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Categoria: Esteri
di Giovanni Gnazzi

Una volta di più è di scena l'orrore. Un kamikaze palestinese sedicenne si è fatto esplodere nel centro di Tel Aviv uccidendo 10 persone e ferendone quaranta, di cui sette in modo grave. E tra le vittime c'è anche l'attentatore, di cui è stata diffusa una videocassetta: si chiamava Sami Salim Hammed, aveva 16 anni e abitava ad Arqa, nell'area di Jenin in Cisgiordania. E' il più giovane attentatore suicida che si è fatto esplodere, in attacchi contro lo Stato ebraico. Poco dopo la strage, è arrivata una rivendicazione della Jihad islamica, che lo ha comunicato prima attraverso un messaggio telefonico all'agenzia di stampa France Presse, poi con un filmato trasmesso dalla tv Al Arabiya. Ma c'è anche un'altra rivendicazione: quella della Brigate dei martiri Al Aqsa (organizzazione ritenuta vicina a Fatah).
L'attentato è avvenuto in coincidenza con l'insediamento alla Knesset del nuovo governo israeliano guidato da Olmert, che con Kadima ha vinto le elezioni del Marzo scorso. E' così finita la tregua che Hamas ed i restanti gruppi della galassia terroristica palestinese avevano indetto già dalla vigilia delle elezioni palestinesi. Tregua alla quale Israele non aveva aderito, scegliendo invece, alla metà di Marzo, di sequestrare prigionieri palestinesi a Gerico, sotto lo sguardo ebete delle forze internazionali che anzi si dileguarono per lasciare entrare i sequestratori israeliani. Ed è di ieri la morte di un giovanissimo palestinese ucciso da un colpo di cannone israeliano a Bet Lahiya, nel nord della striscia di Gaza; insieme a lui sono state gravemente ferite due bambine, anche se è certo che la notizia non "farà notizia".
Non tarderà ad arrivare la risposta d'Israele; non è mai successo che Tel Aviv abbia subito un attentato senza che a questo si sia aggiunta la rapida rappresaglia dell'esercito israeliano. Del resto, lo stesso Olmert ha già annunciato la risposta di Tel Aviv: "Questa Autorità palestinese, che chiaramente si presenta come un'entità terroristica, ha cercato di istigare il sostegno al terrorismo più di quella precedente - ha denunciato Raanan Gissin, portavoce del premier israeliano ad interim- e noi agiremo di conseguenza". L'incertezza è solo sul dove e come l'esercito israeliano colpirà, ma quel che è certo è che, come sempre, la reazione sarà durissima e niente affatto selezionata.

Poco importa che Abu Mazen abbia già duramente condannato l'attentato, definendolo "terroristico" e "contrario agli interessi del popolo palestinese". D'altro canto Hamas, nel timore forse di apparire nella nuova veste di Governo e con un occhio alla gestione politica della galassia degli estremisti palestinesi, si è subito precipitata a definire l'attentato come "legittima difesa contro l'occupazione israeliana". Con due sole parole Hamas allarga la schiera - già fin troppo nutrita - di coloro che hanno applaudito al blocco dei finanziamenti internazionali deciso da Stati Uniti ed Unione Europea al nuovo Governo palestinese e condanna dunque il suo governo ad una navigazione ancor più difficile. Parole in libertà che già si erano udite riguardo ai colloqui tra Parigi ed Hamas, quando il governo francese cercava un escamotage diplomatico alla chiusura europea.

L'inopportunità delle parole palestinesi costrinsero quindi Parigi ad una rapida marcia indietro e spianarono la strada al blocco dei finanziamenti. E se Iran e Qatar offrono elemosine travestite da aiuti, le cifre delle quali ha bisogno l'Autorità palestinese per la sua sopravvivenza sono ben altre, figuriamoci quelle per un possibile sviluppo. Le infelici parole di Hamas agevolano indirettamente proprio Israele, che ha ora buon giuoco a giustificare il suo mancato riconoscimento del Governo palestinese, legittimamente eletto alle elezioni del gennaio scorso e subito delegittimato in sede internazionale. Le responsabilità di Tel Aviv e della comunità internazionale sono grandi ed affondano nel rifiuto di riaprire il dialogo con le autorità palestinesi accettando il ritiro da tutti i territori occupati, come previsto dai diversi piani di pace e dalle risoluzioni dell'Onu.

Nel frattempo, il prezzo più duro continuano a pagarlo le persone inermi, i civili, quelli che non avrebbero altro da rivendicare se non il diritto di vivere in pace e liberi. Quelli che non sono previsti dai piani egemonici israeliani, dalle mire fondamentaliste di nuovi quanto interessati sostenitori del popolo palestinese e dall'indifferenza dell'Unione Europea che, una volta di più, si accoda a Washington e Tel Aviv, scegliendo di caratterizzarsi come al solito sotto traccia, buona solo per i mercati ed inutile per chi pensa all'Europa come un possibile progetto politico autonomo e capace di proporre, almeno una volta, un'altra politica per il terzo millennio.