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Tra i leader occidentali che hanno finora tenuto aperta una linea di comunicazione diretta con il Cremlino, nonostante le operazioni militari e la follia sanzionatoria, c’è soprattutto il presidente francese Macron. Quest’ultimo e il presidente russo Putin si sono sentiti anche nel pomeriggio di martedì, dopo che l’inquilino dell’Eliseo era stato tra i più decisi a condannare le dichiarazioni del fine settimana di Joe Biden sulla necessità di un cambio di regime a Mosca.

La distanza crescente tra Stati Uniti e Francia ha così portato alla luce le prime crepe del fronte anti-russo dentro la stessa NATO, rilanciando, anche se per ora quasi del tutto sotto traccia, le ambizioni di Parigi nel costruire quella “autonomia strategica” europea a cui avrebbe dovuto essere dedicato il semestre di presidenza francese iniziata il primo gennaio scorso.

 

Com’è ormai noto, durante la sua visita in Polonia nel fine settimana, il presidente americano aveva affermato che Putin, definito questa volta “macellaio”, non poteva restare al potere dopo quanto stava facendo in Ucraina. L’uscita di Biden non è stata in nessun modo casuale né frutto di improvvisazione, ma riflette sostanzialmente gli obiettivi americani nel conflitto in corso. Dalla Casa Bianca e dal dipartimento di Stato erano in ogni caso partiti comunicati ufficiali per cercare di limitare i danni, ma le ragioni del relativo passo indietro dell’amministrazione democratica non sono da collegare al riconoscimento della legittimità di Vladimir Putin, quanto piuttosto al timore di accentuare le divisioni tra gli alleati occidentali attorno alla crisi ucraina.

Infatti, i due governi di maggior peso in Europa, quelli di Francia e Germania, hanno subito criticato le parole di Biden. In linea con il nervosismo che si è probabilmente diffuso tra la classe dirigente francese, Macron ha preso le distanze da Biden affermando la necessità di “fare tutto quanto in nostro potere per evitare che la situazione ci sfugga di mano”. Il presidente francese ha anche invitato l’alleato americano a “non usare un linguaggio simile”, dal momento che il suo ufficio “continua a discutere con Putin”. Macron ha ricordato il presunto obiettivo che gli alleati NATO intendono raggiungere “collettivamente”, vale a dire lo stop alla guerra che “la Russia ha lanciato in Ucraina, senza partecipare [direttamente] al conflitto e senza escalation”.

La reazione tedesca, sulla stessa linea di quella francese, è stata affidata a un portavoce del cancelliere Olaf Scholz, mentre quest’ultimo già durante il recente vertice NATO aveva invitato gli alleati alla prudenza, spiegando che, “alla fine, piaccia o non piaccia, si dovrà trovare un modo per trattare con Putin”.

A un livello più ampio, le divergenze all’interno della NATO sono emerse alla luce del sole proprio all’indomani delle rassicurazioni pubbliche di Biden, secondo il quale i membri dell’alleanza sarebbero “più uniti che mai” sulla questione russo-ucraina. Un articolo pubblicato lunedì da Bloomberg News ha citato fonti e documenti NATO per ricostruire il clima non esattamente sereno del vertice di qualche giorno fa. I governi che vi hanno partecipato si sono ritrovati divisi su molti argomenti, a cominciare da quello più delicato, ovvero i termini di un potenziale accordo di pace tra Mosca e Kiev.

Su questo punto ci sono comprensibilmente opinioni diverse perché, a seconda dell’assetto politico, militare e strategico che potrebbe uscire da una possibile tregua, ci saranno implicazioni differenti per i vari paesi della NATO. Alla vigilia del nuovo round di negoziati tra i rappresentanti di Russia e Ucraina, andati in scena martedì a Istanbul, al centro del dibattito ci sono state infatti le “garanzie di sicurezza” che Kiev dovrebbe ricevere una volta cessate le ostilità, assieme alla questione della “integrità territoriale” e della “sovranità” dell’Ucraina.

La linea dura dettata al governo del presidente Zelensky va ricondotta in primo luogo agli Stati Uniti, ma anche a paesi come Polonia, Gran Bretagna e a quelli del Baltico. I diplomatici citati da Bloomberg hanno rivelato come i governi più intransigenti temano che Macron spinga Zelensky ad accettare la neutralità dell’Ucraina, in accordo con le richieste russe, in cambio di un cessate il fuoco. Ancora, soprattutto Varsavia ritiene che un accordo di pace senza il ritiro totale delle truppe russe faccia il gioco di Putin e, nel complesso, che l’attitudine più collaborativa nei confronti di Mosca dell’Eliseo dipenda dalle necessità elettorali di Macron, atteso a breve dalle elezioni presidenziali francesi.

