Sul Montenegro - che il 21 maggio va alle urne per il referendum sull'indipendenza
- l'ombra di Milosevic pesa già come un macigno. Perché il Paese,
che con la Serbia forma attualmente la Repubblica Federale di Jugoslavia, è
chiamato, ancora una volta, a decidere sul suo futuro: sulla totale e irrevocabile
sovranità di Podgorica o sulla tradizionale appartenenza al centro belgradese.
E così se i "Sì" prevarranno con almeno il 55 per cento
e la partecipazione al voto sarà di oltre il 50% vorrà dire che
il Montenegro divorzierà dalla Serbia. Pertanto la dissoluzione di quella
che era un tempo la Jugoslavia unitaria di Tito (e, successivamente, di Milosevic)
avrà raggiunto un altro gradino. E risulteranno più che mai profetiche
quelle parole di Danilo Kis - lo scrittore di Subotica - "vengo da un mondo
scomparso".
A vincere il braccio di forza con Belgrado potrebbero essere, infatti, i due
massimi esponenti dell'attuale regime: il presidente Filip Vujanovic e il premier
Milo Djukanovic. Si gioca quindi in questi giorni il futuro di una regione-chiave
dell'intera area balcanica la quale, dopo essere stata divisa nel 1941 dall'Italia
fascista - con l'annessione di una parte all'Albania - entrò nella federazione
jugoslava nel 1946 come una delle sue sei repubbliche. Ma quando la federazione
si dissolse, costituì nel 1992 - insieme con la Serbia - la nuova Federazione.
Poi, nel corso della gravissima crisi segnata dalla guerra civile in Bosnia-Erzegovina
(tra il 1992 e il 1995) e dall'intervento militare della Nato (1999), il Montenegro
manifestò aperti segni d'insofferenza verso la politica della Serbia
e del suo leader Milosevic. Ed ora, rileggendo il passato recente, troviamo che l'alfiere delle battaglie
contro Belgrado è stato un personaggio come Milo Djukanovic, ampiamente
sponsorizzato dagli americani, dai tedeschi e dalla diplomazia vaticana, tutti
interessati alla disgregazione jugoslava.
Djukanovic ha sempre contestato - basandosi su motivi economici e geopolitici
- la permanenza di Podgorica nella Federazione jugoslava. Ha fomentato l'indipendentismo
trovando consensi e grandi appoggi finanziari negli ambienti della Casa Bianca.
E' avvenuto così che questo giovane e rampante leader montenegrino -
un tempo pupillo di Milosevic - è divenuto la spina nel fianco di Belgrado,
tanto da dichiarare apertamente d'essere pronto a giocare a tutti i costi la
carta dell'indipendenza.
Si sa ora che è lui che sfrutta la particolare e difficile situazione
locale: e cioè un'area che, come Stato e soggetto di geopolitica, sembra
quasi cancellata nell'arena europea. Il leader anti-Belgrado sa che le quotazioni
di Podgorica sono basse e che all'estero si tende ad assimilare il paese alla
Serbia, misconoscendo l'esclusiva esistenza della Federazione jugoslava, di
cui Serbia e Montenegro sono, appunto, le due componenti giuridicamente paritarie.
Ma nello stesso tempo è sempre Djukanovic che sviluppa la sua linea politica
che non è solo quella di un puro formalismo o di un escamotage legalistico.
Punta a pilotare la transizione ridisegnando lo scenario geopolitico balcanico
mantenendo, comunque, le strutture tipiche di una società pluralistica
e multietnica.
In questo momento sa di avere addosso gli occhi della comunità europea.
Tutti ricordano, infatti, che dopo il riconoscimento internazionale di Slovenia
e Croazia, il governo del Montenegro promosse un referendum con una precisa
domanda: "Volete che il Montenegro resti in Jugoslavia come una repubblica
sovrana, con pari dignità rispetto a tutte le altre repubbliche che vogliano
restarvi?". Per "altre", allora, non s'intendevano solo la Serbia,
ma anche la Macedonia e la Bosnia-Erzegovina. Fu quello un referendum in parte
contestato e ritenuto anche poco democratico, perché non concordato con
Belgrado. Comunque la maggioranza votò "sì". Il 95,96%
dei voti furono per rimanere nella federazione con la Serbia, sebbene il turnout
fosse al 66% a causa del boicottaggio dei musulmani e delle minoranze cattoliche
così come degli indipendentisti montenegrini. I fautori della richiesta
di indipendenza sostenevano, infatti, che la votazione era stata organizzata
in condizioni non democratiche, con la propaganda dei media controllati dallo
Stato in favore del voto pro-federazione.
