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di John Edwards



Di fronte alla debacle in Iraq, dobbiamo lavorare per restaurare la leadership morale degli Stati Uniti e riprendere il posto che ci spetta nel mondo attuale. Dobbiamo muoverci oltre il semplice slogan della 'guerra al terrorismo' e sviluppare una seria politica di sicurezza nazionale che sia basata sulla speranza, non sulla paura. Solo così gli Stati Uniti d'America potranno tornare ad essere un esempio da seguire per tutto il mondo.
All'alba del nuovo secolo, e all'orlo di una nuova presidenza, gli Stati Uniti hanno bisogno, ora più che mai, di reclamare l'alto profilo morale che ha definito la nostra politica estera per tutto il corso dello scorso secolo. Dobbiamo muoverci oltre i danni creati da una dei peggiori fallimenti strategici nella storia americana: la guerra in Iraq. Piuttosto che alienarci il resto del mondo, dichiarandoci infallibili e domandando cieca obbedienza, come ha fatto sino ad ora la corrente Amministrazione americana, la politica estera statunitense dovrebbe essere condotta sulla base del principio del ritorno ai nostri principi di base. Dobbiamo tornare alla nostra storia fatta di coraggio, libertà e generosità. Dobbiamo tornare alla nostra tradizione di leadership morale su argomenti come le stragi in Darfur, la povertà globale e i cambiamenti climatici. Dobbiamo riprendere a lavorare con i nostri alleati su aspetti critici quali il terrorismo in Medio Oriente e la proliferazione nucleare. Con fiducia e risoluzione, dobbiamo far fronte a coloro che pongono una minaccia alla nostra sicurezza, dall'Iran alla Corea del Nord. Ed inoltre il nostro governo deve cercare, assieme al popolo americano, di restaurare la reputazione del nostro Stato come un esempio morale per il mondo, facendo perno sul nostro fondamentale ottimismo e chiedendo ai nostri cittadini di impegnarsi con coraggio per rendere questo obiettivo raggiungibile il prima possibile. Dobbiamo riprenderci la leadership globale dimostrando il potere dei nostri ideali, non terrorizzando coloro che non li condividono.

Lo scorso secolo ha visto tremendi cambiamenti nella condizione umana - dall'aumento del benessere economico, alla difesa dei diritti umani o all'emergenza di una vera comunità globale. Ma lo scorso secolo ci ha anche portato due devastanti guerre mondiali, la morte di milioni di individui, ed una Guerra Fredda che è durata per due generazioni ed ha rischiato di porre la parola fine alla storia dell'umanità. Anche il nuovo secolo ha portato con se promesse e pericoli. Possiamo parlare, ad esempio, degli incredibili avanzamenti tecnologici nel campo delle telecomunicazioni e della medicina, oltre che dell'espansione dell'economia globale che ha permesso a milioni di persone di uscire dalla povertà, ed allo stesso tempo ha aumentato lo standard di vita di molti lavoratori del nostro Paese e di Stati esteri.

Ma dobbiamo anche essere pronti alle sfide di un mondo in cui appaiono nuovi pericoli: la crescente forza di forze "non statali" che odiano il nostro modo di vivere, le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici, e la possibilità che tecnologie pericolose possano cadere nelle mani sbagliate. Possiamo guidare il mondo dinanzi a queste sfide, proprio come gli Stati Uniti hanno guidato il mondo attraverso le sfide del secolo scorso. Ma potremo farlo solo se reclameremo la fiducia ed il rispetto di quei Paesi della cui cooperazione abbiamo estremo bisogno, ma allo stesso tempo non possiamo obbligare ad aiutarci.

RESTAURARE LA REPUTAZIONE AMERICANA NEL MONDO

Il primo test della nostra leadership in questo secolo è arrivato con il terribile shock dell'11 settembre 2001. Quando gli Stati Uniti sono stati attacchi, l'intero pianeta si era erto a nostra difesa. Avremmo potuto perseguire una politica di amicizia ed alleanza con il mondo intero, ma abbiamo invece deciso di distruggere questo supporto internazionale mediante una serie di politiche errate che ci hanno alienato i nostri amici ed alleati. Un recente sondaggio di opinione della Pew Research Center dimostra che il tasso di approvazione degli Stati Uniti d'America nel mondo è crollato tra il 2000 ed il 2006. Questo declino è stato specialmente preoccupante nei Paesi musulmani di strategica importanza per gli Stati Uniti d'America, come l'Indonesia, dove il tasso di approvazione è crollato dal 75% al 30%, o la Turchia, dove si è ridotto ad un misero 12% dal 52% di 7 anni fa. Anche la percezione dell'America come portatrice di democrazia ha sofferto parecchio in questi anni. In ben 33 dei 47 Stati interessati dal sondaggio del Pew Research Center, la maggioranza o comunque un gran numero di persone ha espresso sfiducia nei confronti degli ideali democratici dell'America.

Abbiamo bisogno di intraprendere una nuova strada, una che ci porti nuovamente a parlare al mondo intero e permetta di restaurare l'autorità morale degli Stati Uniti nella comunità delle nazioni. Il presidente Harry Truman una volta disse: "Nessuna nazione da sola può portare la pace. Assieme, tutte le nazioni possono costruire una forte difesa contro le aggressioni ed un unire insieme le energie degli uomini liberi di tutto il mondo, per costruire un futuro migliore per tutti". Per 50 anni, i presidenti americani da Truman a Dwight Eisenhower, da Ronald Reagan a Bill Clinton, hanno costruito forti alleanze e rinforzato il rispetto mondiale nei nostri confronti. Abbiamo ottenuto questo rispetto usando la nostra forza militare non come un fine in se, ma come un mezzo per proteggere il nostro sistema di leggi ed istituzioni che ha dato speranza a miliardi di persone nel mondo. Evitando di comportarci come un impero, abbiamo avuto la possibilità di ottenere alla fine la caduta del corrotto e malvagio impero sovietico. La lezione da apprendere è che non si può essere solo un Paese di guerrieri; bisogna anche essere un Paese di pensatori e di leader, per farci rispettare nel mondo.

