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L’attesa controffensiva delle forze armate ucraine continua a rimanere avvolta nel mistero e molti indizi che trapelano sulla stampa ufficiale sembrano prospettare sia una débacle da parte del regime di Kiev sia il venir meno dell’appoggio occidentale nel prossimo futuro. La pubblicazione quasi certamente coordinata nei giorni scorsi di due articoli, rispettivamente sul New York Times e sulla testata on-line Politico, lascia intendere che a Washington ci si stia in qualche modo preparando all’inevitabile sconfitta ucraina. Come questo scenario sarà presentato alla comunità internazionale e in che modo verrà gestita la prossima fase del conflitto Russia-NATO resta però ancora tutto da verificare.

 

Il secondo articolo citato è quello con i toni più pessimistici e arriva a ipotizzare il lancio di negoziati di pace in un futuro ravvicinato. Già il titolo anticipa l’attitudine dell’amministrazione Biden, la quale sembra temere “le conseguenze di una fallimentare controffensiva ucraina”. Lontano dai riflettori, la Casa Bianca nutre forti dubbi circa i risultati che Zelensky potrà ottenere con l’operazione militare da tempo prevista. Se, nella migliore delle ipotesi, dovessero esserci solo successi limitati sul campo, Biden si ritroverà a fare i conti con ripercussioni politiche di duplice natura.

Da un lato, i “falchi” pro-Ucraina denunceranno il mancato invio di equipaggiamenti militari che avrebbero potuto fare la differenza, come missili a lungo raggio, caccia e sistemi di difesa più efficaci. Dall’altro, invece, i contrari al coinvolgimento di Washington nel conflitto torneranno a criticare l’amministrazione democratica per non avere preso atto della sostanziale impossibilità di liberare i territori occupati dalla Russia. Su un altro fronte, infine, alcuni alleati europei troveranno nell’allontanarsi della vittoria dell’Ucraina la conferma della necessità di aprire trattative diplomatiche tra Mosca e Kiev.

New York Times e Politico sollevano entrambi il problema del sostegno militare prolungato all’Ucraina se la controffensiva non dovesse dare i frutti sperati. Anche con tutto l’appoggio garantito dall’Occidente, scrive il Times, “grandi vittorie non sono probabili né tantomeno garantite”. Al termine delle operazioni ucraine, saranno inoltre molto scarse le probabilità che la NATO riesca a mettere assieme ulteriori forze in grado di contrattaccare e sconfiggere la Russia. Infatti, gli Stati Uniti e i loro alleati “hanno in larga misura esaurito le riserve di armi dopo avere inondato l’Ucraina di aiuti”. Il risultato è una voragine difficilmente colmabile prima del 2024.

Più esplicito nel delineare le condizioni almeno per un cessate il fuoco è ancora l’articolo di Politico. Dopo avere ribadito l’assurda tesi che a decidere il futuro delle operazioni militari sarà comunque Zelensky, gli autori del pezzo spiegano come il governo USA abbia impartito a Kiev una lezione di realismo. A un certo punto, ad esempio, il ritmo degli aiuti dall’America “rallenterà”, soprattutto alla luce del ritorno, a partire dallo scorso mese di gennaio, della Camera dei Rappresentanti del Congresso sotto il controllo del Partito Repubblicano.

Il presidente dell’influente Council on Foreign Relations, Richard Haass, interviene a sua volta per avvertire che, “se l’Ucraina non sarà in grado di recuperare terreno in maniera significativa”, ci si chiederà inevitabilmente se “sia arrivata l’ora di negoziare un cessate il fuoco”. Proseguire di questo passo, afferma ancora Haass, sarebbe “troppo oneroso” e gli USA e la NATO “sono a corto di munizioni” e, soprattutto, ci sono altre priorità a cui Washington deve dedicarsi, ovvero il confronto con la Cina.

I due articoli di New York Times e Politico seguono di poco il caso dei documenti riservati del Pentagono che nelle ultime settimane sono circolati anche sui media ufficiali, veicolando al pubblico, tra le altre cose, le stime tutt’altro che ottimistiche delle condizioni delle forze armate ucraine elaborate dai vertici militari e dell’intelligence USA. Complessivamente, è possibile ricavare un’idea piuttosto chiara del pessimismo che circola a Washington dietro i proclami relativi all’appoggio da assicurare al regime di Zelensky “fino a quando sarà necessario”.