E così Podgorica restò in Jugoslavia, anche se non in quella federazione
più ampia in cui speravano determinati ambienti moderati legati all'indipendentismo.
Si è poi giunti - nel 2002 - ad un nuovo accordo riguardante la continua
cooperazione con Belgrado. E infine la proposta di giungere ad un referendum
(quello prossimo) che dovrebbe essere definitivo e sancire, per i nazionalisti
del Montenegro, la nascita di un nuovo stato sull'Adriatico.
Da questa situazione scaturiscono però una serie di politiche anti-Belgrado
che potrebbero portare a nuovi sconvolgimenti geopolitici. Contestando, infatti,
il potere centrale si rileva in chiave positiva che, tutto sommato, l'Europa
incoraggia e premia sempre i secessionismi. E questo non va a favore dell'Unione
Europea. E crea problemi per la stessa Italia che, nonostante i recenti giochi
balcanici, ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti del Montenegro.
Evidenziando anche la pericolosità di una secessione dalla Serbia e la
separazione di quest'ultima dall'accesso all'Adriatico. Ma c'è anche
chi ritiene che l'apparizione sulla carta di un nuovo Montenegro autonomo contribuirebbe
ad evitare il progressivo assorbimento della Serbia nell'orbita di Mosca, facilitando
anche la soluzione del problema del Kosovo in chiave favorevole all'Albania.
In pratica c'è un'atmosfera che Podgorica alimenta per indebolire la
Serbia e indurla ad accettare per disperazione qualsiasi soluzione.
Ecco perché non vanno sottovalutate alcune delle preoccupazioni che emergono
negli ambienti più lungimiranti di Belgrado. Qui - a proposito del ruolo
e del rapporto con l'Italia - si rileva che Roma non dovrebbe fare scelte decisive
in favore di questa o quell'etnia, di questa o quella repubblica, in favore
dei serbi o dei musulmani. L'Italia dovrebbe tener conto della sua "geografia":
si allunga nel Mediterraneo tanto quanto l'area dell'ex Jugoslavia; esistono
un Nord, un Nord-Est, un Centro e un Sud; e ognuna delle regioni, in particolare
quelle costiere del Mare Adriatico, ha intessuto negli anni rapporti di familiarità
commerciale, economica, culturale e di relazioni sociali in tutti i Balcani.
L'opzione più reale è quella di favorire la coesione balcanica
e non le scissioni. Una Podgorica che scendesse allo scontro con Belgrado porterebbe
ad una destabilizzazione nella regione adriatica. E tutto questo tanto più
oggi che, con l'improvvisa e misteriosa scomparsa di Milosevic nel carcere del
Procuratore Carla Del Ponte, gli slavi riaprono pagine di un contenzioso tragico
ed estremamente pericoloso. Il nazionalismo - carico di bagliori sinistri -
soffia forte e i leader secessionisti di Podgorica rischiano di incendiare di
nuovo l'intera Federazione, che sembrava aver trovato un periodo di pace. Così,
se esplode la mina del Montenegro, c'è da aspettarsi che torni ad esplodere
di nuovo anche il Kosovo dell'Uck.
Tutto questo potrebbe significare che si riapre la pagina di quel tormentato
ginepraio balcanico. Perché non va dimenticato che in Kosovo agiscono
sempre i settori nazionalisti e oltranzisti dell'Uck che sono caratterizzati
da miliziani motivati ideologicamente. Carichi di oltranzismo etnico, religioso,
nazionalista. Ed è proprio da Podgorica - per uno di quei paradossi che
a volte segnano la storia - che si può innescare una spirale a catena
che potrebbe raggiungere la capitale kosovara.