E quindi, mentre contempliamo una nuova politica di sicurezza per il nuovo secolo, dobbiamo porci alcune domande a largo spettro: Stiamo davvero negando ai nostri nemici ciò che loro stanno cercando di ottenere? Stiamo davvero facendo tutto ciò che possiamo per vincere la guerra non solo in termini di armi, ma anche in termini di idee? Stiamo davvero combattendo il germe della paura dei nostri nemici piantando al suo posto l'ideale della speranza?

Si tratta di molto di più che semplicemente convincere l'opinione pubblica ad amarci. C'era un tempo in cui il presidente degli Stati Uniti non parlava solo agli americani - parlava al mondo intero. Persone distanti migliaia di km da noi si riunivano assieme per ascoltare le parole di chi veniva definito, senza alcuna ironia, il "leader del mondo libero". Uomini e donne dell'Europa occupata dai nazisti hanno cercato, a rischio della propria vita, di ascoltare le parole del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, alla radio clandestina. Milioni di persone sono scese in piazza a Berlino, per vedere il presidente John F. Kennedy scendere tra loro e dichiarare a tutto il mondo, "Ich bin ein Berliner". Milioni di persone imprigionate dietro la Cortina di Ferro hanno silenziosamente applaudito quando il presidente Reagan ha dichiarato, "Presidente Gorbaciov, abbatti questo muro!". Anche se molti di questi uomini e donne non sempre erano d'accordo con le nostre politiche, essi nondimeno guardavano il nostro presidente e vedevano una persona - ed una nazione - a cui potevano dare fiducia. Oggi, con l'attuale Amministrazione, nessuno più ha fiducia in noi. All'alba nel nuovo secolo, è vitale vincere la guerra degli ideali nel mondo. Abbiamo bisogno di raggiungere i cuori e le menti dei cittadini dell'Egitto, così come dell'Indonesia, e convincerli, ancora una volta, che gli Stati Uniti d'America sono una potenza da ammirare per i propri ideali.

ANDARE OLTRE LA “GUERRA AL TERRORISMO”

Nessuno mette in dubbio che dobbiamo combattere con tutta la nostra forza militare contro gruppi terroristici come al Qaeda. Come comandante in capo delle nostre forze armate, io non esiterei un attimo ad applicare l'intero nostro apparato di sicurezza per proteggere i nostri interessi vitali, prendere misure per distruggere le cellule terroristiche, e colpire in maniera forte e decisiva coloro che cercano di mettere a rischio la nostra sicurezza.

Ma io credo che abbiamo bisogno di stare allo stesso tempo all'offensiva sia contro il terrorismo che contro le sue cause. L'approccio seguito sino ad ora nella "guerra al terrorismo" ci è tornato contro, portando le nostre forze armate al punto di rottura, e allo stesso tempo permettendo alla minaccia terroristica di crescere ancora. La "guerra al terrorismo" è uno slogan designato per la politica, non una strategia reale per rendere più sicuri gli Stati Uniti d'America. E' un adesivo da appiccicare da qualche parte, non un piano serio. Peggio ancora, la verità è che la "guerra al terrorismo" è fallita. Invece di rendere più sicuri gli Stati Uniti d'America, ha causato ulteriore terrorismo - cosa che abbiamo visto tragicamente in azione in Iraq - e ci ha lasciato con sempre meno alleati nel mondo.

Nessuno mette in dubbio che oggi siamo meno sicuri a causa dei risultati delle politiche errate dell'Amministrazione americana. L'Amministrazione Bush ha portato gli Stati Uniti diritti dentro la trappola tesaci dai terroristi. Trattando questa sfida contro l'estremismo come una guerra, ha rinforzato la tendenza jihadista a credere che noi vogliamo conquistare il mondo islamico e che perciò esista uno "scontro di civiltà" in atto tra Occidente ed Islam. Da Guantanamo ad Abu Ghraib, la "guerra al terrorismo" è diventata tragicamente il miglior poster di reclutamento che Al Qaeda potesse ottenere. Invece di portare l'opinione pubblica mondiale al nostro fianco, abbiamo portato sempre più persone nelle mani dei terroristi. In effetti, la definizione dell'attuale lotta contro l'islam radicale come una guerra, ha minimizzato anche la sfida a cui ci troviamo di fronte, suggerendo la possibilità che la lotta contro l'estremismo islamico possa essere vinta solo sui campi da battaglia.

E' per queste ragioni che molti generali ed esperti di sicurezza nazionale americana hanno pesantemente criticato l'approccio alla "guerra al terrorismo" del presidente Bush. Il generale dei marines in pensione, Anthony Zinni, ha affermato che la "guerra al terrorismo" è una dottrina controproduttiva. Così ha fatto anche il governo di uno dei nostri principali Stati alleati; il nuovo primo ministro inglese, Gordon Brown, si è affrettato a distanziarsi dall'uso di questo termine. L'ammiraglio William Fallon - il nuovo capo di staff del Comando Centrale Americano (CENTCOM) nominato dal presidente George W. Bush - ha istruito il suo staff di smettere di riferirsi a questa come una "lunga guerra". Questi leader hanno bisogno di fatti, non di slogan.

