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Categoria: Esteri
di Liliana Adamo

"Caro direttore, ci aiuti a liberare i nostri amici nello Yemen; non sono spie, né funzionari del governo. Sono persone come tante. Hanno un profondo rispetto per la fede islamica e per tutte le religioni. Avevano espresso il desiderio di visitare il vostro meraviglioso paese per approfondire un differente rapporto tra le culture e la fede, per scoprire il vostro patrimonio di conoscenze e tradizioni. Sono venuti in pace. Sono contro ogni genere di violenza e lavorano per l'istruzione e la medicina. Vi preghiamo, liberate i nostri amici!" Nel momento in cui perveniva l'appello disperato (e pieno di speranza), firmato da colleghi e amici dei cinque turisti italiani tenuti in ostaggio, al direttore del quotidiano Yemen Observer, è giunta un'altra lettera, firmata da un suo connazionale, Yacob Mohamed Alkaff: "Signore, lei avrà notato che tutti i rapimenti avvenuti negli ultimi dieci anni sono stati compiuti in una determinata provincia della zona orientale dello Yemen. Uno dei tanti fattori potrebbe indicare che gli abitanti di quella zona, purtroppo, non hanno, mai avvertito i benefici apportati dal turismo. Ovviamente questa gente sa che il reddito derivato dal turismo va al governo e in altre zone dello Yemen. Conseguentemente usano "la materia" come "strumento" per forzare l'azione governativa e sottostare alle loro richieste illegali per liberare quelle vittime Che il governo usi azioni di forza per liberarsi dai sequestri è logicamente un comportamento aggressivo e al contempo inutile. L'avviso di un inasprimento delle pene non ha fatto altro che aggravare ulteriormente la situazione. Tutto questo non basterà, senza apportare direttamente i benefici del turismo anche in quelle zone depresse. In queste circostanze, sarebbe saggio allargare il cerchio di coloro che si avvantaggiano in breve o in lunga durata, del turismo…".

Le indicazioni fornite dalla Farnesina, la successione dei rapimenti con l'epilogo della liberazione per i cinque italiani, avvenuto venerdì scorso, rafforzano l'esito di uno Yemen che rientra in quelle zone cosiddette "a rischio", dove, per svariati motivi, è opportuno non recarsi come turisti. Gianfranco Fini, nel messaggio di gratitudine rivolto al ministro degli esteri Abubakar Al Quirbi e al ministro degli interni Rashed Al Alimi, rileva l'esigenza del continuo impegno da parte del governo yemenita per contrastare la piaga dei sequestri. E fin qui è un fatto.

Il richiamo di Saba

I cinque turisti sono stati "prelevati" nei pressi di Sirwa, a circa 170 chilometri da Sana'a, mentre probabilmente, si recavano a visitare i resti della leggendaria diga di Maryb; in ogni caso non oltre Barrakesh, dove non è permesso proseguire e la strada finisce nel deserto. In questo luogo sussistono tribù di vari gruppi etnici e come previsto, i sequestratori hanno chiesto la liberazione d'otto persone della loro etnia, detenuti da un anno nella capitale per omicidio.

L'antica Saba, all'estremo sud della penisola arabica, rappresenta uno degli ultimi baluardi per il turismo occidentale. Può succedere che gli stessi alberghi sono posti di fortuna. Può succedere che si dorme su un'amaca o su un letto di sartie attorcigliate. Il Mar Rosso e la striscia sabbiosa del Thiama (che, inaspettatamente rivela montagne parallele al mare, alte più di tremila metri), l'Oceano Indiano e i suoi inviolati reef, racchiudono una parte e l'altra del territorio yemenita, mentre i suk coloratissimi, le vetuste costruzioni a torre, i minareti, le voci dei muezzin suscitano al visitatore un senso di trance. Per certi versi, tutto questo fa di un paese distante, geograficamente isolato dal resto dell'Occidente, una destinazione fuori delle rotte consuete, ancora avvolta nel mistero.

C'è lo Yemen dei "grattacieli di fango" a Shibam, o delle moschee bianche a Tarim (una per ogni giorno dell'anno islamico); ma è la capitale, Sana'a, che appaga lo sguardo degli occidentali, una metropoli mediorientale dal volto fiabesco, inerpicata verso il cielo attraverso un intrico di guglie color ocra, costruite per millenni con sabbia e fango. Lo Yemen è anche la via dell'incenso, il rito secolare dei masticatori del qat e a Sana'a s'incontrano intellettuali venuti da ogni parte del mondo, mischiati tra mendicanti e bottegai… Nondimeno, a dispetto di tanta amenità, negli ultimi due mesi sono state rapite ben quattordici persone, tutti turisti stranieri, compresi i cinque italiani. Il restante era formato da due turisti svizzeri, due austriaci e un'intera famiglia tedesca; caso ha voluto si trattasse di un'ex sottosegretario agli esteri, con moglie e tre figli.

