Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Alessandro Iacuelli

Si sta profilando una vittoria storica per la coalizione di centro sinistra alle elezioni in Ungheria: per la prima volta nella storia della giovane democrazia del Paese, un governo sta per essere riconfermato dal popolo alle urne. La certezza definitiva si avrà al secondo turno del 23 aprile. Finora, negli ultimi 17 anni, ad ogni elezione, i governi erano stati ogni quattro anni tutti rimandati a casa.
Elezioni importanti per l'Ungheria, le quinte dopo la caduta del Patto di Varsavia nel 1989 e le prime dopo l'adesione all'Unione europea nel 2004. Il governo che sarà eletto in questa tornata elettorale sarà quello che avrà il difficile compito di traghettare il Paese verso l'adozione dell'Euro come moneta corrente.
Stando ai risultati del primo turno elettorale, il Partito Socialista Mszp guidato dall'attuale capo del governo Ferenc Gyurcsany, si conferma il primo partito del Paese; sommando i suoi voti all'alleato "storico", il Szdsz (Partito liberale), potrà probabilmente confermarsi al governo.
Il principale partito di opposizione, il Fidesz (Alleanza dei Giovani democratici) guidato dal leader conservatore Viktor Orban, che é stato Premier dal 1998 al 2002, ha pochi voti in meno del Mszp: da solo non ha i numeri per governare, né ha alleati per dare vita a una sua coalizione. Lo scenario politico ungherese è profondamente diverso da quello al quale siamo abituati per motivi culturali a pensare, a cominciare dalle età dei leader di partito, (tutti quarantenni) e dei candidati (non ve n'è nessuno con più di sessanta anni), fino al tipo di schieramenti presenti, dove la situazione si presenta capovolta rispetto all'Italia.
Il primo ministro Ferenc Gyurcsany, 42 anni, candidato di punta della coalizione di centrosinistra, è l'uomo più ricco d'Ungheria. Non è di sicuro un Berlusconi in formato danubiano, ma ha già ampiamente dimostrato negli scorsi anni di essere un progressista.
Definito "Il milionario rosso" dagli avversari, con legami familiari col passato regime comunista, ha presentato agli elettori un programma che è il proseguimento del lavoro già fatto durante il primo mandato. Ha già ottenuto in passato fondi da Bruxelles per le industrie e l'agricoltura, ha realizzato, e sta realizzando infrastrutture e autostrade moderne e promette anche lui, tanto per cambiare, una riduzione delle tasse.
Gyurcsany questo inverno ha fatto la voce grossa in Commissione Europea, riuscendo ad ottenere anche fondi straordinari per superare la crisi del gas; si deve ricordare infatti che l'Ungheria è direttamente confinante con l'Ucraina e riceve gas dalla Russia attraverso Kiev. A differenza della maggior parte dei Paesi occidentali, il governo di Budapest è riuscito a superare la crisi senza nessun aumento in bolletta per i cittadini e, per giunta, con un uso del riscaldamento domestico - per motivi climatici - nettamente più alto del nostro.
Di contro, la gestione della finanza pubblica non è andata proprio bene al governo uscente: il deficit di bilancio supera di poco il 10% per cento del prodotto interno lordo e secondo l'Economist si tratta del risultato "peggiore di tutta l'Europa postcomunista".

Alla guida della coalizione di centrodestra c'è un altro "quarantenne rampante", il conservatore Viktor Orban, ribattezzato "il nazionalpopulista" dai suoi detrattori, in un Paese dove la tradizione di un populismo colto e letterario ha radici profonde.
Orban non usa mezzi termini nel definire Silvio Berlusconi il suo "modello ispiratore", soprattutto in politica estera. Ricordiamo infatti che al suo esordio alla guida del governo l'Ungheria è entrata nella Nato accelerando i tempi rispetto a quelli programmati.
La caratteristica che però contraddistingue il centrodestra ungherese è il modo di impostare le relazioni con i vicini Paesi slavi dell'Est, improntate alla xenofobia, alla slavofobia e al revanscismo ungherese nei confronti della Slovacchia e della Romania.
Orban, visto con preoccupazione in Unione Europea a causa del suo nazionalismo e del suo euro-scetticismo, promette di tutto agli elettori: contributi per la prima casa, quattordicesima mensilità ai pensionati, interventi statali nell'economia. Nei comizi ha continuato a ripetere: "Diamoci un governo che veda il mondo con occhi ungheresi, che pensi con mente ungherese e dia al proprio cuore un battito ungherese".
Al primo turno, gli elettori gli hanno però dimostrato di non essere cascati nella trappola del nazionalpopulismo.

Solo il 23 aprile si avrà il responso, poiché il sistema elettorale ungherese e complicatissimo e si basa su due tornate elettorali.
Il Parlamento di Budapest è monocamerale, 386 seggi sono assegnati con sistema proporzionale, di cui 214 al primo turno ed i rimanenti due settimane dopo; gli altri 176 seggi sono assegnati con sistema uninominale. Al primo turno vengono assegnati i seggi dei collegi ove un candidato raggiunge la maggioranza assoluta dei voti, i rimanenti vengono assegnati due settimane dopo mediante ballottaggi tra i due candidati per ogni collegio che hanno ottenuto più voti al primo turno.

Domenica scorsa, i socialisti, stando ai dati ufficiali resi noti dall'ufficio elettorale nazionale, hanno ottenuto 110 seggi, risultando quindi il primo partito. I liberali, alleati finora dei socialisti al governo, hanno ottenuto 4 seggi. Il Fidesz di Orban ne ha conquistati 98 e il Foro democratico, pure all'opposizione, ne ha ottenuti due con certezza.
Dei 176 seggi uninominali, al primo turno ne sono stati aggiudicati solo 68: 39 sono andati ai socialisti e 29 al Fidesz.
Dunque, al secondo turno saranno in lizza 108 seggi uninominali e 64 per le liste proporzionali.
In tutti i seggi uninominali da assegnare il 23 aprile, il candidato socialista è in testa dopo il primo turno; questo dato fornisce a Gyurcsany ottime probabilità di essere confermato alla guida del Paese e dimostra come, con candidati giovani e idee che scendono in campo, nella non lontana pianura del Danubio una colazione di centrosinistra dinamica può governare bene, fino al punto di guadagnare la fiducia degli elettori e non essere mandata a casa alle elezioni successive.