Anche molti repubblicani la vedono in maniera simile. Persino l'ex segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha affermato lo scorso marzo che una delle sue principali recriminazioni è proprio questa dottrina. "Non si tratta di una guerra al terrorismo", ha detto chiaramente a chi lo intervistava. Nel frattempo l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani sembra aver curiosamente dimenticato cosa lui stesso aveva affermato a marzo, ovvero che dovremmo abbandonare l'approccio della "guerra al terrorismo", perchè, parole sue, "l'America è vista da troppe persone nel mondo come un Paese che vuole andare in guerra, vuole esercitare troppo il suo potere e vuole far sentire troppo il suo peso nel mondo".

Ma la politica della paura rimane ancora una forte tentazione. Alcuni hanno deciso di definire coloro che mettono in dubbio il concetto della "guerra al terrorismo", come persone politicamente deboli rispetto alla questione della sicurezza nazionale. Ma questi attacchi non riescono a mascherare lo slogan per ciò che è realmente: un meschino trucco politico usato per evitare il dibattito e giustificare così politiche che altrimenti sarebbero del tutto inaccettabili.

I nostri nemici si stanno avvantaggiando della declinante popolarità degli Stati Uniti. Secondo un recente articolo dell'ex funzionario della CIA Bruce Riedel, pubblicato su 'Foreign Affairs', Al Qaeda ha espanso le sue reti non solo in Afghanistan, Iraq e Pakistan, ma anche in Europa. Ed un recente rapporto del Centro Nazionale per l'Antiterrorismo, ha affermato che le capacità operative di Al Qaeda sono tornate ai livelli precedenti l'11 settembre 2001. L'Iran è stato rafforzato dalle politiche errate dell'Amministrazione Bush ed ha annunciato a più riprese piani per espandere il suo programma nucleare. Nel frattempo anche altre potenze stanno beneficiando del nostro declino. La Cina sta capitalizzando l'attuale impopolarità degli Stati Uniti per progettare il suo "soft power" per gli anni a venire. E la Russia si sta comportando in maniera aggressiva con i suoi vicini, oltre a sfidare apertamente gli Stati Uniti d'America e l'Europa.

I nostri organi di polizia, sicurezza ed intelligence, vanno complimentati ed onorati per essere riusciti a fermare possibili attacchi terroristici come il recente sventato attacco contro l'aeroporto internazionale John F. Kennedy di New York. Comunque, non dobbiamo lasciarsi prendere dall'entusiasmo per queste vittorie tattiche, dimenticando le minacce ben più gravi presenti nel quadro più generale. In aprile, il Dipartimento di Stato ha reso noto un rapporto che afferma che gli atti terroristici nel mondo sono aumentati del 29% tra il 2005 ed il 2006, con la maggior parte di questi attacchi messi in atto in Iraq ed Afghanistan. Abbiamo bisogno perciò di ricreare la nostra politica di sicurezza nazionale basandoci sull'obiettivo di proteggere gli americani dalle minacce del ventunesimo secolo, piuttosto che continuare a perseguire agende politiche ormai screditate. Non abbiamo più bisogno di slogan ma di una strategica complessiva che risponda al terrorismo, ma allo stesso tempo prevenga la possibilità che esso possa prendere piede in primo luogo. Questa strategia deve andare oltre la divisione esistente in dottrina tra "hard power" e "soft power". Invece, abbiamo bisogno di piazzare qualcosa che possiamo definire come "smart power", al centro della nostra politica di sicurezza nazionale.

NUOVO SECOLO, NUOVE SFIDE

Confrontarci con le sfide del nuovo secolo richiede forza, creatività e leadership morale. Il secolo davanti a noi porterà nuove sfide da parte di attori "non statali", definizione che comprendere sia i gruppi terroristici che i movimenti regionali o etnici, che cercheranno di ridefinire i confini degli Stati, la giurisdizione delle organizzazioni multilaterali e l'autorità della legge internazionale. Ci confronteremo anche con una maggiore instabilità generata dalla presenza sulla scena mondiale di Stati deboli e falliti. E ci troveremo di fronte a difficoltà anche nel nostro sforzo di continuare a promuovere la democrazia nel mondo. Le elezioni da sole non bastano; le nuove democrazie dovranno coltivare il rispetto della Costituzione, creare solide istituzioni pluralistiche, rispettare la libertà di stampa e la supremazia della legge. Infine, una serie di sviluppi propri del nuovo secolo, come i cambiamenti climatici o eventuali epidemie sanitarie, porteranno nuove sfide dinanzi a noi. Un rapporto reso noto ad aprile da un gruppo di 11 ex militari in pensione, tra cui i generali Gordon Sullivan, ex capo di staff dell'esercito americano, e il generale Zinni, l'ex comandante del CENTCOM, descrivono il cambiamento climatico, se non gestito correttamente, come un elemento potenzialmente destabilizzante che potrebbe portare ad una catena di reazioni che sfocerebbero inevitabilmente nell'instabilità globale. Aumenterebbero infatti i conflitti per ottenere l'accesso alle risorse naturali sempre più rare, indebolirebbe gli Stati con la creazione di "rifugiati per motivi climatici", e peggiorerebbe la diffusione di malattie e carestie nel mondo. E' anche per questo motivo che abbiamo il dovere di agire aggressivamente contro questa minaccia.

