di Carlo Benedetti

E' saturo di gas il vento dell'Est. Perché se l'America di Bush si muove per le guerre del petrolio, la Russia di Putin si agita tra giacimenti e gasdotti con la speranza di poter chiudere od aprire i rubinetti presentando il suo volto di nuova e forte potenza energetica. In pratica una riedizione del famoso "generale inverno" che, a suo tempo, piegò i nazisti. Ed è così che l'Europa - rischiando sempre più di battere i denti in seguito ad inattese temperature siberiane - scopre un contenzioso epocale che coinvolge Mosca e Kiev. Con una Russia che produce e distribuisce gas e un'Ucraina che - consentendo il transito dei gasdotti - ne approfitta per "succhiarne" il contenuto, tanto da essere definita dai russi come un moderno "Vampiro". Ma su tutta questa vicenda - che va ben oltre la questione del gas - si apre ora il contenzioso sulla Crimea. Una terra che appartiene all'Ucraina, ma che in realtà è russa al cento per cento come tradizione, storia e realtà dell'altro secolo. E così si snoda - sotto l'influenza politica e geopolitica - questa polemica destinata ad infuocare vecchie passioni. Si affaccia, pertanto, un nuovo orizzonte che potrebbe anche anticipare processi di disgregazione. La storia
Ventisettemila chilometri quadrati, oltre due milioni d'abitanti, clima meridionale, sole e spiagge, centri turistici, frutteti, industria della pesca, porti affacciati sul mar Nero, basi militari. E' la penisola russa della Crimea, unita al continente europeo dall'istmo di Perekop, protesa tra il Mar Nero e il Mar d'Azov, con lo stretto di Ker che la separa dalla penisola di Taman. Una sorta di paradiso terrestre per la Russia pre-rivoluzionaria (che nel 1783 la inglobò nell'Impero curandone lo sviluppo economico e demografico) e per quella sovietica. Terra russa al 67 per cento, russofona all'85 per cento. Tutto bene sino al 1954 quando l'allora capo dell'Urss - Nikita Krusciov - decise autonomamente di "trasferire" la regione dalla sovranità della Russia a quella dell'Ucraina. Fu un vero e proprio regalo (un obolo per suggellare il trecentesimo anniversario dell'alleanza di Kiev con Mosca) che in quei tempi non sollevò polemiche e contrasti. Si viveva tutti in un unico paese - l'Urss, appunto - e non c'erano reali confini nazionali e contrasti tra le varie amministrazioni repubblicane. Solo una sorta di guerra pacifica, di campanile, con i russi che definivano, spregiativamente, gli ucraini con il soprannome di khokhly e che gli ucraini ricambiavano definendo i russi, sempre in modo spregiativo, come katsapy. Nessun contrasto politico o territoriale, nessuna rivendicazione, nessun gioco d'influenze.

Russia o Ucraina? No, per tutti c'era l'Unione Sovietica. E così la mossa volontarista di Krusciov (donatio kruscioviana) accompagnata dai richiami retorici sull'amicizia tra i "popoli fratelli" passò inosservata. Non si andò a stabilire quale fosse il grado di legittimità, quali le strade percorse per arrivare a quella decisione. E, soprattutto, nessuno pensò mai ad un futuro di possibili scontri.

Ma la storia recente ha prodotto ampie fratture tra la nuova Mosca che, passata da capitale dell'Urss a capitale della sola Russia, si è trovata a fare i conti con questioni di geopolitica prima inimmaginabili. In particolare la questione della flotta "sovietica" situata nei porti del mar Nero.

Si è posto il problema della "proprietà": russa o ucraina? E quale status per le città portuali sedi tradizionali della marina sovietica? Russia o Ucraina? Un interrogativo che torna in ogni momento e in ogni situazione. E non vale più, oggi, stabilire quali siano state le colpe dei tre personaggi - il russo Eltsin, l'ucraino Kravciuk, il bielorusso Suskevic - che decisero (in modo autonomo) lo scioglimento dell'Urss senza prevedere i conflitti che sarebbero sorti.

E così la questione della Crimea resta tragicamente aperta ed è divenuta - in seguito alla crisi del gas - motivo di contrasto tra Mosca e Kiev. Lo si è visto nei mesi scorsi quando si è giunti al culmine della crisi accesa dalle decisioni di quel colosso energetico che è il "Gazprom" della Russia; e cioè l'ente che produce e monopolizza il gas portandolo in vari paesi europei, Italia compresa. Sono stati gli uomini di "Gazprom" (collegati direttamente al presidente Putin) a sostenere che l'Ucraina, passata a relazioni economiche interstatali di nuovo tipo e cioè di mercato capitalista, doveva pagare il gas russo a prezzi di mercato. Appunto come un qualsiasi paese occidentale. Kiev, quindi, alla pari con Germania o Italia. E gli ucraini, subito, con vero e proprio sistema levantino hanno dirottato i gasdotti: chiuso i rubinetti verso l'occidente e dirottato il flusso versi le loro terre.

