a influenzare i prezzi come strumento di pressione contro Mosca. Poiché l'Arabia Saudita è considerata una superpotenza petrolifera, la cooperazione di Washington con Riyadh – nonostante le importazioni di petrolio saudite drasticamente ridotte – è al centro delle strategie economiche statunitensi per contrastare la Russia.

Ad esempio, a metà degli anni '80, durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan, gli Stati Uniti chiesero ai sauditi di inondare i mercati petroliferi per abbassare i prezzi e indebolire un'Unione Sovietica dipendente dalle entrate in questo settore. Nel 1986, i prezzi del petrolio scesero infatti di due terzi, da $ 30 al barile a quasi $ 10 al barile, paralizzando l'economia sovietica e compromettendo la sua influenza geopolitica.

Gli scenari sono però cambiati drasticamente nei successivi 37 anni. L'Arabia Saudita vede ora gli Stati Uniti come un concorrente nel mercato energetico a causa dell'aumento della produzione di “shale oil” americano e del disinteresse di Washington nell'aumentare le importazioni di greggio.

Tra il 2010 e il 2021, la produzione statunitense di “shale oil” è cresciuta da circa 0,59 milioni di barili al giorno a 9,06 milioni di barili. La risposta di Riyadh a questa nuova dinamica geoeconomica è stata quella di aumentare la produzione di petrolio nel 2016, con l'obiettivo di abbassare i prezzi per ridurre l'industria statunitense dello “shale oil”, che opera a costi significativamente più alti.

I sauditi temono infatti che il loro ruolo di fornitore strategico di petrolio a livello globale vada declinando, in gran parte a causa dell'aumento della produzione di “shale oil” statunitense e dell'autosufficienza energetica. Ciò ha spinto Riyadh a cercare di imporre nuovamente la propria superiorità petrolifera abbassando i prezzi per ridurre il numero di concorrenti con costi di produzione più elevati, nonostante i danni interni a breve termine causati dall'aumento della produzione di greggio.

A tutt'oggi l'Arabia Saudita continua a rappresentare un ostacolo agli interessi energetici statunitensi, mentre trova invece un terreno comune con i principali avversari di Washington – Russia, Cina, Iran – con i quali si intrecciano gli interessi energetici di Riyadh.

Contrariamente alle aspettative, dallo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022, tutti gli sforzi degli Stati Uniti per convincere Riyadh a inondare i mercati petroliferi globali sono falliti e i russi sono riusciti a salvaguardare sia le loro esportazioni sia la loro economia. È diventato palesemente chiaro ai responsabili delle decisioni a Washington che l'Arabia Saudita di oggi non è l'Arabia Saudita del 1985, disposta a minare le proprie entrate e gli interessi energetici per servire l'agenda geopolitica degli Stati Uniti.

Per contro, anche a Washington sono in corso discussioni sull’opportunità di mantenere l'impegno degli Stati Uniti a favore della sicurezza dell'Arabia Saudita, dal momento che Riyadh non fornisce più in maniera sostanziale energia agli americani né segue i diktat politici USA.

Alcuni credono anzi che il ruolo degli Stati Uniti di garante della sicurezza nel Golfo Persico finisca per servire gli interessi di Pechino, garantendo le principali fonti energetiche della Cina. Altri ancora sostengono che un ritiro militare statunitense dal Golfo Persico creerà un vuoto colmato da Pechino, che cercherà con ogni probabilità di proteggere la propria sicurezza energetica.

L'unico punto di chiarezza è che gli interessi energetici di USA e Arabia Saudita non sono più sinergici e che quelli di Riyadh si allineano molto più strettamente con quelli di Pechino e Mosca. Questo dato resta il fattore chiave che guida oggi la politica estera e la diversificazione economica dell'Arabia Saudita.

Ciò che resta da vedere è fino a che punto i sauditi – profondamente e storicamente legati agli interessi occidentali – saranno disposti a sfidare l'egemonia regionale degli Stati Uniti mentre i loro obiettivi divergono e Riyadh si ritrova a fare causa comune con i rivali di Washington.

di Mohamad Hassan Sweidan

Fonte: The Cradle