Dovremmo riprendere il nostro posto nel mondo iniziando con il porre fine alla guerra in Iraq. I problemi iracheni sono molti, profondi e pericolosi, ma non possono essere risolti dall'esercito americano. Da oltre un anno, sto chiedendo l'immediato ritiro delle truppe di almeno 40 o 50 mila truppe di combattimento americane dall'Iraq, seguito poi da un ordinato e completo ritiro delle truppe entro un tempo ragionevolmente limitato. Una volta fuori dall'Iraq, gli Stati Uniti devono mantenere una forza sufficiente nella regione per prevenire un genocidio, una guerra regionale, o lo stabilimento di un 'paradiso terrorista' in Iraq. Avremo molto probabilmente bisogno quindi di mantenere una forza di reazione veloce in Kuwait e una significante presenza navale nel Golfo Persico. Avremo anche bisogno di mantenere il controllo di alcune strutture di sicurezza a Baghdad, all'interno della Zona Verde, per proteggere l'ambasciata americana ed il personale americano in Iraq. Infine, avremo bisogno anche di una offensiva diplomatica per portare dalla nostra parte il resto del mondo - incluse le nazioni del Medio Oriente ed i nostri alleati in Europa - al fine di lavorare assieme per assicurare un futuro all'Iraq. Tutte queste misure ci permetteranno alla fine di uscire da questo terribile capitolo e riprendere il nostro cammino di fronte alle grandi sfide del nuovo secolo.

Dobbiamo confrontarci con queste sfide non solo attraverso l'uso della nostra forza militare, ma anche quello della nostra diplomazia. Poche aree al mondo hanno bisogno della leadership morale degli Stati Uniti in maniera più urgente del Sudan. Le truppe di pace dell'Unione Africana stazionate nel Darfur hanno agito in maniera egregia anche in situazioni molto difficili. Ma queste 7.000 truppe non sono state capaci di proteggere i civili, o assicurare il rispetto del cessate il fuoco firmato nel 2004. Di conseguenza la sicurezza della zona è deteriorata drammaticamente con il tempo. Personalmente ritengo che il presidente Bush debba convocare una riunione di emergenza della leadership NATO per provvedere assistenza allo stanziamento di 3.000 soldati al comando dell'ONU, oltre a provvedere anche al supporto logistico, operativo e finanziario per una tale operazione. La NATO deve stabilire una no-fly zone sulla regione per tagliare i rifornimenti alle brutali milizie Janjaweed e porre definitivamente finire al bombardamento dei civili del Darfur da parte del governo sudanese. I Paesi membri della NATO dovrebbero anche imporre un nuovo round di sanzioni multilaterali contro il governo sudanese e bloccare tutti i conti corrente e i patrimoni esteri delle persone implicate in questo genocidio. Gli Stati Uniti devono prendere la decisione di utilizzare gli straordinari mezzi a disposizione dei militari americani - la nostra capacità aerea, il supporto logistico e i sistemi di intelligence - per assistere lo sforzo di peacekeeping congiunto delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana. E dobbiamo anche continuare a premere su altri Paesi che hanno una certa influenza sulla zona, come la Cina, affinché non dimentichino la propria responsabilità di aiutare a porre fine a questo conflitto.

Abbiamo anche bisogno di rinnovare il nostro impegno ad usare la diplomazia per risolvere i problemi prima che questi accadano, piuttosto che usarla successivamente per risolvere crisi già scoppiate. Attraverso l'uso della diplomazia è possibile ottenere una maggiore conoscenza dei problemi del mondo, nonché progressi e persino fiducia reciproca. I presidenti Kennedy e Reagan sono stati capaci di parlare con i leader sovietici nel cuore della Guerra Fredda, ed in entrambi i casi sono riusciti ad ottenere grandi risultati per la nostra sicurezza nazionale. Dobbiamo essere in grado di fare lo stesso con i leader iraniani e nordcoreani.

L'Iran si presenta come una sfida complicata per gli Stati Uniti d'America. Il suo attuale presidente, Mahmoud Ahmadinejad, è un pericoloso estremista e forte supporter di movimenti come Hezbollah ed Hamas. Ha affermato ripetutamente che Israele dovrebbe essere "cancellato dalla faccia della Terra" e lo scorso dicembre ha sponsorizzato una conferenza a Teheran con l'obiettivo di negare l'esistenza dell'Olocausto nazista. A questo Iran non deve essere permesso di possedere armi nucleari.

Sfortunatamente, però, la situazione in Iran è solo peggiorata sotto questa Amministrazione. Con minacce così serie, nessun presidente americano avrebbe messo fuori dal tavolo qualsiasi opzione - diplomazia, sanzioni, dialogo e persino l'uso della forza militare. Quando diciamo che qualcosa è inaccettabile, dobbiamo far seguire alle parole le azioni, e ciò richiede lo sviluppo di una strategia che porti risultati, non solo retorica. Invece di cincischiare attorno ad una possibile azione militare, dovremmo mettere in piedi un effettiva combinazione di "carote e bastoni". Per esempio, ora dovremmo fare tutto il possibile per isolare il presidente iraniano dalle forze moderate del proprio Paese. Dobbiamo contenere le ambizioni nucleari iraniane attraverso misure diplomatiche che, con il tempo, costringeranno l'Iran a capire definitivamente che la comunità internazionale non gli permetterà mai di possedere delle armi nucleari. Tutti i maggiori alleati americani sono d'accordo sul fatto che un Iran dotato di armi nucleari sarebbe una minaccia alla sicurezza mondiale. Dobbiamo perciò lavorare con le altre grandi potenze per offrire a Teheran incentivi economici nel caso di buon comportamento. Allo stesso tempo, dobbiamo mettere in piedi sanzioni economiche più serie per costringere il governo di Ahmadinejad a cooperare con noi. Per fare questo, però, dovremo parlare direttamente con l'Iran. Questa diplomazia non è un regalo, e neppure una concessione. L'attuale Amministrazione ha finora consentito di svolgere un solo meeting con l'Iran per discutere della sicurezza irachena. Non ha alcun senso per una Amministrazione americana parlare con l'Iraq di questo argomento ed evitare di parlare invece della questione ancora più importante della proliferazione nucleare.