Altri fattori di discussione dentro alla NATO riguardano l’opportunità di continuare a fornire armi – e di che genere – al regime di Kiev, così come la stessa utilità di parlare con Putin. Ci sono pochi dubbi che i risultati poco incoraggianti dei precedenti round di negoziati russo-ucraini dipendano dal fatto che Zelensky prenda in sostanza ordini da un fronte di alleati per nulla compatto sui dettagli di un’ipotetica intesa con Mosca. Martedì a Istanbul si sono registrati comunque debolissimi progressi tra Russia e Ucraina. I delegati di Kiev avrebbero manifestato la disponibilità a valutare lo status di neutralità e a rinunciare ad ospitare armi nucleari sul territorio ucraino. Questi termini corrispondono a quanto chiesto dal governo di  Mosca, che non sarebbe oltretutto contrario all’eventuale adesione ucraina all’UE, ma rimane tuttavia il disaccordo sull’estensione delle condizioni suddette alla Crimea e alle due repubbliche del Donbass, a cui Kiev non intende rinunciare.

Tornando alle posizioni di Parigi, è probabile che Macron intenda comunicare a Putin che la Francia non ha come obiettivo il cambio di regime a Mosca. Il presidente francese ha d’altra parte ribadito in più occasioni che, in merito alla Russia, la posta in gioco per l’Europa è molto più alta rispetto agli USA e, malgrado anche il suo paese stia partecipando alla pericolosa escalation militare della NATO, l’obiettivo deve essere la fine del conflitto e un qualche compromesso con il Cremlino.

Le posizioni relativamente caute di Macron non sono una novità. Le operazioni militari russe in Ucraina e la risposta occidentale hanno dopo oltre un mese di guerra riproposto le contraddizioni tra le due sponde dell’Atlantico che erano esplose con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca nel 2016. Negli ambienti di potere europei, l’elemento di discussione sta tornando a essere la “autonomia strategica” dell’Europa che, alla luce delle dinamiche globali di questi anni, si traduce nell’esigenza per la classe dirigente del vecchio continente di costruire gli strumenti, in primo luogo di ordine militare, per promuovere i propri interessi economici, commerciali ed energetici in piena indipendenza, se necessario anche in contrapposizione all’alleato americano.

Il servilismo nei confronti di Washington di vari paesi europei, a cominciare dall’Italia, dopo l’inizio del conflitto in Ucraina ha messo apparentemente da parte queste velleità di “autonomia”, ma il proseguire delle operazioni belliche di Mosca e l’effetto boomerang sempre più evidente delle sanzioni ha fatto riemergere tutte le divisioni tra gli alleati in Occidente. I motivi di scontro tra USA ed Europa che avevano caratterizzato la presidenza Trump non erano d’altra parte contingenti o legati alla sola personalità dell’ex presidente repubblicano, ma derivavano da fattori oggettivi come le crescenti rivalità internazionali per l’accaparramento di mercati e risorse energetiche o l’opposizione americana all’integrazione euroasiatica, nella quale molti paesi europei vedono o avevano visto concrete opportunità di crescita.

Non è sorprendente quindi che, in un momento cruciale per il futuro dell’Europa, si stiano riaprendo le crepe sul fronte NATO e che ad alimentare le tensioni sia proprio la Francia. Basti ricordare a questo proposito come Macron, solo nel 2019, aveva definito la NATO in una famosa intervista a The Economist: “cerebralmente morta”. In quell’occasione, il presidente francese aveva non a caso parlato dell’atteggiamento americano nei confronti della Russia, denunciando l’isteria che pervadeva Washington e affermando che per l’Europa era imprescindibile “riconsiderare la propria posizione nei rapporti con Mosca”.

Sul tentativo francese di svincolarsi dalla rigidità delle posizioni USA o di altri governi ferocemente anti-russi in Europa agiscono almeno due fattori. Il primo è l’importanza cruciale per l’economia transalpina delle forniture energetiche russe, realisticamente non sostituibili a breve e tra pochi giorni da pagare in rubli. Il secondo, decisamente più complesso, va ricondotto invece all’evolversi degli obiettivi strategici di Parigi, almeno in parte divergenti da quelli americani.

Macron, sia pure senza rompere con la NATO, spinge più di altri per una soluzione pacifica del conflitto perché ritiene che il prolungamento della guerra rappresenti un ostacolo all’affermazione in maniera autonoma degli interessi europei. Ciò perché il mantenimento di una situazione di conflitto in Ucraina costringe tutto il continente a rimandare lo sganciamento dall’ombrello della sicurezza americano, facendo appunto dell’Europa poco più di un’appendice di Washington. Da qui, per contro, si comprende il desiderio americano di prolungare la guerra e di demolire preventivamente ogni sforzo diplomatico.

Che poi gli obiettivi francesi non siano di per sé ispirati al pacifismo è del tutto ovvio. Tanto che le rivendicazioni in materia di “autonomia strategica” si basano in gran parte sulla promozione di progetti militari, come quelli per la “difesa comune europea”, o tutt’al più su considerazioni di ordine pratico riguardo i rapporti con la Russia. Su queste basi, è evidente che, dal punto di vista francese, un eventuale confronto con Mosca non sia da escludere in futuro, anche se oggi viene giudicato controproducente.

Quel che è certo è che gli eventi di queste settimane appaiono a molti come decisivi per la ridefinizione degli equilibri strategici globali. In gioco non sembra esserci soltanto il primato degli Stati Uniti davanti all’ascesa di potenze “revisioniste” come Russia e Cina, ma anche il futuro di un’Europa in bilico tra le ambizioni da grande potenza e l’asservimento perpetuo agli interessi americani.