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La scena mediatica degli Stati Uniti è stata sconvolta questa settimana dal licenziamento improvviso di uno dei più popolari giornalisti televisivi americani, il conduttore di Fox News Tucker Carlson. Populista, demagogo, xenofobo, trumpiano sono alcuni degli attribuiti non esattamente lusinghieri che vengono di solito accostati alla figura di Carlson, a lungo l’opinionista conservatore di maggiore rilievo del network di (estrema) destra della famiglia Murdoch. Più recentemente, Carlson aveva però anche dato ampio spazio a giornalisti e commentatori indipendenti, inclusi quelli collocabili politicamente a sinistra, introducendo nel dibattito ufficiale dominato dalla stampa “corporate” una prospettiva più critica del comportamento del governo americano e degli affari internazionali in genere.

 

Proprio questa sorta di intrusione nella galassia “mainstream”, che raramente si discosta dalla versione dei fatti proposta dagli uffici stampa governativi, ha segnato con ogni probabilità la sorte di Carlson a Fox News. Offrire agli americani l’opportunità di un approccio problematico agli eventi del mondo e, in primo luogo, a quelli in cui è coinvolto il loro governo è stata sì una scelta vincente, come hanno testimoniato i dati relativi all’audience, ma ha rappresentato anche un’iniziativa giudicata troppo pericolosa dai suoi datori di lavoro.

Nel panorama fossilizzato dei grandi media americani, così come di quello del resto dell’Occidente, l’evoluzione di Tucker Carlson costituisce un evento a dir poco eccezionale, anche al netto delle tirate contro l’immigrazione illegale o sulla favola dell’elezione rubata da Biden e i democratici nel 2020. Basti pensare alle questioni affrontate solo negli ultimi mesi nel suo show, dove sono state discusse notizie in larghissima misura liquidate come “teorie cospirazioniste” dai colleghi presumibilmente più autorevoli.

Carlson è stato ad esempio uno dei pochissimi a discutere l’indagine di Seymour Hersh sull’esplosione che ha distrutto il gasdotto russo-tedesco Nord Stream. Le rivelazioni del veterano giornalista americano sono state deliberatamente ignorate dal resto della stampa ufficiale, perché conducevano direttamente alla Casa Bianca mostrando i metodi terroristici impiegati dal governo di Washington nella promozione dei propri interessi strategici.

Lo spazio messogli a disposizione fino a settimana scorsa da Fox News veniva utilizzato inoltre per interventi di giornalisti e attivisti impegnati nel contrastare la deriva guerrafondaia di Washington nel confronto con Russia e Cina. Allo stesso modo, non era infrequente assistere a denunce della gestione della crisi ucraina, soprattutto per quanto riguarda l’incredibile quantità di denaro e armi trasferite dall’amministrazione Biden a Kiev praticamente senza nessun meccanismo di controllo. Anche il regime di Zelensky è stato spesso attaccato da Carlson e i suoi ospiti, così come si è discusso di frequente sui rischi concreti di scatenare una guerra nucleare.

Personalità piuttosto note nei circuiti alternativi, come Glenn Greenwald o Aaron Maté, erano spesso presenti nello show di Carlson e per questo sono stati duramente criticati dagli ambienti della (finta) sinistra “liberal” americana. L’ormai ex conduttore di Fox News aveva compreso alla perfezione quanto interesse esista tra gli americani per informazioni non filtrate dal governo e da una stampa ufficiale che agisce di fatto da organo di propaganda di quest’ultimo. Il suo programma era infatti il più seguito del network di Murdoch e la notizia del brusco licenziamento a inizio settimana è stata seguita da un tonfo in borsa del titolo di Fox News.

Si è discusso a lungo e ancora si discute in America sulle vere ragioni del licenziamento di Tucker Carlson. Alcuni hanno fatto notare come gli sia stato dato il benservito all’indomani del patteggiamento di Fox News con la giustizia USA per chiudere una causa legale intentata dalla società che produce e vende hardware e software per il voto elettronico, Dominion Voting Systems. Murdoch ha dovuto sborsare quasi 800 milioni di dollari per evitare un processo e lo stesso Carlson era stato coinvolto nel caso, intervenendo attivamente nel promuovere la tesi della frode elettorale nel 2020. Altri invece indicano un recente attacco contro Pfizer in relazione alla produzione del vaccino contro il COVID-19 e, più in generale, all’influenza esercitata dall’industria farmaceutica sulla politica di Washington.

Al di là del motivo specifico che può avere spinto i vertici di Fox News a liquidare Tucker Carlson, è evidente che quest’ultimo rappresentava ormai una spina nel fianco inaccettabile dal sistema di potere politico-industriale-mediatico americano. Il suo licenziamento non fa dunque che confermare l’impossibilità di fare un’informazione anti-sistema dall’interno del sistema stesso, nonostante la domanda del pubblico in questo senso continui a essere fortissima.

In definitiva, la fine della sua carriera a Fox News è dovuta al fatto che stava diventando sempre più un battitore libero incontrollabile dentro un apparato che, al contrario, tollera soltanto conformismo e allineamento alla versione ufficiale, anche se nei termini del tutto peculiari del conservatorismo che caratterizza il network di Murdoch. Non gli sono state fatali, in altri termini, le svariate prese di posizione fascistoidi sui temi dell’immigrazione o della “Grande Sostituzione”, ma piuttosto la crescente minaccia al sistema mediatico consolidato.

Come ha riassunto il giornalista britannico Jonathan Cook sul sito Consortiumnews, Tucker Carlson cercava in definitiva di “tenere il piede in due scarpe”, ovvero nel sistema dei media ufficiali dominati dalle grandi corporation e contemporaneamente in quello della stampa indipendente. Il primo, continua Cook, “esiste per intrattenerci, distrarci, imprigionarci nelle nostre identità tribali e [spingerci a] scontrarci inutilmente l’uno contro l’altro”, mentre il secondo, frequentato sempre più da Carlson, “per aiutarci a riflettere in maniera critica sul potere e sulle nostre responsabilità in quanto cittadini”.