In Corea del Nord, il recente accordo per la chiusura del reattore nucleare di Yongbyon in cambio del rilascio dei beni nordcoreani precedentemente bloccati, è un passo molto incoraggiante - sebbene atteso da troppo tempo. E' il segno che un approccio "carote e bastoni" può funzionare anche in casi come questo. Le parole di Pyongyang comunque non bastano da sole. Dobbiamo richiedere anche un impegno a future azioni. Dobbiamo parlare direttamente con il governo nord-coreano, nell'ambito dei colloqui a sei, mettendo sul tavolo incentivi economici e politici in cambio della verificata e completa eliminazione della capacità nucleare della Corea del Nord.

In effetti, vi è bisogno di un nuovo tipo di leadership, per un più largo e sistematico approccio alla più pericolosa minaccia del nuovo secolo: la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Nel cercare di ottenere l'obiettivo di un mondo libero dal nucleare, gli Stati Uniti devono guidare lo sforzo di rinforzare le istituzioni internazionali per la gestione della non proliferazione, non metterle da parte. Purtroppo le regole e le istituzioni su cui ci basiamo per isolare gli attori "cattivi", ed allo stesso tempo mettere in piedi strumenti e leve per misurare il progresso, sono sempre di più minacciate dalla presenza di zone grigie e dalla obsolescenza di tali istituzioni. Dobbiamo perciò creare un nuovo Compatto Nucleare Globale per rinforzare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, dare supporto a programmi per l'uso del nucleare pacifico, aumentare la sicurezza della gestione dei materiali nucleari esistenti, ed assicurare una verifica sempre più frequente dell'uso efficace e corretto di tali materiali e delle strutture nucleari dei Paesi firmatari. Dobbiamo anche fermare, a tutti i costi, la vendita delle tecnologie più pericolose da parte degli Stati canaglia ed aumentare la quantità di denaro per i programmi di riduzione della minaccia nucleare in essere con numerose repubbliche ex sovietiche. Infine dobbiamo anche rinforzare la nostra capacità di identificare e rispondere alle minacce delle armi di distruzione di massa, riformando il modo con cui il governo americano colleziona ed analizza le informazioni di intelligence, nonché fornire alla comunità dell'intelligence le risorse di cui abbisogna per svolgere egregiamente questo compito.

Lo tsunami che ha colpito il sud est asiatico nel 2004, lo status traballante del governo in Afghanistan, ed il bisogno di infrastrutture funzionanti in Iraq, hanno tutti qualcosa in comune: rappresentano un nuovo set di sfide per le quali gli Stati Uniti devono essere capaci di prepararsi in tempo a fare fronte. Negli anni a venire, vedremo aumentare sempre di più la necessità di stabilizzare Stati deboli e falliti nel mondo, nonché il bisogno di provvedere assistenza umanitaria alle vittime dei disastri naturali.

Queste missioni sono pesanti, pericolose e costose. Richiedono un largo utilizzo di risorse e fonti di conoscenza, dagli esperti della purificazione dell'acqua ai tecnici medici, dai giudici agli ufficiali delle forze di sicurezza, dai banchieri agli analisti dei mercati finanziari. In molti casi, è necessario l'aiuto di migliaia di questi specialisti. Ma, per anni, il governo degli Stati Uniti non si è preparato in alcun modo per far fronte a questo tipo di missioni. Come risultato, quando ci troviamo di fronte a situazioni del genere, il governo ripetutamente si rivolge all'unica istituzione esistente che ha le capacità logistiche e buona parte degli skill richiesti: il Pentagono. Ma i militari da soli non hanno molte delle risorse che sarebbero richieste per condurre con successo queste missioni. Per risolvere questi problemi, voglio creare dei cosiddetti Corpi Marshall, durate il mio primo anno di presidenza, in onore del più grande segretario di Stato della nostra storia, George Marshall. I Corpi Marshall, strutturati come le riserve militari, consisteranno di almeno 10.000 esperti civili che saranno stabiliti all'estero per servire nelle missioni di ricostruzione, stabilizzazione ed aiuti umanitari. Saranno la punta di diamante del ritorno degli Stati Uniti sulla scena mondiale.

COME TRATTARE CON LE MAGGIORI POTENZE MONDIALI

Nel nuovo secolo, un numero sempre maggiore di potenze mondiali emergenti o già in essere, porrà sempre nuove sfide agli Stati Uniti. Il nostro obiettivo deve essere quello di integrare le potenze emergenti dentro un sistema internazionale pacifico, convincendole che anche esse possono beneficiare dalla forza del sistema e contribuire al suo successo. Questo significa adattare le nostre maggiori organizzazioni internazionali di una certa importanza, come il G-8, per includere nuovi Paesi. Dobbiamo anche cercare di mantenere a tutti i costi la partnership con i nostri alleati storici, tra cui Gran Bretagna, Giappone e l'Unione Europea, così come lavorare duramente per ricostruire le relazioni con i nostri vicini, come l'America Latina. Infine, dobbiamo difendere a tutti i costi il nostro alleato e partner in Medio Oriente, Israele, ed assicurare la sua sicurezza, mentre cerchiamo di fare tutto ciò che è possibile per portare pace e stabilità in quella regione.

La Cina, la Russia e l'India, tra gli altri, testeranno la leadership americana. La Cina sta costruendo un sistema politico unico al mondo, ed una economia con elementi di libero mercato, mischiati con elementi autoritari. Questo Paese è economicamente importante per gli Stati Uniti, avendo pesantemente investito nei titoli di Stato americani, nonché per l'essere diventato uno dei nostri principali partner commerciali. Ma la Cina si sta trasformando anche in un crescente concorrente economico, in particolar modo nel campo degli accordi con i Paesi ricchi di materie prime, cosa che potrà portare in futuro a conflitti anche nel campo della sicurezza. L'approccio della Cina all'Iran ed al Sudan è il primo esempio di questa tendenza. In sintesi, quindi, la relazione sino-americana è una relazione molto delicata, che non è stata ben gestita dall'attuale Amministrazione americana. Negli anni a venire, l'influenza e l'importanza della Cina continueranno a crescere. Su molti argomenti quali il commercio mondiale, i cambiamenti climatici e i diritti umani, il nostro obiettivo fondamentale deve essere quello di fare in modo che la Cina si conformi alle regole che governano la condotta delle nazioni di tutto il mondo.

