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di mazzetta

Il confronto tra Iran e Usa continua ad impegnare inutilmente le pagine dei nostri giornali e i servizi televisivi. Inutilmente, perché è chiaro che le pressioni americane non riusciranno mai ad ottenere del Consiglio di Sicurezza dell'Onu una condanna per l'Iran, o un embargo, o l'autorizzazione ad un attacco. Soluzioni del genere non sono gradite alla stessa Onu, ad almeno due paesi con il diritto di veto (Russia e Cina), ai paesi non allineati (Nam) e nemmeno agli stessi alleati occidentali, preoccupati del prezzo del petrolio. Gli Stati Uniti non possono fare altro che insistere e replicare lo spettacolo messo in scena prima di attaccare l'Iraq. Il menù è lo stesso ed è fatto di una serie di affermazioni assolutamente inconsistenti che mirano a focalizzare l'attenzione sull'Iran per distrarre le opinioni pubbliche, in particolare quella interna, dal fallimento iracheno e dal disastro della situazione interna americana. La diplomazia americana continua quindi a ripetere, come una mosca che sbatte contro un vetro, un copione già visto, mentre probabilmente non ha alcuna reale opzione di intervento in Iran. Posto che un'invasione appare impraticabile, anche un bombardamento ai siti iraniani non avrebbe alcun effetto pratico, dato che i vantaggi di una tale operazione sarebbero enormi per la leadership iraniana, che ne uscirebbe enormemente rafforzata e potrebbe a quel punto denunciare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare ed invocare il diritto all'autodifesa.

Mentre Condoleeza Rice dichiara che l'Iran è il nemico numero uno degli Usa, pur non avendo mai attaccato nessuno, e pur in presenza di paesi molto più "canaglia" nel mondo, si assiste allo spettacolo del pentimento di parecchi neoconservatori, passati dall'accusare gli scettici di scarso patriottismo al ripetere le loro critiche con tre anni di ritardo. Critiche dure, anche sulle qualità personali di Bush, tipiche di chi non vuole affondare con i perdenti. Gli ultimi passi dell'Amministrazione sembrano riecheggiare quanto già conosciuto nella vicenda irachena; l'affermazione, subito ripresa dai media occidentali, sull'Iran che avrebbe a disposizione l'uranio per costruire dieci testate atomiche, una volta arricchito è almeno banale, visto che l'Iran ha miniere di uranio funzionanti e che quindi non si capisce come non potrebbe avere minerale da arricchire. Un'affermazione che mira solo a far salire il livello dello scontro quando viene raccolta e trasmessa acriticamente alle opinioni pubbliche occidentali da media o troppo ignoranti per non evidenziarne l'ovvietà, o se invece informati, troppo compiacenti, al limite della complicità.

La leadership iraniana resta ferma sulle sue posizioni, che al momento la conservano in una comoda situazione nella quale non ha nulla da perdere, al contrario dell'Occidente. Le recenti minacce di Cheney hanno ricevuto appena la replica di un politico di secondo piano.

L'altro attore di questa pantomima, l'AIEA, invita a ragionare a mente fredda e ad abbandonare la retorica, come ha detto il direttore della stessa AIEA, il premio Nobel per la pace el Baradei, che in questi giorni si ritrova a giocare un ruolo di contenimento degli Usa come già accadde con l'Iraq.

Anche in questo caso, come per l'Iraq, la cosa più impressionante è osservare il sistema dei media occidentali schierato quasi unanimemente a sostenere la falsa narrazione di Washington. Nessuna tra le grandi concentrazioni mediatiche occidentali riesce a notare l'ipocrisia statunitense e tutte si limitano a recapitare le versioni precotte di Washington al loro pubblico.

Non sarebbe difficile notare che la pressione americana sull'Iran non ha alcuna base legale, come non sarebbe difficile notare la presunzione statunitense nell'ergersi a giudice del comportamento di altri paesi quando in realtà dovrebbe rendere conto dei propri. I media come strumento del nuovo warfare occidentale? Parrebbe proprio di si, visto che anche le autorevoli testate dei paesi più "democratici" mancano di rilevare il doppio standard per il quale gli americani denunciano come criminali alcuni paesi ( i "paesi canaglia") per comportamenti assai meno gravi di quelli statunitensi e dei loro alleati. In questa visione gli Stati Uniti sono per definizione dalla parte del giusto, anche quando promuovono la proliferazione nucleare, come con il recente accordo con l'India; anche quando fanno finta di non vedere che è il Pakistan loro alleato a rifornire gli iraniani; anche quando reclamano il diritto di invadere un paese "preventivamente" a loro piacimento; anche quando non accettano di rinunciare alla dottrina del "primo colpo" nucleare, come richiesto da tutta la comunità internazionale; anche quando si pongono al di sopra della giurisdizione del Tribunale Penale Internazionale). Gli Stati Uniti possiedono ora 10.300 testate, equivalenti per potenza a circa 120.000 bombe come quella di Hiroshima. Dal 1940 al 1996, secondo uno studio ("Atomic Audit: The Costs and Consequences of U.S. Nuclear Weapons Since 1940" di Stephen I. Schwartz), gli Usa hanno costruito oltre 150.000 testate con una spesa di 5.500 miliardi di dollari (attualizzati al 1996), mentre il totale per la difesa convenzionale è stato di 13.200 miliardi di dollari.

