Negli Stati Uniti hanno pubblicato una raccolta completa dell'Osama-pensiero.
Un'antologia completa delle sue dichiarazioni e delle sue apparizioni, "Message
to the world", pubblicata da un editore "liberal", tradotta e commentata
da un islamista americano. Sarà che "liberal" non è garanzia
d'intelligenza, sarà che gli americani riusciranno sempre a stupire noi
poveri europei, la pubblicazione riporta una serie di commenti destinati a far
discutere.
L'opera in sé non apporta novità ed è ritenuta significativa
per capire il personaggio. Gli autori sono evidentemente rimasti affascinati dal
mito e, nell'introduzione di Bruce Lawrence, sono giunti a paragonare Osama a
figure quali quella di Nasser o di Che Guevara. Osama è sicuramente debitore
verso personaggi come Nasser, o il Che o anche verso altre figure rivoluzionarie;
lo è nell'ispirazione e nell'abbondante utilizzo di figure retoriche già
espresse dai movimenti di liberazione del secolo scorso; il che però non
può autorizzare a saltare a conclusioni tanto improvvisate quanto infondate,
visto che con costoro il bombarolo miliardario addestrato dalla Cia non ha niente
a che vedere. Dalle parole di Osama si capisce che si ritiene in missione per conto di Dio
e che ha raccolto la sfida della Guerra al Terrore, raggiungendo una perfetta
sintonia con Bush. Osama è il nemico perfetto, che di fronte ad un avversario
efferato, perché gli americani operano in maniera efferata, abbraccia
con calore la guerra senza regole. Senza regole perché è asimmetrica,
perché tutti gli attori ignorano spudoratamente qualsiasi norma di guerra
e legislazione internazionale; senza regole perché ammette esplicitamente
che a pagare il costo delle guerre siano le popolazioni civili; che per Osama
sono bersagli legittimi, mentre per Bush, visto che tutto quello che desidera
è legittimo, i civili uccisi sono "incidenti", "sbagli",
comunque legittimi. Come legittime sono le torture e l'impiego di armi chimiche,
i rapimenti, la presa di ostaggi e le rappresaglie, le tante Guantanamo.
I due principali attori di questa guerra assurda sono entrambi alieni alle convenzioni civili, uccidono con noncuranza migliaia di persone che non sono in guerra, che non possono essere considerate obiettivi militari. In questa guerra muoiono cinquanta civili per ogni combattente, in gran parte uccisi dall'alleanza dei volenterosi. Il numero dei rifugiati o degli IDP (Internal Displaced People- Persone-Spostate-Internamente), dei profughi, è composto da altre centinaia di migliaia di sfortunate vittime innocenti. Morti invisibili. Anche le migliaia di persone che grazie all'Amministrazione hanno respirato i fumi del 9/11, e che moriranno per questo, vengono ignorate, non le hanno nemmeno avvertite. I due pazzoidi dichiarano di frequente che vogliono combattere una guerra sena fine.
Un tale disprezzo per la vita umana, e per quella degli innocenti in particolare, non appartiene agli eroi. Non appartiene ai miti e non appartiene alle caratteristiche per le quali l'umanità ricorda figure mitiche come quella del Che o di altre persone che hanno segnato la storia di interi popoli. L'eroe non può essere quello che decide cinicamente di colpire tutto e tutti, non lo può essere in Occidente, e neanche in Oriente, se non per minoranze culturalmente arretrate o che sfruttano i fanatismi religiosi. Non è un caso che -eroi popolari- come il Che, abbiano combattuto i cleri invece di usarli per i propri fini e non è un caso che a figure del genere non interessasse torturare i prigionieri o sparare sui bambini. L'eroe idealista non merita davvero di essere confuso con macellai come Bush o Bin Laden, sanguinari capetti che usano Dio, la violenza e l'efferatezza per imporre i propri disegni a popolazioni per nulla interessate. Invasati del nulla.
Quello appena uscito negli states è un libro che illustra bene
come siamo caduti in basso, una raccolta delle migliori efferatezze di guerra,
anche di quelle americane, incorniciato da una sviolinata assolutamente infondata,
che assume un po' il tono del venditore di pentole; self-marketing o semplice
esaltazione?
Forse non è un caso che negli Stati Uniti anche la cultura liberal sia
messa tanto male da non cogliere queste sottili differenze, o che si spacci
per cultura liberal iniziative del genere, più inclini al sensazionalismo
che al rigore scientifico e all'onestà intellettuale. Non è onestamente
plausibile esaltare Osama come campione degli oppressi, come non è onesto
dipingere Bush come il campione del mondo libero.
Mettere sullo stesso piano delle icone dei movimenti di liberazione del novecento, i due sanguinari e rozzi leader del ventunesimo secolo, non è solamente scorretto, ma denuncia il livello pietoso della cultura occidentale, ormai piegata da una lunghissima guerra contro l'intelligenza.