La Russia invece presenta una sfida molto diversa. La situazione in Russia sta deteriorando negli ultimi anni, e la democrazia sta lentamente svanendo. Il presidente Vladimir Putin ha anche iniziato una serie di preoccupanti dichiarazioni bellicose contro gli Stati Uniti, oltre a minacciare il ritiro dai trattati sul controllo delle armi. La transizione presidenziale prevista per il prossimo anno, sarà un testo critico del rispetto russo della democrazia e della sovranità della legge. Nonostante queste preoccupazioni, la Russia comunque presenta anche sostanziali opportunità per gli Stati Uniti, sia come partner economico che come una influenza stabilizzante su altre, più ostili nazioni, come l'Iran. L'anno scorso, durante una task force da me guidata assieme all'ex deputato repubblicano Jack Kemp, al Council on Foreign Relation, siamo arrivati alla conclusione che gli Stati Uniti necessitano di iniziare una nuova era di cooperazione selettiva con la Russia su particolari argomenti come l'Iran, l'energia, e la non proliferazione nucleare, preservando allo stesso tempo la nostra capacità di non essere d'accordo e quindi cercare di ottenere cambiamenti su altre questioni, come la nostra preoccupazione sul crescente autoritarismo in Russia o la potenziale cooperazione russo-cinese. Il nostro obiettivo principale deve essere comunque quello di portare la Russia all'interno del contesto politico occidentale attraverso un continuo dialogo, e se necessario, pressioni diplomatiche ed economiche.

Ho visto con i miei occhi che l'India sta diventando un delle nazioni più ricche al mondo. Con la sua grande storia, il suo polo straordinario, e la sua ricca cultura, l'India ha un enorme potenziale. Gli Stati Uniti sono fortunati ad avere l'India come un partner, e dobbiamo perciò coltivare in tutti i modi la nostra amicizia per sviluppare i nostri comuni valori. L'India è un Paese che conosce sia gli aspetti positivi che quelli negativi del mondo globalizzato. Ha raggiunto una ragguardevole crescita economica, beneficiando in particolar modo dall'accesso alle nuove tecnologie ed all'informazione. Ma è anche una nazione che combatte contro minacce che vanno oltre i suoi confini - l'epidemia di AIDS, la povertà estrema di alcune zone dell'India ed i terroristi, come quelli che hanno colpito New Delhi nel 2005. L'India e gli Stati Uniti sono alleati naturali, e la partnership tra questi due Paesi dovrà continuare nel ventunesimo secolo. Dobbiamo quindi rinforzare le nostre relazioni usando strumenti sia nazionali che internazionali: riformare ad esempio le Nazioni Unite per fare in modo che l'India abbia un posto nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU e e lavorare con l'India per aiutarla a formulare un piano credibile e trasparente per separare in maniera permanente il suo programma nucleare civile da quello militare. Gli Stati Uniti possono inoltre fornire all'India l'energia di cui ha bisogno - un altro step che aiuterà lo sviluppo dell'amicizia tra India e Stati Uniti d'America.

COSTUIRE UNA FORTE DIFESA MILITARE

Gli anni passati hanno portato alla più grossa crisi da una generazione a questa parte delle relazioni tra società civile e militari. La mala gestione dei militari è stata così grave che molti dei nostri più decorati ufficiali in congedo si sono sentiti in obbligo di criticarla. Io voglio ridare lustro ai nostri militari riprendendo una dottrina di base della gestione della sicurezza nazionale che è stata demolita dall'attuale Amministrazione: i militari professionisti avranno la responsabilità principale in materia di decisioni tattiche ed operative, mentre la leadership civile avrà l'autorità principale sulle decisioni politiche ed in tutte le materie di valenza strategica.

La struttura della nostra forza militare deve essere tale da permettere alla sua missione di essere raggiunta. Dobbiamo perciò essere molto chiari su quale debba essere il proposito delle nostre forze militari. Le forze armate americane hanno tre importanti missioni: di deterrenza o di risposta nei confronti di coloro che hanno intenzione di minacciarci, di assicurazione che i problemi degli Stati deboli o falliti non crei pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti e di mantenimento del nostro vantaggio strategico rispetto ai maggiori concorrenti mondiali, in parte cercando di fare in modo che essi possano cooperare con noi, piuttosto che sfidare militarmente i nostri interessi.

La mala gestione della nostra forza militare da parte dell'attuale Amministrazione è andata ben oltre queste missioni, portando ad una situazione molto pericolosa per le nostre truppe, le loro famiglie e la nostra stessa nazione. Stiamo inviando ora truppe in Iraq con meno di un anno di riposo alle spalle. I leader militari ci stanno avvisando che di questo passo stiamo per "distruggere" le forze armate. I politici tentano di rispondere a questa situazione cercando di aumentare sempre di più il numero di truppe che devono entrare a far parte delle nostre forze armate. E' questo il ragionamento dietro la recente proposta del presidente Bush di aumentare il numero dei soldati di 92.000 unità tra oggi ed il 2012, sebbene non vi sia nessun reale motivo per il quale vi sia realmente bisogno di questo numero di uomini e donne in uniforme, in particolare dopo un probabile ritiro dall'Iraq. Ma il problema delle nostre forze armate non si risolve al meglio aumentando il nujmero di soldati. Dobbiamo anche pensare seriamente a quale scopo vengono ora addestrate le nostre truppe. Aumentare il numero di soldati ora significherebbe, inoltre, perdere un certo numero di anni per reclutarli ed addestrarli, e quindi questi nuovi soldati non ci potrebbero in alcun modo aiutarci oggi in Iraq.