Mosca, il Cremlino, il "Gazprom", si sono così trovati di fronte ad una situazione inedita. E cioè il rispetto degli impegni contrattuali con l'occidente e il dover assicurare agli ucraini un inverno più o meno tiepido. Ne sono seguiti scontri e dibattiti. Ma proprio in questo vortice d'accuse i sostenitori del fronte russo della fermezza hanno deciso di riaprire, in maniera forte, il contenzioso sulla Crimea, facendo appello alla legge, alla legittimità. E avanzando una sorta di teoria dello scambio: gas per l'Ucraina a prezzi contenuti, in cambio della Crimea.

Si può così affermare - senza tanti dubbi - che in pratica c'è stata una decisione politica e diplomatica relativa alla riapertura dell'intero dossier della Crimea che Krusciov aveva invece creduto di seppellire per sempre negli archivi del Pcus e dello stato sovietico.

Ed ecco che una diffusissima ed anche autorevole rivista di Mosca - Argumenty i fakty - riapre i vecchi faldoni della storia diplomatica. Scrivendo che la Crimea non è mai stata regalata. E chiama come testimoni di questa nuova guerra esponenti di varia estrazione politica. "Il trasferimento della Crimea russa all'Ucraina fu deciso da Krusciov - dichiara Egor Ligacev, un esponente di primo piano del Pcus dell'epoca gorbacioviana - senza nessuna discussione e, soprattutto, in aperta violazione delle stesse leggi sovietiche di quel tempo. Non solo: ma non ci furono allora né ragioni politiche né economiche per attuare un gesto di quel genere. Si può affermare che Krusciov si comportò come un signorotto.".
A questa dichiarazione si aggiunge quella di un esponente della nuova generazione della Russia putiniana, Dmitrij Rogosin, leader del partito "Rodina", deputato super votato della Duma: "La decisione del 1954 non deve essere ritenuta legittima".

A queste dichiarazioni la rivista fa seguire un commento che pone una serie d'interrogativi anche sulle prospettive future. E così risulta che negli ambienti del Cremlino c'è chi prevede già seri contrasti all'interno dell'Unione Europea e della stessa Nato in relazione ad una possibile apertura della "questione della Crimea". In particolare le domande sono queste. Come potrà l'Unione Europea accettare che un paese come l'Ucraina dovrà perdere una fetta del suo territorio? E come farà la Nato ad accettare di perdere, eventualmente, basi d'appoggio nel mar Nero?

Intanto la popolazione russa della Crimea pensa ad un rientro nell'ambito della "madrepatria", costringendo Kiev a dar prova di duttilità e di prudenza. Nello stesso tempo le autorità ucraine si trovano a dover reprimere altri movimenti autonomisti o addirittura indipendentisti: in particolare, nelle province russofone dell'Ucraina orientale e soprattutto nella regione del Donec, (che conta il 66,7 per cento di russi e russofoni), in quella di Lugansk (63 per cento) e in quelle di Harkov (47 per cento) e Odessa (46 per cento).

Su tutta questa mole di questioni, infine, pesa la previsione che si fa negli ambienti più influenti della Russia di Putin. Si sostiene infatti - lo rivela Argumenty i fakty - che "non è ancora tardi per ristabilire la realtà della storia". Come dire: la Crimea è non solo russa come popolazione, ma "è" della Russia. Ma nello stesso tempo il Cremlino non può alzare molto la voce. Perché c'è un altro fronte: il Parlamento della Lettonia esige infatti dalla Russia la restituzione di uno spicchio della regione di Pskov, il distretto di Abrenskij.

Geopolitica in movimento. E si scopre così perché Mosca - complice il silenzio occidentale - aveva piazzato negli anni scorsi proprio a Kiev, in qualità di ambasciatore, uno dei suoi uomini più influenti. Quel Viktor Cernomyrdin che fu anche primo ministro dell'Urss e della Russia, esperto navigatore del mondo economico, conservatore moderato e pragmatico, espressione del potente complesso energetico del "Gazprom". E' lui che gestisce la crisi del gas con l'obiettivo, forse, di riportare una fetta di terra alla madre-Russia. E potrebbe essere questo un bel colpo pre-elettorale a favore delle forze che dirigono il Cremlino.

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