L’analisi di Politico prosegue poi nello smontare la strategia ucraina, rivelando come l’amministrazione Biden sia “scettica” sulle possibilità che Kiev riesca a “tagliare il collegamento di terra tra la Russia e la penisola di Crimea”. Ancora, l’intelligence USA ritiene che il regime di Zelensky – “semplicemente” – non abbia le capacità di scardinare le forze russe dove queste ultime hanno consolidato le loro posizioni.

Queste previsioni pessimistiche si accompagnano a una valutazione delle perdite ucraine che, anche se per difetto, si avvicina insolitamente alla realtà e disegna un quadro ancora più cupo in vista della controffensiva. Nella versione iniziale dell’articolo di Politico veniva indicato un numero di “circa 100 mila morti” dall’inizio della guerra. Poco dopo è stata apportata una correzione al testo per includere in questa cifra anche i feriti, ma la situazione complessiva non appare comunque migliore se si considera che gli uomini con maggiore esperienza sono in gran parte fuori dai giochi e il consumo di armi e munizioni ha raggiunto un ritmo impossibile da sostenere per l’Occidente.

Sembra esserci in definitiva una certa rassegnazione per le sorti dell’Ucraina anche nella cerchia “neo-con” che dirige la politica estera dell’amministrazione Biden. Il riferimento al caso afgano non promette poi nulla di buono per Zelensky e la sua cricca. Politico scrive che la Casa Bianca ha passato al regime di Kiev un messaggio simile a quello recapitato quasi due anni fa all’allora presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani, circa il pericolo di sovrastimare le proprie ambizioni e di logorare eccessivamente le forze a disposizione.

Nel caso afgano, l’avvertimento aveva preceduto un’umiliante ritirata delle truppe americane e il venir meno improvviso del sostegno al governo fantoccio di Kabul, col conseguente tracollo immediato di un regime tenuto in piedi da vent’anni di occupazione. Per l’Ucraina, il messaggio potrebbe essere simile. Il fallimento della guerra che doveva risolversi nell’indebolimento della Russia e le conseguenze disastrose provocate in Occidente hanno creato una situazione tale da rendere urgente una soluzione diplomatica, a meno di un impegno diretto e massiccio degli USA o di altri paesi NATO. Un’eventualità, quest’ultima, decisamente improbabile, oltre che inutile ai fini del risultato finale, se non altro in considerazione dell’approssimarsi di una delicatissima stagione elettorale negli Stati Uniti.

I riflessi politici di un ripiegamento dal fronte russo-ucraino sarebbero tuttavia pericolosi per Biden e i democratici, tanto che, si deduce leggendo tra le righe dell’articolo di Politico, a Washington e Kiev si sta studiando un modo per vendere la sconfitta come una sorta di vittoria. Stabilire un obiettivo più modesto della controffensiva ucraina potrebbe essere un’opzione. Oppure, lavorare a un “cessate il fuoco” invece che acconsentire a negoziati per una pace permanente.

La discussione continua in ogni caso a partire dal presupposto illusorio che Zelensky e i suoi sponsor abbiano la facoltà di dettare i termini del conflitto e dell’eventuale risoluzione. In quest’ottica, la tregua che la Casa Bianca auspicherebbe in caso di fallimento della controffensiva non sarebbe altro che una riedizione degli accordi di Minsk, per stessa ammissione di vari leader occidentali ed esponenti del regime di Kiev sfruttata per consentire all’Ucraina di consolidare le proprie posizioni e attaccare le regioni “ribelli” del Donbass.

Politico, citando il dibattito in corso a Washington, parla d’altra parte apertamente di una tattica per guadagnare tempo, in modo da “lasciare aperta la porta a future offensive ucraine” per recuperare i territori persi in seguito all’invasione russa. Non solo, Zelensky potrebbe acconsentire a trattare con Mosca se gli venissero offerte “garanzie di sicurezza” sotto l’ombrello NATO, una maggiore integrazione con l’UE e un ulteriore flusso di armi dall’Occidente. Tutte condizioni che, legittimamente, la Russia considera inaccettabili e che sono fondamentalmente alla base della stessa guerra in corso ormai da quattordici mesi.