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Categoria: Esteri

Il crescente e dimostrato coinvolgimento di forze appartenenti a paesi NATO e della stessa Legione straniera, che si finge indipendente ma è agli ordini di Parigi, rivela la natura internazionale della guerra. L’Ucraina, infatti, e la sua sovranità, appaiono terreno ipocrita e pernicioso destinato all’operazione di contenimento e riduzione a potenza regionale della Russia da parte della NATO.

 

Dunque, mentre la guerra colpisce al cuore la verità e la logica, l’idea di porvi fine appare una chimera, proprio perché il proseguimento ed allargamento del conflitto è il cuore del progetto statunitense. Gli incontri avvenuti fino ad oggi sono stati una sostanziale messinscena ucraina, prova ne siano le contemporanee richieste di no-fly zone, armi, soldati e aerei che avrebbero raggiunto il risultato di scatenare un conflitto globale.

Nonostante la propaganda occidentale e ucraniana spacci l’immagine di una controffensiva ucraina, la verità sul campo è diversa. Si può anche vendere il progressivo, lento, indietreggiare dei russi come la vittoria della “eroica resistenza ucraina”, ma solo in un set dove la fiction prende il posto della realtà.

La posta in gioco non è una sconfitta militare russa, bensì il proseguimento della guerra, nella speranza che i russi restino impantanati in Ucraina. O, almeno, che siano costretti ad uscirne con una modalità di guerra distruttiva, cui potrebbero ricorrere se si vedessero impantanati.

Fermare la trattativa
E’ ormai chiaro a tutti che il primo obiettivo angloamericano è fermare ogni ipotesi di trattativa per la cessazione delle ostilità. Non a caso, nelle ore precedenti ogni tavolo tra Russia e Ucraina è sempre intervenuto Biden ad alzare la tensione per impedire un possibile esito positivo dei colloqui. Quando non è stato sufficiente, si è ricorsi alle maniere spicce che amano i nazisti ucraini: uccisione dei negoziatori che pensavano agli interessi dell’Ucraina e non quelli degli USA e destituzione di generali non disponibili al lavoro sporco sui civili ucraini che serve proprio a interrompere qualunque ipotesi di dialogo.

Ma la retorica bellicista e l’indignazione alternata dovranno comunque finire con i piedi sotto il tavolo delle trattative, perché l’innalzamento della guerra a livelli distruttivi non è compatibile con il presente e il futuro dell’Europa e del mondo intero. Del resto Zelensky deve rassegnarsi: il mondo non andrà verso l’autodistruzione che deriverebbe dalla terza guerra mondiale per salvare il suo governo. Nemmeno per il suo Paese, se si vuole essere cinici ma realisti, come del resto lo sono stati fino ad ora la stessa Nato e la Ue. La chiusura del conflitto resta quindi non una soluzione ma la soluzione.

Quali che siano le strade, innalzamento del conflitto o  riduzione dello stesso, l’arrivo è inevitabilmente la trattativa con i russi. Perché è con il nemico che si stabilisce una trattativa, con gli amici non ce n’è bisogno. Ma una trattativa è destinata, per definizione, a dare valore alle ragioni dell’altro. In una trattativa nessuno si alza con ciò che aveva quando si è seduto. La differenza tra un accordo e una resa risiede nella distanza tra le pretese impossibili e le richieste ragionevoli. A consuntivo di una guerra non possono esserci principi seduti a un tavolo di trattative, dal momento che l’esistenza di per sé stessa del tavolo indica come ogni aspetto è oggetto di negoziato. Territori, prerogative e diritti sono sottoponibili alla realpolitik, la quale per definizione ragiona su ciò che è lecito aspettarsi, su cosa è ragionevolmente proponibile per il reciproco interesse e non su principi e ambizioni di uno da far prevalere sull’altro.

La Russia ha fin dall’inizio detto quali sono le condizioni per un suo ritiro dall’Ucraina: neutralità militare (non politica) dell’Ucraina, denazificazione e smilitarizzazione dell’esercito, riconoscimento delle repubbliche di Crimea, Donetsk e Lugansk. Tradotto in termini più concreti, significa la rinuncia all’entrata dell’Ucraina nella NATO, la configurazione di una neutralità militare sul modello della Finlandia per Kiev, l’estensione all’intero Donbass della presenza russa, scioglimento del battaglione Azov e di Pravy Sektor, restituzione dei diritti di cui sono privati i cittadini di etnia russa.

