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Se le spinte verso il multipolarismo sono l’elemento che caratterizza più di ogni altro l’attuale periodo storico, l’incontro di questa settimana tra i presidenti di Cina e Iran – Xi Jinping e Ebrahim Raisi – non può che essere un evento di assoluto rilievo. I due paesi sono infatti protagonisti dei processi di integrazione economica e infrastrutturale che interessano lo spazio euro-asiatico. La “partnership strategica” che i due leader si sono impegnati a consolidare durante i colloqui è imprescindibile dalla collaborazione per la stabilizzazione dell’area che va dal Medio Oriente all’Asia orientale nel quadro di organismi multilaterali come BRICS o SCO e, soprattutto, in opposizione alla minaccia destabilizzante rappresentata dagli Stati Uniti, dalla NATO e dall’Occidente in generale.

 

La foltissima delegazione iraniana atterrata a Pechino e l’accoglienza riservata a Raisi e ai membri del suo gabinetto sono altamente significative dello stato delle relazioni bilaterali. I progetti di collaborazione già esistenti si sono arricchiti martedì dalla firma di una ventina di “memorandum d’intesa” che spaziano dalla tecnologia alla risposta alle crisi, dal turismo alla comunicazione, dall’ambiente al commercio, dall’agricoltura alla salute e altro ancora. Questi documenti sono il risultato del mega-accordo di cooperazione da 400 miliardi di dollari presentato per la prima volta nel corso della visita di Xi a Teheran nel 2016 e finalizzato cinque anni più tardi.

Non sono evidentemente solo ragioni di convenienza economica a determinare l’approfondimento dei rapporti sino-iraniani. Petrolio e gas iraniani sono com’è ovvio fondamentali per Pechino, così come il mercato cinese per Teheran, tanto che gli scambi bilaterali hanno superato i 25 miliardi di dollari tra marzo 2022 e gennaio 2023. La posizione geografica dell’Iran, all’incrocio delle rotte tra est e ovest, fa inoltre di questo paese uno snodo decisivo della “Nuova Via della Seta” o, più precisamente, “Belt and Road Initiative” (BRI).

Come testimonia il vertice di questa settimana, è però anche e sempre più l’aspetto politico e della sicurezza ad avvicinare i due paesi, sulla base della resistenza contro l’unilateralismo e l’aggressività in funzione egemonica degli USA e dei loro alleati. È altrettanto chiaro che in questo senso la partnership tra Cina e Iran si intreccia a quella che entrambi hanno rafforzato con la Russia.

Proprio la necessità di “guardare a est” da parte di Mosca sotto le pressioni di Europa e Stati Uniti trova il proprio corrispondente nell’atteggiamento dell’attuale leadership iraniana. Il ritorno al governo dei “conservatori” ha perfezionato così l’allineamento con la guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, promuovendo le relazioni e gli scambi con l’Asia e facendo passare in secondo piano l’inconcludente processo diplomatico con l’Occidente attorno alla questione del nucleare.

Il clima e i contenuti della visita di Raisi in Cina sembrano inoltre dissolvere i dubbi sullo stato dei rapporti tra i due paesi che qualche commentatore aveva sollevato in seguito al tour di Xi nel Golfo Persico lo scorso dicembre. A fare discutere in quell’occasione era stato l’apparente sostegno cinese a una rivendicazione territoriale degli Emirati Arabi relativa ad alcune isole appartenenti all’Iran. Da Teheran erano state espresse proteste contenute, ma la Cina aveva subito escluso di volere prendere le parti di uno dei due paesi, riaffermando il principio di non interferenza e l’impegno per la risoluzione pacifica delle dispute internazionali.

L’integrazione dell’Iran nella realtà geopolitica eurasiatica ha ricevuto un impulso decisivo con l’ingresso a tutti gli effetti di questo paese nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) lo scorso settembre. Questo organo, di cui fanno parte Russia, Cina, India, Pakistan e quattro repubbliche centro-asiatiche dell’ex URSS, mette assieme il 40% della popolazione mondiale e circa il 30% del PIL del pianeta. Le opportunità che l’adesione alla SCO, così come la partecipazione alla BRI cinese, offre a Teheran sono molteplici e toccano numerosi ambiti, ma in linea generale permettono alla Repubblica Islamica di svincolarsi da pressioni e ricatti occidentali che hanno limitato spesso drasticamente il proprio potenziale e le relative legittime ambizioni.

Come conferma anche la visita di Raisi a Pechino, la scelta di “guardare a oriente” dell’Iran implica la presenza in un panorama multiforme che si sta allargando ad altre realtà del cosiddetto “Sud Globale”, ben al di fuori dei confini asiatici. L’Iran ha ad esempio già presentato richiesta ufficiale per entrare anche nel gruppo allargato dei BRICS (BRICS+), mentre solo qualche settimana fa ha sottoscritto un accordo di libero scambio con l’Unione Economica Euro Asiatica (EAEU), composta da Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan.

Tutte queste dinamiche sono viste con apprensione dagli Stati Uniti, i cui sforzi per indebolire e dividere i loro rivali risultano sempre meno efficaci. Nel contempo, la politica delle sanzioni a oltranza, della promozione delle “rivoluzioni colorate” o dell’aggressione militare – diretta o per procura – sta sempre più alimentando un movimento planetario, che ha ancora una volta il proprio baricentro in Asia, per marginalizzare le istituzioni sovranazionali dominate da Washington, fino a delineare il vero e proprio incubo degli USA, ovvero la “de-dollarizzazione” dell’economia globale.

Precisamente in quest’ottica va inteso il discorso di mercoledì di Raisi alla Peking University nella capitale cinese. Il presidente iraniano ha parlato di un “nuovo ordine mondiale” che sta prendendo forma, fondato “su un autentico multilateralismo e sulla solidarietà”. Raisi ha affermato che l’epicentro di questa nuova realtà è appunto il continente asiatico, nel quale, di fronte alla minaccia occidentale, “la protezione e la promozione della pace e della stabilità” appaiono “non solo [come] una scelta ma un’assoluta necessità”.