Come presidente, io voglio tornare a bilanciare le nostre forze armate per assicurare che sia la loro grandezza che le loro capacità siano in grado di far fronte alla loro missione. Abbiamo già ora abbastanza truppe per ricostruire il nostro esercito dopo la debacle in Iraq, per aumentare la nostra deterrenza nei confronti degli Stati canaglia, per diminuire la nostra pesante dipendenza dalla Guardia Nazionale e dalla Riserva per le nostre missioni oltreoceano, per provvedere supporto adeguato alle nostre truppe che combattono in Afghanistan ed anche per stanziarle in altre parti problematiche del mondo, ove necessario. Ho intenzione di raddoppiare il budget per il loro reclutamento, così come di aumentare gli standard necessari, così da poter diminuire l'ingresso nelle forze armate di persone poco adeguate a rappresentare l'interesse dell'America nel mondo. Inoltre, ho intenzione di aumentare i nostri investimenti per la manutenzione dell'equipaggiamento a disposizione delle nostre truppe, così da aumentare allo stesso momento la sicurezza dei nostri soldati impegnati in missione.

Le nostre forze armate volontarie sono le migliori al mondo, e le donne e gli uomini che servono la Patria in uniforme hanno fatto sempre qualsiasi cosa i leader militari gli abbiano chiesto di fare - e spesso anche qualcosa in più. Loro e le loro famiglie hanno dovuto sopportare un numero sempre crescente di stanziamenti di truppe nel mondo, nonché la decisione irresponsabile di questa Amministrazione di aumentare i turni di servizio da 12 a 15 mesi - ed in futuro, forse anche di più. I soldati, i marinai, il personale delle forze aree ed i marines americani, così come le loro famiglie, sono coloro che stanno soffrendo di più a causa dei fallimenti di questa Amministrazione, incluso la mancanza di pianificazione strategica, gli scarsi equipaggiamenti delle truppe impegnate in battaglia, così come la mancanza di adeguato addestramento.

Come comandante in capo, ho intenzione di fare tutto ciò che è possibile per riparare il sacro contratto che è alla base della fiducia tra la nostra società e coloro che oggi servono la Patria in uniforme, così come i veterani. Il nucleo di questo contratto è un semplice ma solenne impegno nei confronti di tutti gli uomini e le donne che rischiano la propria vita per difendere il nostro Paese: noi ci prenderemo cura di voi, così come voi vi siete presi cura di noi. La mia Amministrazione garantirà perciò una assistenza sanitaria di qualità per i nostri soldati in armi e per tutti i veterani, fornendo alle famiglie tutto il supporto necessario per superare la sofferenza della separazione dai propri cari, nonchè assicurando a coloro che abbandonano le armi dopo aver servito con onore la Patria, quella educazione e quelle opportunità necessarie per far si che oltre al successo nelle forze armate abbiano anche successo nella vita civile.

Anche lo stesso budget militare necessita di una sostanziale riforma. Oggi, decine di agenzie compiono lavori molto simili tra loro e spesso si pestano i piedi l'una con l'altra, Non esiste alcun organismo centrale che controlli lo svolgimento delle attività di sicurezza da parte di tutte queste agenzie rilevanti. Ci sono ad esempio programmi sulla non proliferazione nucleare sia da parte del Dipartimento della Difesa, che di quello di Stato o dell'Energia, e più di 15 diversi programmi di assistenza alla sicurezza sono gestiti congiuntamente dal Dipartimento di Stato e dal Pentagono. Come presidente, ho intenzione di creare un budget di sicurezza nazionale che includa tutti i programmi di sicurezza di competenza del Pentagono o del Dipartimento dell'Energia così come tutti i nostri programmi per la sicurezza nazionale, l'intelligence, nonché le agenzie che si occupano di affari esteri. Il budget di sicurezza nazionale eliminerà tutti gli sprechi e i controproduttivi conflitti di competenza esistenti attualmente, e permetterà di raccogliere al meglio tutte le nostre risorse dietro una strategia unitaria.

RECUPERARE LA LEADERSHIP MORALE DELL'AMERICA

Quando si parla di impegnarci nuovamente con il mondo, non vi è alcun obiettivo più critico che quello di restaurare la nostra leadership morale. Dobbiamo iniziare creando un mondo in cui la sfiducia di cui si nutre il terrorismo radicale sia sconfitta dalla speranza che viene da una educazione universale, dalla democrazia e dalle opportunità economiche per tutti. Esercitando questo tipo di leadership, possiamo trasformare una generazione di potenziali nemici in una generazione di nostri amici.

Possiamo iniziare prendendo la guida della lotta contro la povertà globale e patrocinando l'educazione primaria universale a tutti. Ad un primo sguardo, queste aree non sembrano direttamente legate ai nostri interessi. Ma in realtà sono fortemente collegate alla nostra sicurezza nazionale presente e futura. Come ci si può immaginare, oggi il radicalismo islamico è in aumento in Paesi instabili come il Pakistan, l'Arabia Saudita, la Somalia, ed ovviamente, l'Iraq e l'Afghanistan. Questo ci spiega l'importanza di politiche di sicurezza nazionale ed estera che cerchino di prevenire il terrorismo, non solo di combatterlo.

