La Conferenza di Roma non ha forse sortito i risultati sperati, ma ha comunque
rappresentato un concreto passo avanti nell'affrontare la crisi mediorientale.
I paesi arabi e la Francia si attendevano una dichiarazione solenne che chiedesse
il "cessate il fuoco" e non hanno nascosto la loro delusione per il
mancato obiettivo, ma lo stesso premier libanese ha definito sia la Conferenza
in sé, sia la sua Dichiarazione finale, "un passo avanti nella giusta
direzione".
Volendo prendere in esame gli aspetti politici interni, la Conferenza di Roma
sul Medio Oriente ha riconsegnato all'Italia un ruolo di protagonismo politico
nella scena internazionale. Dopo cinque anni nel cono d'ombra dell'obbedienza
dovuta e supina agli Stati Uniti, Roma ha ripreso a guardare verso il Mediterraneo.
Cinque anni di governo Berlusconi erano infatti stati spesi in chiave unilaterale:
vuoi per la vocazione di servitù politica delle destre nei confronti
della Casa Bianca, vuoi per l'urgenza di sdoganare definitivamente Fini ed An
di fronte ad Israele, la posizione italiana sul Mediterraneo si era esaurita
sostanzialmente nell'assenso incondizionato alle scelte, anche le peggiori,
di Tel Aviv. La discontinuità - termine in voga - della politica estera del Governo
Prodi è stata invece chiaramente evidenziata nella scelta di riprendere
un ruolo attivo nello scenario mediorientale. Intanto va detto che il successo
della politica italiana - e di Massimo D'Alema in particolare - lo si può
cogliere dalla capacità di farsi promotori di una iniziativa e realizzarla
entro pochissimi giorni, riuscendo a convocare a Roma la diplomazia internazionale
che conta.
Se la Siria ha bollato come "inutile" la riunione di Roma, definita
"un incontro tra alleati", l'Iran si è detto disponibile a
definire con l'Italia un nuovo terreno di confronto con l'Occidente e, a certificare
ulteriormente il nuovo ruolo della diplomazia italiana, Nabih Berri, Presidente
del parlamento libanese ed esponente di rilievo di Hezbollah, ha chiesto "la
mediazione italiana per la consegna dei prigionieri e per il cessate il fuoco".
"Se l'Italia è pronta in un giorno, noi saremo pronti in un giorno"
ha aggiunto Berri. Pronta la risposta di D'Alema: "L'Italia non può
cessare il fuoco perché non sta facendo fuoco su nessuno, ma si adopererà
per la cessazione dei bombardamenti e lo farà con la massima fermezza".
Ovviamente, sullo scenario immediato del conflitto le cose stanno in maniera
diversa: l'assenza di Israele e di Hezbollah, cioè i due attori principali
del conflitto, così come Siria e Iran, apparentemente lontani ma oggettivamente
coinvolti nello scacchiere, non ha potuto fornire tutti gli elementi necessari
all'unica scelta che avrebbe dovuto essere prioritaria: quella di un immediato
"cessate il fuoco" senza il quale, del resto, lo stesso "corridoio
umanitario" previsto dalla Dichiarazione finale, resta un auspicio difficile
da concretizzare.
Condoleeza Rice, reduce da un viaggio lampo a Gerusalemme immediatamente alla
vigilia della Conferenza di Roma, è riuscita ad evitare che nella Dichiarazione
finale la richiesta della cessazione delle ostilità venisse menzionata
quale passaggio immediato. La volontà americana di coprire Israele fino
alla fine dell'operazione militare di "ripulitura" delle basi degli
Hezbollah e l'assenza al vertice di due fondamentali attori del dramma libanese
- appunto Siria e l'Iran - ha impedito che questo risultato fondamentale potesse
essere raggiunto.
Nella Dichiarazione finale del vertice i 15 paesi e le tre organizzazioni internazionali
partecipanti si sono limitati a esprimere - e qui sta la sostanziale debolezza
politica della Conferenza - la loro "determinazione a lavorare immediatamente
per raggiungere con la massima urgenza un cessate il fuoco che metta fine alle
attuali violenze e ostilità", con l'obiettivo di un "cessate
il fuoco duraturo, permanente e sostenibile".
