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Categoria: Esteri
di Maurizio Musolino

Marwan Barghouti Chissà, quando mercoledì prossimo apriranno ufficialmente i seggi elettorali nei territori palestinesi occupati da Israele per il rinnovo dell'assemblea nazionale (il Parlamento), cosa farà nella sua cella Marwan Barghouti. Come attenderà i risultati il leader di Fatah, nelle carceri israeliane da quasi quattro anni per scontare cinque ergastoli, lo sanno in pochi; di sicuro molti di più sanno cosa ha pensato in queste ultime settimane. Marwan (sottolineamo ancora una volta il nome per evitare confusione con un altro Barghouti, Mustapha, anche lui candidato alle prossime elezioni a capo di una formazione laica e progressista) anche dalle mura del carcere è riuscito a condizionare le elezioni confermandosi una figura di riferimento per una parte importante della società civile palestinese. Su di lui sono stati puntati gli occhi di molti commentatori e di tanti protagonisti dell'area. Innanzitutto gli occhi di quanti all'interno di Fatah vedevano nella sua figura l'unico modo per arginare l'aumento di popolarità della formazione religiosa Hamas. La sua candidatura doveva servire inoltre a tenere unito un partito che, dopo la morte di Yasser Arafat, rischia la frantumazione. E lui, come aveva fatto anche un anno fa per le elezioni presidenziali, non si è fatto pregare ed è sceso nella competizione politica con tutto il peso della sua figura. A dimostrazione che le mura di un carcere possono poco nei confronti di chi rappresenta non solo un partito od una organizzazione, ma l'aspirazione di un intero popolo.

Sin dall'inizio Marwan Barghouti ha dato la sua disponibilità a guidare le liste di Fatah, salvo poi ritirarla una volta saputo che dietro il suo nome ci sarebbe stata tutta la vecchia guardia dell'Anp. E' bene ricordare come proprio Barghouti aveva denunciato, molto prima delle strumentali campagne messe in atto da alcuni paesi occidentali, degenerazioni all'interno dell'Anp ad opera principalmente dei cosiddetti "tunisini", ovvero la vecchia guardia che aveva operato nell'esilio, prima in Libano e poi in Tunisia. Nei giorni della rottura Marwan aveva minacciato la formazione di una nuova aggregazione che avrebbe preso le origini proprio da Fatah. Questa lista doveva chiamarsi "Futuro" e avrebbe visto, secondo indiscrezioni, la partecipazione di nomi importanti della nomenclatura palestinese. Fra questi, due hanno particolarmente colpito, essenzialmente perché da tutti ritenuti molto distanti dal leader di Fatah: Dahlan e Rajiub, rispettivamente uomo forte di Fatah a Gaza ed ex capo dei servizi di sicurezza della Cisgiordania. Proprio sul perché della presenza di questi due nomi a fianco di quello di Barghouti sta una delle principali ragioni di interesse della competizione elettorale.

Esiste da tempo una vera e propria lotta per il rinnovamento che porti alla ribalta le generazioni protagoniste della prima e, soprattutto, della seconda Intifada. Questa lotta è trasversale a tutte le formazioni e attraversa Fatah verticalmente. E proprio in nome di questa esigenza in molti si sono dichiarati disponibili a superare antiche divergenze o attuali motivi di divisioni. Da una parte e dall'altra. E così, se in "Futura" c'era Barghouti con Dahalan e Rajiub, in queste settimane si è registrato anche uno storico riavvicinamento fra il Presidente Abu Mazen e Faruk Kaddumi, quest'ultimo fra i fondatori dell'Olp da sempre contrario ad un rientro in Cisgiordania per non riconoscere gli accordi di Oslo. Comunque sia alla fine di un braccio di ferro durato diverse settimane si è arrivati alla ricomposizione all'interno di Fatah attraverso una mediazione che vede Marwan Barghouti capolista e qualche testa illustre (fra queste spicca quella dell'attuale presidente del parlamento Abu Ala, fuori dalla competizione). Resta però da vedere cosa diranno le urne e chi sarà premiato, o bocciato, dal popolo palestinese. Ma con lo sguardo volto a Marwan non è solo Fatah. Anche Hamas riconosce Barghouti come un interlocutore privilegiato, memore di antichi rapporti che hanno portato allo scoppio della seconda Intifada. Il laico Barghouti non ha mai criminalizzato la formazione islamica e con essa, negli anni passati, ha condotto una campagna di moralizzazione in Palestina. Ma soprattutto Hamas sa bene che Marwan gode di un ampio sostegno in Cisgiordania, ma ha bisogno di sostegni a Gaza. Un uomo forte, quindi, ma condizionabile. Anche da questo punto di vista si può leggere "l'incontro" con Dahalan.

E poi c'è Israele. Anche il governo di Tel Aviv, seppur non ancora uscito dal trauma causato dalla malattia di Sharon, guarda verso la cella del prigioniero politico Marwan Barghouti. Non è stato un caso che Israele ha autorizzato per la prima volta il rilascio di una sua intervista. Domenica mattina, infatti, il ministero della Difesa, per bocca di un portavoce dei servizi peniteniari israeliani, ha annunciato di aver "concesso in via eccezionale l'autorizzazione affinchè Marwan Barghouti dia un'intervista alle emittenti al-Jazira e al-Arabiya". In questa occasione Marwan Barghouti ha esortato i palestinesi a partecipare in massa alle elezioni generali, che ha definito "essenziali" per la loro libertà. Ha inoltre espresso l'auspicio che i risultati porteranno a un governo di coalizione dalle ampie basi di consenso, in grado di realizzare le indispensabili riforme. "Dalla mia cella mi appello al grande popolo palestinese, ai giovani e agli anziani, affinché prendano parte alle imminenti elezioni, che debbono essere considerate lo strumento essenziale per conseguire la libertà, il ritorno dei profughi e l'indipendenza". Ma il passaggio per certi versi più importante di questa intervista riguarda l'omaggio alle figure di Yasser Arafat e Ahmed Yassin (leader spirituale di Hamas ucciso da Israele) "martiri della resistenza". Un messaggio di unità ad Hamas, ma anche un invito a collaborare in un futuro governo. Proprio su una ipotesi di collaborazione scommette infatti Barghouti, che si proporrà dopo le elezioni come unico uomo in grado di garantire sia i partiti laici che le formazioni religiose. A questo punto il cerino tornerà ad Israele che, contro le leggi internazionali, continua a tenere Marwan in carcere e che sarà chiamata a dire con fatti concreti se vuole davvero intraprendere la strada del dialogo.