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Categoria: Esteri
di mazzetta

Forse ricorderete la foto più diffusa dei torturati di Abu Grahib, quella del poveretto con il cappuccio in testa e i fili elettrici che penzolavano dal corpo messo in posa per le foto ricordo della soldatessa England e del suo amante. Quella foto ha ora il nome di Ali Shalal el Kaissi, un docente iracheno incarcerato e torturato nella casa degli orrori iracheni. Intervistato da Sigfrido Ranucci, che pare l'unico giornalista televisivo italiano capace di fare onestamente il suo lavoro coprendo la vicenda irachena, el Kaissi chiama pesantemente in causa le nostre truppe e le loro responsabilità.
El Kaissi non ricorda solamente il traffico di reperti archeologici praticato dai nostri militari, ma rivela anche che tra i boia in servizio nelle camere di tortura americane, c'erano anche nostri connazionali, secondo lui contractor alle dipendenze di Cagi o Titan, le due società americane che gestiscono il lager, entrambe già al centro di numerose inchieste per abusi e malversazioni economiche. Le due compagnie avrebbero reclutato personale di diverse nazionalità al quale appaltare gli interrogatori e tra questi alcuni italiani. Nell'intervista a Rai news 24, El Kaissi lamenta lo stato pietoso del suo paese e non è neppure troppo risentito verso l'Italia, anche se è determinato a presentare le sue rimostranze per quanta sofferenza contribuiamo a procurare al suo paese. Dice el Kallil: "Noi amiamo il popolo italiano, conosciamo la differenza tra la popolazione civile e chi compie questi gesti, ma questo non ci impedisce di denunciare cosa facevano gli italiani. Il messaggio che voglio dare al popolo italiano è che in Irak la situazione non è assolutamente migliorata, nulla è stato ricostruito".

Mentre tutti si preoccupano della crisi delle vignette e del triste Calderoli, si denuncia quindi che dentro alle carceri irachene, a torturare ed interrogare iracheni spesso innocenti, c'erano anche degli italiani. A detta del sopravvissuto iracheno si tratterebbe di contractor italiani, cioè di italiani non dipendenti dal governo italiano. E che genere di degradanti trattamenti siano in questione ce lo racconta el Kaissi, ma già ce lo avevano descritto benissimo le immagini dei "capri espiatori" sui quali l'amministrazione Usa ha scaricato ogni responsabilità, quasi si trattasse di moderni squartatori che agivano di propria iniziativa.

L'identificazione del nostro paese con i torturatori è ben più dannosa della maglietta di Calderoli. Il governo dovrebbe fare la massima chiarezza su questo punto al più presto, individuando, fermando e punendo quei nostri sconsiderati concittadini che dovessero aver varcato la soglia di Abu Grahib. Ancora una volta abbiamo visto foto e sentito racconti di abusi incivili, di violenze sessuali su uomini e donne, di tortura diffusa e sistematica; non era il passatempo di una coppia di depravati, ma una procedura prevista dai manuali occidentali. La responsabilità di queste procedure pesa come un macigno sul nostro paese e, se dovesse essere provata la presenza di italiani tra i torturatori, l'ipocrisia della missione di pace sarebbe consegnata alla vergogna della storia più di quanto già non sia possibile oggi.

Al testimone iracheno è stato vietato di entrare nel nostro paese con un pretesto, ma la responsabilità del nostro governo nelle torture è già stata ammessa dalla stessa Barbara Contini, che in un servizio passato in sordina al telegiornale, magnificava un nuovo carcere costruito dagli italiani, ammettendo al tempo stesso che nel carcere vicino, non mostrato, succedeva di tutto da mesi. Torture e soprusi che avvenivano sotto gli occhi dell'autorità italiana, indubbiamente, anche se per mano irachena o americana.

Lo stesso testimone di oggi non era stato creduto prima che venissero alla luce le foto ormai tristemente famose, come era stato passato sotto silenzio che gli stessi iracheni avessero bombardato l'ala femminile del carcere per cercare di sottrarre le prigioniere alla vergogna dello stupro e della degradazione da parte dei carcerieri. Ben prima che venissero diffuse le foto, le prigioniere di Abu Grahib chiesero la morte ai parenti fuori dal carcere: la morte era preferibile all'orrore dei portatori di civiltà. L'attacco a colpi di mortaio al carcere, il 20 aprile del 2004, risultò incomprensibile al generale Kimmit che disse: ""Our guys scratch their heads and say, why would they be shelling their own people, killing their own people?" (" I nostri ragazzi si grattavano la testa e si chiedevano: perchè sparano sulla loro stessa gente?"). Adesso lo sappiamo.

E' chiaro che i contractor italiani che dovessero aver operato all'interno di Abu Grahib sarebbero colpevoli di crimini contro l'umanità, oltre ad aver infranto numerose leggi del nostro paese; e non risulterebbero per nulla coperti dall'esenzione dalle accuse del Tribunale Penale Internazionale che gli Usa hanno ottenuto per i propri uomini. Ripetiamo: é urgente che il governo si impegni ad individuare, arrestare e giudicare i cittadini italiani che avessero collaborato alla macelleria organizzata dagli ufficiali agli ordini di Negroponte.
Il nostro paese deve evitare assolutamente di nascondere tale vergogna sotto il tappeto dell'indifferenza ed agire velocemente contro questi criminali che hanno venduto la loro umanità, l'immagine del nostro paese - o quel che ne resta - per qualche dollaro.
Non esiste alcuna scusa che possa essere invocata a favore di quei cittadini italiani che, per denaro, avessero assunto i compiti dei boia e si fossero resi complici di un tale abominio contro la dignità umana. La cattura di questi personaggi deve essere veloce e così il loro giudizio, anche per evitare fenomeni di emulazione e la diffusione legittimante di un fenomeno per nulla positivo, quello dei boia e dei sicari a pagamento. Allo stesso modo devono essere veloci e accurati i giudizi sui nostri soldati già colti a fare contrabbando clandestino di armi e di reperti archeologici, trafficati sotto gli occhi degli stessi carabinieri della Msu.

Non c'è solamente la macchia sulla maglietta di Calderoli da lavare al più presto: se il racconto di El Kaissi dovesse rivelarsi anche solo nei termini generali, ci sarebbero macchie ben più profonde che rischierebbero di restituire un'immagine del nostro paese assolutamente negativa. Troppo simile a una genia di venduti e mercenari e troppo lontana dalla minima moralità che si pretende per una moderna democrazia e un paese che si voglia continuare a definire civile.