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Il fatto che un giudice di un tribunale di un paese “democratico” scriva nero su bianco in una sentenza che l’autorità esecutiva più alta di quello stesso paese ha cospirato per rovesciare l’ordine costituzionale dovrebbe rappresentare un evento niente meno che sensazionale. Se però questo paese è l’America, dove ciò è effettivamente accaduto nei giorni scorsi, le conseguenze possono essere tutt’al più trascurabili. Le circostanze sono ovviamente quelle dell’assalto al Congresso di Washington del 6 gennaio 2021, della cui responsabilità le prove emerse sono sempre più schiaccianti nei confronti di Donald Trump. Al dipartimento di Giustizia, organo dell’amministrazione Biden, continua tuttavia a esserci poco o nessun interesse per una possibile incriminazione dell’ex presidente repubblicano o dei suoi più stretti collaboratori.

 

L’accusa virtualmente senza precedenti contro un presidente degli Stati Uniti è arrivata lunedì dal giudice federale californiano David Carter nel quadro di un procedimento intentato dallo stesso Trump. Quest’ultimo aveva fatto causa contro la speciale commissione della Camera dei Rappresentanti che indaga sui fatti del 6 gennaio, la quale aveva ordinato la consegna della corrispondenza intrattenuta in quel periodo da John Eastman, uno dei legali dell’allora presidente.

Il giudice Carter ha confermato la legittimità della richiesta del Congresso per quasi tutte le e-mail in questione, respingendo la tesi con fragilissime fondamenta legali degli avvocati di Trump che si appellavano al cosiddetto “privilegio esecutivo”. L’aspetto più significativo del verdetto è in ogni caso il riassunto di quanto accaduto a Washington quasi quindici mesi fa. Scrive Carter: “John Eastman e il presidente Trump avevano lanciato una campagna per ribaltare un’elezione democratica, vale a dire un atto senza precedenti nella storia americana”.

Le manovre per raggiungere questo scopo non consistevano soltanto nella produzione di teorie (pseudo-)legali volte a giustificare le mire golpiste, di cui appunto Eastman, in qualità di docente di legge, era l’autore principale. “Il piano”, prosegue il giudice federale, “incoraggiava anche un attacco violento contro la sede del nostro governo” e “ha causato la morte di diversi agenti di polizia, aggravando il senso di sfiducia degli americani nei confronti del nostro sistema politico”.

In un’approfondita analisi della sentenza, il blog americano Lawfare ha spiegato che le parole del giudice Carter lasciano la corretta impressione che “gli eventi che ebbero luogo nel periodo tra la sconfitta di Trump [nel novembre 2020] e la certificazione da parte del Congresso della vittoria di Biden il 6 gennaio [2021]” abbiano visto il dispiegarsi di uno “sforzo estremo di un presidente uscente per rimanere al potere nel totale disprezzo della legge e con metodi incostituzionali, inclusa la violenza diretta contro un ramo del governo”. Nello stesso articolo si afferma inoltre che “nemmeno dopo il Watergate venne prodotto un documento” legale in grado di demolire con tale efficacia “l’onore e la condotta” di un presidente, in quel caso di Richard Nixon.

Sempre nel testo della sentenza di questa settimana si legge che, “se il piano di Eastman e Trump fosse andato a buon fine, avrebbe messo fine per sempre al pacifico trasferimento del potere, indebolendo la democrazia americana e la Costituzione”. Per questa ragione, prosegue il giudice Carter, “se il paese non si impegna a indagare e a perseguire i responsabili, questa corte teme che i fatti del 6 gennaio [2021] finiranno per ripetersi”.

Quello che più colpisce è che il giudizio del giudice Carter sulle azioni di Trump non scaturisce dall’analisi di nuovi elementi o prove relative al tentato golpe, ma si basa al contrario sulla ricostruzione di fatti da mesi di dominio pubblico. Ciò rende ancora più problematica la passività del dipartimento di Giustizia americano, il quale, da parte sua, ha messo sotto indagine o incriminato finora solo un certo numero di individui, quasi tutti appartenenti a organizzazioni di estrema destra, che avevano preso parte materialmente all’assalto al Congresso.

Ancora nella sentenza del giudice Carter c’è un riferimento a un memorandum redatto dall’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, anch’egli tra i legali di Trump, e consegnato a Eastman nel quale si delineavano una serie di scenari per influenzare le operazioni previste al Congresso il 6 gennaio 2021. Il ruolo di Eastman fu in questo senso cruciale, poiché partecipò, il giorno prima, all’incontro alla Casa Bianca con Trump e il suo vice, Mike Pence, durante il quale vennero fatte pressioni su quest’ultimo per convincerlo a respingere i risultati in alcuni stati a favore di Biden al momento della certificazione da parte del Congresso. Secondo la Costituzione USA, il vice-presidente degli Stati Uniti deve però esclusivamente presiedere a questa formalità e, a differenza di quanto pretendeva il clan di Trump, non ha il potere di bloccare la certificazione dei risultati favorendo un candidato diverso da quello già proclamato vincitore a livello statale.

La sentenza pronunciata lunedì in California esprime comunque un certo disagio in alcuni ambienti di potere americani per l’assenza di misure incisive in merito ai fatti del 6 gennaio 2021, soprattutto per l’eventualità che un simile scenario possa ripetersi nelle prossime tornate elettorali, gettando il paese nel caos. La sostanziale immobilità dell’amministrazione Biden è dovuta in primo luogo a considerazioni di carattere politico, da ricondurre sia al timore di consegnare un’altra arma elettorale al Partito Repubblicano, già favorito per il voto di “metà mandato” del prossimo novembre, sia per limitare al minimo il dibattito pubblico sullo stato comatoso della “democrazia” americana.

L’unica sede dove si stia cercando di fare luce sulle responsabilità ai vertici del fallito colpo di stato rimane così la speciale commissione della Camera, che ha però tenuto finora un numero ridicolo di udienze pubbliche. L’ultimo argomento di indagine dei suoi membri è emerso proprio in questi giorni. Washington Post e CBS News hanno dato notizia di un vuoto di oltre sette ore che risulterebbe dai documenti sulle comunicazioni telefoniche di Trump del 6 gennaio 2021, consegnati recentemente dall’Archivio Nazionale alla stessa commissione del Congresso.

L’assenza di dati – dalle ore 11.17 alle 18.54 – è semplicemente incredibile se si considerano gli eventi in corso in quelle ore e la frenetica attività telefonica di Trump nel periodo precedente e in quello successivo. Oltretutto, nei mesi scorsi erano apparsi sulla stampa americani numerosi resoconti di conversazioni telefoniche collocabili in questo spazio temporale tra l’allora presidente e, ad esempio, membri del Congresso che gli chiedevano di intervenire per fermare l’assalto dei suoi sostenitori.

Secondo la stampa USA, Trump potrebbe avere usato per le comunicazioni più delicate i telefoni privati dei membri del suo staff oppure dispositivi “usa e getta” per non lasciare tracce. Questa circostanza non fa in ogni caso che aumentare i sospetti di una trama golpista ben precisa pianificata alla Casa Bianca e che coinvolgeva non solo elementi ultra-disorientati della galassia di estrema destra, ma anche personalità di spicco all’interno del Partito Repubblicano, dell’apparato militare, della sicurezza e dell’intelligence degli Stati Uniti d’America.