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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Il Cardinale Theodore Edgar McCarrick Si muove l'altra America, ma la grande stampa mondiale mette il silenziatore. Perché la notizia delle manifestazioni degli immigrati "irregolari" - che sconvolgono le principali città statunitensi chiedendo cambiamenti sociali improntati ad uno spirito umanitario - viene trascurata, sottovalutata. Forse anche per il fatto che a guidare le proteste è un cardinale: Theodore Edgar McCarrick, Arcivescovo di Washington noto non tanto per la campagna contro i sacerdoti pedofili (che agitò gli Usa nel 2002) quanto per i suoi interventi in Vaticano, nel 2004, quando la Chiesa si interrogò sul rapporto tra povertà e globalizzazione. In quella occasione fu proprio lui a far sentire forte la sua voce in favore di una politica di vero appoggio ed aiuto ai poveri. Coerentemente, oggi il cardinale scende in piazza per unirsi a centinaia di migliaia di dimostranti che si muovono in varie regioni degli Usa. Rappresentano una forza lavoro dalle misure imponenti ed un decisivo bacino elettorale che può determinare vittoria o sconfitta di un candidato in diversi stati. Si tratta di immigrati definiti dal potere centrale come "irregolari" e, per questo, criminalizzati. Il movimento si organizza e prende forma, anche con l'appoggio di vasti settori del mondo culturale locale. Ed ecco che dai quartieri ispanici di Washington si riversano nel centro della città gli immigrati che vanno a radunarsi davanti alla Casa Bianca. Portano bandiere a stelle e strisce ma anche grandi cartelli con su scritto "Questa è una nazionale di emigranti".

Ricordano a tutti il melting pot nazionale (quella mescolanza di vari gruppi etnici che caratterizza, appunto, gli Usa) trovando l'appoggio di McCarrick che interviene con un ampio discorso pronunciato in spagnolo. Dice che "dobbiamo ancora combattere contro la discriminazione razziale in questo nostro paese". E al raduno di Washington fanno eco quelli di New York, dello Stato del New Jersey, di San Diego in California, di Atlanta in Georgia, di Houston in Texas. E ancora: in Oregon, nell'Utah, in Alabama, nel Minnesota e nel Michigan. A Chinatown, il rione cinese di New York, i manifestanti trovano l'appoggio di tutte le comunità presenti, mentre dall'altra parte della baia si celebra la manifestazione più significativa. Si ricorda a tutti che proprio qui, nel cuore della Grande Mela - l'isolotto di Ellis Island - gli oltre quindici milioni di immigrati, che partivano dalle loro terre di origine sperando di stabilirsi negli Stati Uniti, trovarono il primo punto d'appoggio per la loro pacifica "invasione" sul cammino della speranza.

Era qui - a partire dal 1894 - che fu organizzata dagli Usa una "casa di prima accoglienza-prigione" che rimase attiva fino al 1954, quando venne chiusa. Oggi è trasformata in Museo dell'Immigrazione. Ma il problema resta e si aggrava. Lo gridano gli immigrati che alzano cartelli con su scritto: "Noi siamo l'America", "Legalizzare non criminalizzare" ponendo, con questo, l'accento sulla negatività di una bozza di legge approvata dalla Camera dei Rappresentanti che configura come criminali quanti lavorano negli Usa senza la cosiddetta "green card", il permesso di lavoro. Ora la protesta si estende, si organizza. Prende forma grazie all'impegno di forze democratiche ed antirazziste che vanno sempre più caratterizzando la realtà americana. E così sul bilancio negativo dell'amministrazione di Bush c'è da mettere anche questa nuova ed ampia rivoluzione interna. A rimarcarlo, in prima fila, il Cardinal McCarrick.