La sola spesa per le armi nucleari (mai utilizzate se non sul Giappone) è stata superiore alla spesa complessiva per l'istruzione; superiore anche a quella per l'impiego, la formazione ed i servizi sociali; a quella per l'agricoltura, per la protezione dell'ambiente e delle risorse naturali; per la ricerca scientifica in generale, per quella spaziale e tecnologica; per lo sviluppo regionale e comunitario (compresa la protezione civile); per la sicurezza urbana e per la produzione di energia (compresa quella nucleare). Questa somma equivale a 1.40$ al giorno di spesa per ogni americano dal 1940 al 1996; mentre gran parte degli abitanti del pianeta vive con meno di 1$ al giorno. Ancora oggi gli Usa spendono più del totale del resto del mondo in armamenti e coprono il 33% dell'export bellico mondiale.

L'Amministrazione americana, per poter sostenere le accuse all'Iran, cerca ora di modificare anche il frame della Global War on Terror, che pure ha avuto molto successo. Posto che non riesce ad accusare l'Iran di attività terroristiche, i prolifici think tank neoconservatori hanno deciso il passaggio dalla GWoT alla GwoE, cioè alla Guerra Globale all'Estremismo.

Il presupposto è quello per il quale le Nazioni Unite (che per i neoconservatori devono essere guidate da una superpotenza) dovrebbero fare propria la lista di paesi buoni e paesi cattivi ("estremisti") decisa dal più democratico dei paesi ( che per i neoconservatori è per definizione un paese guidato da un uomo forte ispirato direttamente da Dio) e quindi agire contro i paesi cattivi secondo la volontà dell'auto nominato poliziotto mondiale, che ovviamente rimarrebbe al di sopra di ogni legge internazionale. Una concezione tipicamente medioevale, che pone la fonte del diritto nelle mani del più forte.

La domanda principale alla quale non riesce a rispondere il frame della GwoE è: "Come riuscire a far guerra agli estremismi nei paesi alleati?". La domanda, che chiama in causa Pakistan ed Arabia Saudita, non ha ancora ricevuto una risposta dagli astuti pensatoi repubblicani, mentre altre domande ancora più inquietanti sono state semplicemente ignorate. Quello che a tutto l'Occidente sembra sfuggire è che il concetto di "guerra preventiva" demolisce i presupposti del diritto internazionale e diventa esso stesso uno stimolo alla proliferazione nucleare. Per le leadership sotto il tiro di Washington l'armamento nucleare diventa un indispensabile requisito a tutela della loro sicurezza, proprio come deterrente alla minacciata "prevenzione" americana.

Nessun diritto può fondarsi sul doppio standard, pena la demolizione dello stesso diritto. Ne è una buona dimostrazione anche l'annuale Rapporto sui Diritti Umani che gli Stati Uniti pubblicano ogni anno. Un tempo la pubblicazione era considerata un termometro della situazione mondiale dei diritti umani, oggi è una barzelletta, un esercizio di bassa propaganda. Una buffonata con la quale gli Stati Uniti giudicano e redarguiscono i paesi "cattivi" e allo stesso tempo illustrano "progressi" dei diritti umani in Iraq e Afghanistan, anche se la situazione in questi paesi è nota a chiunque e racconta di torture diffuse e di squadroni della morte, detenzioni illegali, e molto altro.

Un rapporto ipocrita che non cita gli Stati Uniti, non cita Guantanamo e nemmeno le critiche ricevute da Amnesty International, ignora il Patriot Act, le pressioni sulla stampa Usa, la pratica della rendition e l'uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali. Tutti comportamenti degni del peggior "stato canaglia", ineguagliati oggi nel mondo. Nessuno riesce a far peggio degli Stati Uniti, tanto che la Cina ha avuto buon gioco a produrre un proprio "rapporto" nel quale mette alla berlina Washington per questi comportamenti e per la grande discriminazione razziale ancora esistente nei riguardi dei neri.

Non resta che sperare che la comunità internazionale, che deve essere obiettivamente intimorita dall'aggressività di un paese tanto armato e animato da un'evidente aggressività, riesca a imbrigliare in schermaglie procedurali il nervoso gigante a stelle e strisce. Il ventunesimo secolo si apre nel segno della follia bellicista di un gruppo di stranamore senza legge seduto sul più potente arsenale mondiale; non è un gran viatico, ma la contrario rappresenta una grave e attuale minaccia alla pace e agli equilibri mondiali, come alla civiltà per come fino all'avvento di Bush era intesa nello stesso Occidente democratico.