Dopo un processo segnato da delusioni ed insoddisfazioni, minacce pubbliche
del Governo degli Stati Uniti e compromessi con gli alleati, l'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione che instaura il nuovo Consiglio
dei Diritti Umani. Il Consiglio sostituirà la Commissione, incaricata
da sessant'anni della materia. Così come aveva annunciato, Washington
ha votato contro il testo e, come era d'aspettarsi, lo ha fatto in compagnia
di Israele, Isole Marshall e Palau.
Non ha causato sorpresa che l'Unione Europea abbia votato a favore del documento,
era stato annunciato: ma ancor meno sorpresa ha destato che Bruxelles definisse
la sua posizione in linea con quella statunitense, nonostante la differenziazione
sul voto.
Sembrerebbe contraddittorio che possano esserci posizioni comuni e voti diversi
sullo stesso documento, se non fosse che entrambi appartengono al blocco delle
grandi potenze, che hanno in comune la stessa ideologia e che si differenziano
tra loro solo per l'uso di tattiche diverse per raggiungere gli stessi obiettivi. Si sapeva che gli Stati Uniti, sebbene non soddisfatti dalla proposta dell'Assemblea
Generale, per tentare di ricondurre il nuovo organismo ai loro interessi, avrebbe
trovato l'appoggio dei suoi alleati occidentali.
Non è difficile prevedere, infatti, che molti dei paesi che pure nel
voto hanno manifestato una posizione opposta a quella espressa dagli Usa, non
faranno mancare il loro appoggio incondizionato quando Washington deciderà
che questo si renda necessario.
Eppure sono proprio le pratiche politiche di questa natura che contribuirono
al discredito ed all'inefficacia della Commissione per i Diritti Umani ora sostituita
dal Consiglio. L'ipocrisia e il doppio standard che gli Stati Uniti e i suoi
alleati occidentali imposero ai lavori del foro di Ginevra ne determinarono,
infine, la sua sostituzione. Non si può non domandarsi se il nuovo, fiammante
Consiglio, sarà l'organo adeguato: se, in coerenza con le sue caratteristiche,
potrà effettivamente lavorare per proteggere e promuovere tutti i diritti
di tutti gli esseri umani; o se soccomberà, come la Commissione che lo
precedette, sotto le pressioni e le manipolazioni politiche dei paesi più
potenti.
Purtroppo, questo nuovo Consiglio non pare garantire le aspettative dei popoli
dimenticati, di coloro i quali fino ad ora sono stati gli unici soggetti criticati
e sanzionati; ma, ciò che è peggio, questo nuovo organismo e le
ipoteche politiche cui è sottoposto, non li pone certo a riparo dalle
pretese imperiali di convertirli in uno scenario per i suoi piani di dominio
egemonico.
Washington ha comunque dichiarati che, nonostante il suo voto contrario, collaborerà
con il nuovo Consiglio. Lo farà certamente, visto che già da ora
è impegnato a lavorare per impedire che paesi come Cuba, Venezuela, Zimbawe
ed altri che non si sono piegati ai dettami imperiali siano comunque parte dei
47 paesi membri del nuovo Consiglio; gli Usa del resto sanno che possono contare
con l'appoggio dei loro alleati, appoggio tra l'altro espresso pubblicamente.
Sarà come sempre una battaglia diseguale, alla quale, è certo,
Cuba arriva con la forza che le conferisce la colossale opera sociale che, quotidianamente,
realizza in beneficio del suo popolo e di altri popoli del mondo, a testimoniare
cosa significhi occuparsi davvero dei diritti umani.
Gli Stati Uniti dispiegheranno tutto il loro potere, ma non riusciranno ad evitare
di essere denunciati come il massimo violatore dei diritti umani nel mondo.
Le fotografie di Abu Grahib, le testimonianze dei prigionieri della base navale
(illegale) di Guantanamo, le rivelazioni sull'esistenza delle carceri clandestine
e sui voli segreti per il trasporto dei sospetti, sono evidenze che non ammettono
repliche.
*Radio Havana, Cuba