L'educazione è uno degli strumenti più critici che possiamo usare per combattere la povertà. Secondo l'UNICEF, il tasso di mortalità dei bambini sotto i cinque anni diminuisce della metà se le loro madri hanno ricevuto almeno un educazione alla scuola primaria. Come presidente, ho intenzione di aumentare di sei volte la spesa per le nostre scuole primarie, ed inoltre di stanziare 3 miliardi di dollari l'anno per aiutare l'educazione di bambini poveri in Paesi con una storia di violento estremismo alle spalle. Attraverso la USAID (Agenzia Americana per lo Sviluppo Internazionale) ed altre organizzazioni che si occupano di aiuti multilaterali, ho anche intenzione di perseguire una riforma del sistema scolastico nei Paesi in via di sviluppo, cercando di eliminare le tasse scolastiche e le spese accessorie, che effettivamente vietano a milioni di bambini poveri di ricevere una adeguata istruzione; investire nell'educazione degli insegnanti e nei materiali per l'insegnamento; ed aiutare a fornire infrastrutture igieniche e sicure per tutti gli studenti. Infine come presidente, ho intenzione di spendere 750 milioni di dollari l'anno per aiutare programmi di micro-credito a favore di milioni di persone che ne hanno necessità e che così potranno vedere i propri sogni diventare realtà.

Anche l'acqua potabile e le strutture sanitarie sono necessarie per migliorare la salute, l'educazione e la prosperità economica. Le donne ed i bambini dei Paesi in via di sviluppo soffrono la povertà e le malattie. Le donne dei Paesi più poveri hanno il 10% di possibilità di morire durante il parto. Più di dieci milioni di bambini ogni anno muoiono a causa di malattie altrimenti prevenibili. I Paesi in via di sviluppo soffrono pesantemente a casa delle tre malattie principali: l'AIDS, la tubercolosi e la malaria.

Come presidente, ho intenzione di ridurre al minimo il numero di persone colpite da queste tre malattie mortali, garantendo entro il 2010 accesso universale a tutti ai farmaci ed ai trattamenti che servono per prevenirle. Ho intenzione di aumentare inoltre i finanziamenti americani ai programmi per l'acqua potabile. Infine, ho intenzione di condurre le agenzie americane a guidare uno sforzo internazionale per aumentare drammaticamente il numero delle cure preventive, iniziando con l'aumento delle vaccinazioni e con il fornire equipaggiamento medico di base a chi ne ha bisogno.

Nonostante l'assoluta urgenza di questi programmi, gli stessi problemi che esistono nel campo delle attività di sicurezza nazionale, si possono trovare anche nel campo dei programmi di assistenza verso i Paesi esteri. Oltre 50 separate entità governative si occupano della consegna di aiuti umanitari a Paesi stranieri. Dobbiamo invece tornare alla visione del presidente Kennedy che, già nel 1961, affermava che il sistema americano era frammentato, inefficiente e lento, e che vi era bisogno di migliorarlo perchè "lo richiedono l'interesse della nazione e la causa della libertà politica". Kennedy aveva perciò riformato il sistema di aiuti americani all'estero ed abbiamo ora bisogno di un simile programma di ristrutturazione. Come presidente, ho intenzione di creare una nuova figura ministeriale per coordinare le politiche di sviluppo globale del governo. Ho anche intenzione di rimpiazzare il Foreign Assistance Act del 1961 con un Global Development Act che permetta di modernizzare e consolidare le strutture di assistenza allo sviluppo nei Paesi stranieri, e chiedere quindi al Congresso di migliorare la sua supervisione e di ridare vigore ai suoi comitati di controllo, così da divenire un partner più efficace in questo sforzo. Con misure come queste, possiamo tornare a reclamare il nostro storico ruolo di leadership morale del mondo, oltre a rendere, allo stesso tempo, il pianeta più sicuro anche per gli Stati Uniti d'America.

LA STRADA DAVANTI A NOI

Nel 1945, sarebbe stato facile per noi osservare la devastazione in Europa e guardare altrove. Ma leader politici come il presidente Truman ed il generale Marshall capivano che ci voleva ben altro che la semplice potenza militare americana per aiutare la ricostruzione dell'Europa distrutta dalla seconda guerra mondiale. Bisognava proteggere l'Europa uscita dalla seconda guerra mondiale, dall'appeal di tiranni che predicavano di risentimento e povertà, abusando della nostra ingenuità, dei nostri alleati e della nostra generosità. Il generale Marshall prese perciò la decisione di impegnarsi con il mondo per costruire la speranza di un futuro migliore. Nel suo discorso del 1953 con il quale accettò il Premio Nobel per la Pace per la ricostruzione dell'Europa, il generale Marshall spiegava che la potenza militare non "bastava per costruire le basi di una pace stabile e duratura". Aveva ragione. L'attuale Europa pacifica e prosperosa è il testamento postumo della sua visione e della sua politica.

La nostra nazione è ora al massimo della sua potenza, ma si trova anche di fronte a serie sfide. Oggi, abbiamo bisogno di una politica di sicurezza nazionale per il ventunesimo secolo che non risponda solo alle minacce ma si occupi anche di applicare tutte le risorse possibili per ottenere l'obiettivo critico di prevenire tali minacce in primo luogo. Possiamo essere allo stesso tempo forti, sicuri di noi stessi, coraggiosi ed aiutare a costruire un futuro migliore per il mondo. La nostra politica di sicurezza nazionale deve essere modificata per ottenere questi obiettivi. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per reclamare lo storico ruolo degli Stati Uniti come faro del mondo libero, e diventare, ancora una volta, un esempio da seguire per tutte le nazioni del mondo.

Fonte originale: Foreign Affairs

(Tradotto da Daniele John Angrisani per Altrenotizie.org)


* John Edwards, ex senatore americano della North Carolina, è uno dei candidati che si sono presentati per la nomination democratica alle elezioni presidenziali del prossimo anno, nonchè ex candidato vicepresidente, in tandem con John Kerry, per le elezioni 2004 che hanno visto la rielezione di Bush dopo una difficile e combattuta campagna elettorale fino all'ultimo giorno.