Non può bastare al martoriato Libano, che come ha sottolineato il suo primo ministro, Fouad Siniora, "si aspettava di più: un cessate il fuoco immediato". "Ma alcuni progressi sono stati fatti", ha precisato Siniora, nel cammino verso la fine delle ostilità tra Israele e i miliziani di Hezbollah anche se ora "il Libano è un paese in ginocchio" e per arrivare alla tregua "c'è ancora molto da fare". Per il primo ministro libanese la sicurezza nella regione potrà essere raggiunta solamente "quando Israele svilupperà buoni rapporti con i paesi vicini" e la strada è "il processo di pace". Siniora ha riconosciuto il diritto dello Stato ebraico all'autodifesa dopo il rapimento dei suoi due soldati, ma ha voluto sottolineare il fatto che esisteva "un piano ben preparato di reazioni e rappresaglie da parte di Israele, sproporzionato rispetto a quanto era successo".
Ma se il "cessate il fuoco" non è stato raggiunto - e non
poteva esserlo, sia per ragioni politiche che pratiche, vista l'assenza di chi
spara - quantomeno i 15 chiedono a Tel Aviv di esercitare la "massima moderazione"
e "accolgono con soddisfazione l'annuncio di Israele su un corridoio umanitario
in Libano".
Quindi l'impegno concreto della comunità internazionale per far fronte
alla crisi umanitaria della popolazione libanese ed un accordo per l'autorizzazione
"urgente" di una forza internazionale su mandato Onu, che si muova
nel quadro delle risoluzioni e degli accordi internazionali vigenti.
La Rice ha sottolineato che è in ogni caso necessario che Damasco "tenga
presente le Risoluzioni dell'Onu: non può fare ciò che vuole",
ma il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, ha detto che "è importante
lavorare con i paesi della regione per trovare una soluzione anche con la Siria
e l'Iran", insistendo sul fatto che "serve un quadro politico per
raggiungere le intese necessarie nel Consiglio di sicurezza". E poi una
battuta sull'Iran: "I paesi arabi moderati come l'Egitto, la Giordania
e l'Arabia Saudita devono avere un ruolo importante per moderare l'estremismo
iraniano".
Nella scelta di inviare un contingente Onu sta un elemento importante, un successo
significativo della Conferenza, giacché è noto come il governo
Olmert riteneva un contingente Nato il più compatibile con le esigenze
di Tel Aviv. Ma è chiaro che un comando Nato della forza d'interposizione
avrebbe avuto un ruolo politico e militare di aperto sostegno ad Israele e di
chiara sfida a Hezbollah, Siria ed Iran, nonché ad Hamas.
L'egida dell'Onu invece cambia di molto sia l'elenco dei paesi partecipanti,
sia gli obiettivi della missione e le conseguenti regole d'ingaggio. Pur essendo
necessaria la dislocazione del contingente Onu anche a Gaza e in Cisgiordania,
la presenza nel sud del Libano servirà comunque a impedire il tiro a
segno israeliano.
Altra cosa sarà "il problema" Hezbollah. Per i paesi partecipanti
al vertice di Roma la "condizione fondamentale per una sicurezza duratura
in Libano è la piena capacità del governo del paese di esercitare
la sua autorità su tutto il suo territorio", così come era
stato già affermato nelle dichiarazioni finali del G8 di San Pietroburgo.
Una dichiarazione importante perchè sottintende il pieno riconoscimento
della comunità internazionale degli attuali confini libanesi.
Ma anche riguardo le milizie di Nasrallah, il Premier Siniora ha esposto con
chiarezza la situazione: Hezbollah è un partito legittimamente presente
nel paese e nel governo. Il suo eventuale disarmo non può essere affidato
all'esercito libanese perché non ne sarebbe in grado e, soprattutto,
non sarebbe legittimo. Non ci si aspetti dunque una nuova guerra fratricida
nell'interesse israeliano. E a proposito di risoluzioni Onu, Siniora ha ricordato
come vadano rispettate anche quelle che ordinano l'uscita degli israeliani dai
territori del sud del paese ancora sotto occupazione militare di Tel Aviv.
E la Siria, che del mancato rispetto delle risoluzioni Onu ricorda soprattutto
quella relativa alle sue alture del Golan, dovrà in qualche modo trovare
un elemento d'interesse diretto per partecipare alla pacificazione regionale.
Sarà il caso che se ne tenga conto, se si vuole davvero che Damasco contribuisca,
per quanto può, alla soluzione del conflitto israelo-libanese.