Le richieste ucraine sono inevitabilmente opposte: ritiro immediato delle truppe russe da tutto il territorio ucraino, compreso il Donbass e la Crimea, per il cui destino si offre la disponibilità a decidere in uno spazio di 15 anni; ripristino della sovranità ucraina su Donetsk e Lugansk, libertà di associazione con l’Unione Europea e con la Nato.

Come si vede la distanza tra le due parti è siderale e proprio per questo, paradossalmente, la trattativa potrebbe essere più breve. Sono i dettagli di un sostanziale accordo che rendono distante una visione comune, quasi mai avviene il contrario.

E’ chiaro che Mosca vuole arrivare al tavolo con una supremazia militare che obblighi gli ucraini alla presa d’atto di uno stato di fatto, che è arma poderosa contro il diritto teorico. La Russia ha annunciato di aver chiuso la possibilità di evacuazione del battaglione Azov da Mariupol: chiudere per sempre con le loro gesta criminali era del resto uno degli obiettivi. La soverchiante forza militare russa non è infatti limitabile dalla cosiddetta “resistenza” ucraina, che ogni giorno che passa, contrariamente alla propaganda di Kiev, vede ridotte le sue capacità operative. Ma dato che la Nato non ha nessuna intenzione di intervenire militarmente, nè lo faranno i singoli paesi che vi appartengono e considerato che nessuno venderà armamenti che difficilmente verrebbero pagati viste le casse di Kiev, Zelensky non ha vie d’uscita.

La soluzione potrebbe configurarsi in un piano di reciproca concessione che vedrebbe:

Queste sono le questioni principali sul tappeto di un possibile accordo. Vi sono poi questioni più di dettaglio che potrebbero essere affrontate successivamente. Tra queste la fine delle discriminazioni legali e normative sui cittadini russofoni e il ripristino del russo come seconda lingua, visto che buona parte della popolazione è russofona. E si dovrebbe ripristinare la legalità degli 11 partiti d’opposizione sciolti, oltre che della riapertura delle tre emittenti televisive chiuse dal regime di Kiev. L'Ucraina potrebbe anche mantenere l’annullamento della festa nazionale della liberazione dal nazismo, ma deve cancellata la festività nazionale in onore di Stephan Bandera, il boia ucraino delle SS.

Non importa quali e quante siano le sanzioni europee, molte di esse diverranno un boomerang per i cittadini del vecchio continente. Tantomeno avranno importanza le presunte denunce ai tribunali di giustizia internazionali per crimini di guerra, dato che le condizioni giuridiche per la loro incriminazione non sussistono e considerato che né Russia, né Stati Uniti, vi hanno mai aderito. Gli Stati Uniti, addirittura, non hanno mai riconosciuto la sentenza della Corte Penale Internazionale dell’Aja che li ha condannati a rifondere il Nicaragua con 17 miliardi di dollari per l’attività terrorista degli USA in Nicaragua negli anni ’80. Sarebbe quindi ridicolo che chiedessero ad altri di rispettare i tribunali dove loro non vanno e le cui sentenze loro per primi non applicano.

Cosa potremmo fare noi italiani, oltre ad indicare in ogni sondaggio la contrarietà alla guerra e alle decisioni politiche del governo dell'esaltato atlantista? Alla riduzione del conflitto gioverebbe la fine dell'invio di armi e dell’esaltazione bellica che ricorda il furore interventista mussoliniano del 1914. Un virilismo dannunziano esibito dalla peggiore stampa italiana, quella dei conduttori da talk show dal furore atlantista e di direttori di fresca nomina che lconsumano ginocchia per editori che sono proprietari di aziende che producono materiale bellico.

Sempre stati muti, ciechi e sordi di fronte alle guerre appena passate e a quelle ancora in corso dove la NATO occupa illegalmente paesi e massacra le loro popolazioni, sono diventati indignati speciali nella circostanza. Rimuovono ed esaltano a comando, usi ad obbedir gridando. Privi di ogni prudenza, si schierano forsennatamente con gli interventisti, entusiasticamente supini nel loro bellicismo parolaio. Come diceva Churcill, del resto, gli italiani interpretano il calcio come fosse una guerra e la guerra come una partita di calcio.