Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Ravil Gajnutdin MOSCA. E' considerato una "mina vagante" nel complesso e variegato mondo dell'Islam della Russia. Battitore libero, autorevole e rispettato. Si caratterizza per uno stile severo. Asciutto e scevro da incursioni nel passato. Guarda al futuro e le sue prediche sono sempre in bilico tra la ricostruzione oggettiva dei fatti e l'analisi dei moventi più profondi dell'intera storia del Paese. Putin lo guarda con diffidenza, ma cerca di non contrastarlo. Anche quando le posizioni che esprime ad alta voce sono in netta opposizione alla gestione politico-diplomatica del Cremlino. E l'ultima e più eclatante manifestazione di totale indipendenza si è registrata alla vigilia dell'inizio della guerra americana contro l'Iraq. Allora, senza tanti giri di parole, fece appello alla "guerra santa" contro gli americani, mettendo in imbarazzo le autorità di Mosca che non avevano ancora dimenticato la santificazione religiosa del conflitto ceceno in chiave, ovviamente, anti-islamica. Il personaggio - che dovremo sempre più conoscere e tenere d'occhio nel quadro della nuova geopolitica russa - è il mufti di tutte le Russie. Si chiama Ravil Gajnutdin (classe 1959) ed è un ex giornalista della tv del Tatarstan con un passato di attore. E' stato il responsabile della Direzione dei musulmani della parte europea dell'Urss e nel 1991, in conseguenza del crollo dell'Unione, è stato eletto presidente del "Centro islamico di Mosca" e presidente dei mufti della Russia.

Autore di originali opere sull'Islam è oggi docente della scuola islamica dell'Eurasia e membro del Consiglio delle religioni presso la presidenza del Cremlino. E' sposato ed ha due figlie. Gira il paese, interviene, organizza. Ed ora comincia anche a rendere noto il suo programma d'azione con una decisa attività di relazioni personali. Sa di avere alle spalle una quota crescente di popolazione russa che - tra l'8 e il 14% - è musulmana. Cerca, quindi, di seguire il risveglio islamico tenendo conto che la maggior parte dei musulmani russi si concentra in nove aree: Adigezia, Baschiria (con 560 moschee), Daghestan (1500), Inguscezia, Cabardino-Balkaria, Karac?evo-Kerkesija, Ossezia del Nord, Cecenia (500) e, infine, il Tatarstan che è la sua repubblica di riferimento con oltre mille moschee. Ma Gajnutdin segue con attenzione anche le consistenti minoranze islamiche presenti a Mosca, a San Pietroburgo e in tutte le altre grandi città. E la sua "missione" si rivela sempre più strategica anche dal punto di vista istituzionale. Parla all'intera società russa e a quella dell'ex Unione Sovietica.
Eccolo quindi cogliere al volo l'occasione di una conferenza internazionale - che si svolge nella capitale della Kirghisia, Biskek - sul tema del dialogo ecumenico e della civiltà. Alla manifestazione sono presenti esponenti laici e religiosi della Russia, Kirghisia, Tagikistan, Georgia, Turchia e Azerbajdzan. Tutti riuniti per sviluppare un "dialogo eurasiatico" che si raccomanda per la serietà e il rigore dell'impianto teorico. Ed è a questa platea che il gran muftì si rivolge affrontando uno dei nodi più complessi del frastagliato mondo musulmano. E cioè: "Il rapporto tra le religioni e il radicalismo, tra la lotta per l'indipendenza e il terrorismo".

Lo scenario che esce dal suo denso e corposo discorso (espansione del wahhabismo, conflitto con i sufi, le conversioni degli slavi e l'influenza della questione musulmana sulla geopolitica di Putin) disegna una nuova dimensione politico-sociale. Perchè le cose che dice sono (almeno per le realtà delle aree dell'ex Unione Sovietica) tutte relative a questioni che vengono in larga parte sottaciute. Il muftì parla della pacifica coesistenza fra i popoli e le religioni e lo fa per denunciare i "fenomeni del radicalismo islamico" e gli "atti di terrorismo internazionale". Ma subito aggiunge che non si può mettere sullo stesso piano il terrorismo e la religione. Le colpe per le manifestazioni di radicalismo - dice - vanno esaminate anche in riferimento a quanto avvenuto in singoli paesi dove, nel corso degli ultimi secoli, si è registrata la politica di colonizzazione svolta dalle grandi potenze occidentali. Il terrorismo, quindi, "non è figlio delle religioni": è una conseguenza delle colpe della storia.

Ma l'analisi non guarda al passato. L'esponente dell'Islam della Russia sa che deve fare i conti anche con i musulmani di altri paesi. Deve quindi tener conto di diverse culture e caratteristiche ambientali, sociali e politiche. Lancia l'idea di un grande laboratorio comune. E indica anche alcune linee di intervento. Ad esempio sostiene che per il mondo islamico il modello ideale di stato è quello del califfato. Ma aggiunge che il sistema di gestione della società deve prevedere che la religione sia separata dallo stato. Che le ricchezze debbano essere divise e che si sviluppi una grande apertura nella gestione sociale.
E, comunque, nessuna paura di essere accusati di cedere alle pressioni dell'occidente. Proprio perchè le vere potenzialità dell'Islam sono quelle dell'eguaglianza e della tolleranza. Ed è l'occidente, in questo contesto, il vero colpevole di quanto accade. E' l'occidente - dice Gajnutdin - che minaccia la coesistenza pacifica tra i popoli e le religioni e che mostra un atteggiamento negativo verso il mondo islamico. Ne consegue - insiste - che il radicalismo della societa musulmana è il risultato dell'intervento aggressivo dell'ovest nei confronti dell'Islam. E questo avviene in tutti i campi. Proprio perchè è in atto una aggressione anche culturale. "Valgono - continua Gajnutdin - gli esempi delle caricature di Maometto e l'apparizione dell'opera di Salman Rushdie Versi satanici".
La via d'uscita - questa la sua conclusione - sta nello sviluppare un discorso ecumenico e, soprattutto, vedere quali siano le forze interessate al dialogo, sia nell'Islam che nel mondo occidentale. Ed è un discorso che sembra auspicare nuove aperture.

Intanto dalla Repubblica del Tatarstan (guidata dal presidente musulmano Mintimer Sajmiev, altro leader dell'Islam "politico") arriva questa notizia che si colloca sulla scia del discorso del muftì: nel villaggio di Staroe Arakcino, nei pressi della capitale Kasan, è in costruzione una chiesa dedicata a tutte le religioni. Sarà un simbolo per l'unità dei credenti. Con una torre che unirà cattolici e buddisti (una statua di Budda è già a Kasan, dono del presidente della Corea del sud). Ci sarà una cupola che ricorderà lo stile delle cattedrali degli ortodossi. E poi vari minareti e simboli delle sinagoghe. In totale saranno oltre venti le religioni rappresentate. E questo, oggi, vuol dire che il "laboratorio" del mufti russo si arricchisce di una nuova sede per sviluppare quello che in Russia viene definito il "dialogo eurasiatico".