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di Nena news

Ramallah. Migliaia di palestinesi rendono omaggio oggi a Yasser Arafat, morto l’11 novembre 2004 a causa di una misteriosa malattia del sangue mai identificata dai medici, non solo quelli palestinesi ed arabi che lo ebbero in cura ma anche quelli dell’attrezzato ospedale di Parigi dove il presidente palestinese e premio Nobel per la Pace (nel 1994) venne ricoverato nell’estremo tentativo di salvargli la vita.

In queste ore centinaia di persone, anche straniere, stanno visitando il mausoleo di Arafat alla Muqata di Ramallah dove presto aprirà un museo dedicato alla memoria di «Abu Ammar», il nome di battaglia con cui era conosciuto in vita l’uomo che portò stabilmente la questione palestinese nell’agenda della politica e della diplomazia internazionale.

A Gaza invece non è in svolgimento alcuna cerimonia pubblica. Hamas, pur rendendo onore ad Arafat, ha vietato la manifestazione indetta oggi da Fatah (il movimento politico fondato da leader scomparso) per «ragioni di sicurezza».

A sei anni dalla morte, un sondaggio rivela che l’81% dei palestinesi rimpiange Arafat, non solo in Cisgiordania dove Fatah raccoglie i maggiori consensi ma anche a Gaza. Un dato parallelo alle forti perplessità che i palestinesi manifestano verso la leadership di Abu Mazen che si avvia a completare il suo secondo anno alla presidenza dell’Anp oltre il suo mandato scaduto nel gennaio 2009.

Arafat in vita commise non pochi errori - a cominciare dalla firma di accordi di pace ad interim con Israele (quelli di Oslo nel 1993) che si sono poi rivelati del tutto fallimentari per le aspirazioni palestinesi - e non fece passi concreti per combattere la corruzione dilagante nel suo entourage e nell’Autorità nazionale palestinese.

Tuttavia i palestinesi gli riconoscono il merito di essere morto «difendendo i diritti del suo popolo» e di «non essersi arreso» alle condizioni che Israele dettava con i suoi carri armati che, dal 2001 al 2004, prima attaccarono, poi distrussero in buona parte e infine circondarono stabilmente la Muqata. Un dato di fatto che oggi non negano anche i dirigenti più anziani di Hamas, per anni rivali accesi di Arafat.

Molti sono gli interrogativi che circondano la morte di «Abu Ammar». I palestinesi sono convinti che ad ucciderlo lentamente sia stata qualche sostanza chimica preparata dai servizi segreti israeliani, su ordine dell’allora premier Ariel Sharon,e fatta ingerire ad Arafat con la collaborazione di «spie» infiltrate nel suo ufficio.

La prova a conferma di questo sospetto non si è mai trovata ma i medici che ebbero in cura il leader palestinese continuano a ripetere di non aver potuto individuare la patologia che fece precipitare in modo irreversibile e letale il numero di globuli rossi e piastrine nel sangue di Arafat.

Bassam Abu Sharif, un consigliere del leader scomparso, sostiene che Arafat fu avvelenato da Israele e che l’ex presidente francese Jacques Chirac sarebbe a conoscenza di tutti i dettagli. Arafat, spiega Abu Sharif, fu ucciso con un sistema analogo a quello utilizzato da Israele contro il dirigente del Fronte popolare Wadia Haddad, nella Germania Est nel 1978, che morì nel corso di un mese dopo aver ricevuto una tavoletta di cioccolata «biologicamente infetta». Nel sangue di Arafat, come in quello di Haddad, cessò all’improvviso la produzione di globuli rossi e piastrine.

Secondo Abu Sharif, Chirac e tre medici francesi che curarono Arafat durante la sua agonia in un ospedale di Parigi conoscono il tipo di veleno che provocò la morte di Arafat, ma mantengono il segreto in quello che ritengono essere «l’interesse della popolazione palestinese».

L’ombra di un ruolo d’Israele dietro la fine di Yasser Arafat viene avvalorata anche da Nasser Qidwa, ex ambasciatore dell’Olp alle Nazioni Unite e nipote del leader scomparso. «Israele è responsabile della morte di Arafat, noi restiamo convinti che egli sia stato avvelenato», afferma  Qidwa.

Ma non manca chi vede un coinvolgimento di esponenti palestinesi di primo piano nella morte di Arafat. Un anno fa l’Anp ordinò la chiusura temporanea dell’ufficio in Cisgiordania della televisione araba al Jazeera , accusando l’emittente di raccogliere «provocazioni» e diffondere «menzogne».

A suscitare la collera dei vertici palestinesi fu la diffusione da parte di al Jazeera di dichiarazioni di Faruq Kaddumi - storico alto dirigente di Fatah e dell’Olp da sempre contrario agli accordi di Oslo - in cui questi imputò ad Abu Mazen di aver provocato la morte di Arafat complottando con uomini del suo entourage e con Israele per avvelenarlo e, quindi, eliminarlo, dalla scena politica.

Lo scorso gennaio peraltro si rialzarono i toni della polemica fra palestinesi e governo tunisino perché non fu consentito ad emissari dell’Anp di fotocopiare gli archivi di Arafat. Si tratta di foto, lettere con partiti e movimenti politici stranieri, verbali di riunioni e anche documenti finanziari contenuti nella palazzina del quartiere di Mutueville a Tunisi che fu abitazione e ufficio di Arafat per oltre dieci anni dall’esilio dal Libano nel 1982 alla partenza per la Cisgiordania dopo gli accordi di Oslo.

Tra i tanti misteri c’è anche quello del ruolo avuto dalla moglie di Arafat, Suha Tawill, scomparsa totalmente dalla scena (assieme alla figlia Zahwa) e che secondo l’opinione di molti palestinesi sarebbe a conoscenza di elementi importanti legati alla morte di «Abu Ammar». Più di tutto, custodirebbe il segreto di alcuni investimenti finanziari effettuati  dall’Olp per ordine di Arafat e mai recuperati dopo la sua morte.