Il primo rapimento è avvenuto il 21 novembre scorso a Maryb, ad est di Sana'a (presumibilmente il luogo dove sono stati rapiti gli italiani), il 21 dicembre, il secondo, nella regione di Balquis, a nord-est e dieci chilometri circa da Maryb, mentre, il 28 dicembre, è durato pochi giorni il sequestro del sottosegretario tedesco e della sua famiglia, risoltosi poco prima che gli italiani fossero presi in ostaggio. Dal 1991 al 2001 duecento occidentali sono stati assediati e rapiti dai briganti nel deserto yemenita. Nel 1997, nel mese d'agosto, furono portati via contemporaneamente ma in due differenti sequestri, ben dieci turisti italiani.

Resta ferma l'ipotesi che gran parte di un vasto territorio nella zona orientale dello Yemen, sia interamente nelle mani di queste tribù e di questi gruppi, che lo stesso governo yemenita non ha alcun controllo della regione e che può solo influirvi con sistemi repressivi.

La saggezza di fronte alla repressione

Yacob Mohamed Alkaff, il solerte lettore dell'Observer yemenita, pone l'interesse sull'azione politica piuttosto che anteporre soluzioni più facili, come l'inasprimento delle pene (in relazione anche al sequestro degli italiani). Egli indica l'elezione di consigli civili composti dai capofila tribali, per esempio, la creazione d'associazioni cooperative; piccole imprese collettive che potrebbero attingere risorse dai fondi monetari sociali, o da donatori esterni. Le cooperative sarebbero in grado di fornire automobili e piccoli pullman per il trasporto, rimediare guide locali e supporto ai turisti.

E' lo stesso governo, rileva Yacob, che "suggerisce" a banche e fondi monetari, quali sono gli investitori locali e le zone cui ripartire prestiti per progetti legati all'afflusso turistico. A Sana'a sono sorti hotel e piccoli imprenditori hanno potuto avviare attività commerciali, grazie ai contributi assegnati con il grado di prestiti rimborsabili secondo il reddito. Lo stesso governo yemenita si è preoccupato d'assegnare borse di studio all'estero per preparare il personale alberghiero e invece, agli inizi degli anni sessanta, molti imprenditori arabi volavano in Estremo Oriente per capire il potenziale turistico del proprio paese, a dispetto di un'avversione mostrata dagli stessi governi locali e dalle comunità islamiche. Insofferenza che si è poi tramutata in un grande affare!

Gli Emirati Arabi hanno sovvenzionato il progetto della nuova diga di Maryb e il porto di Aden è gestito direttamente da Dubai, ma, continua Yacob, è lo stesso governo yemenita che potrà compiere un passo avanti e molto dipenderà dalle scelte che si compieranno per sradicare la piaga dei sequestri, una problema che troverà la soluzione rimuovendo l'emarginazione di chi è costretto a vivere in tribù ai confini del deserto.

La lungimiranza del lettore è straordinaria se raffrontata ai provvedimenti enunciati: fonti ufficiali confermano la decisione, da parte del governo yemenita, d'emettere la sentenza capitale per chi subisce una condanna per sequestro di turisti stranieri. In altre parole, per i briganti del deserto sarà in vigore la pena di morte; meglio, il governo di Ali Abdullah Saleh, si "mobiliterà" affinché gli accertamenti connessi ai reati attribuiti, abbiano un rapido iter nei collegi giudicanti. Secondo fonti governative, il "pugno di ferro" servirà a garantire la reputazione dello Yemen, l'economia e i rapporti internazionali. Stessa sorte sarà riservata a tutti quelli che si renderanno complici o favoriranno tali crimini. Intanto la giustizia ha già fatto il suo corso. Il 3 gennaio scorso, è stato condannato alla pena capitale S.H.Faisel, reo d'aver sequestrato alcuni turisti nel 2001 e ucciso un cittadino yemenita. Tre giorni dopo la sentenza, i turisti italiani sono stati liberati da una potente task force formata da corpi speciali yemeniti addestrati dagli americani.

Prima della liberazione, avvenuta senza spargimento di sangue, l'identità dei sequestratori era già nelle mani della polizia: sono elementi della stessa famiglia e quasi certamente saranno tutti condannati a morte. Saranno più tranquilli i turisti?