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Se il governo non cambia rapidamente strategia, dal prossimo inverno l’Italia rischia di dover razionare il gas, innescando così una nuova recessione. Il pericolo è concreto e a rilevarlo sono esperti del settore come gli analisti di Nomisma Energia, che nessuno può accusare di essere putiniani. Purtroppo però il ministro della Transizione energetica, Roberto Cingolani, non la pensa così: “Già entro quest’anno avremo una buona diversificazione - ha detto la settimana scorsa in un’intervista al Corriere della Sera -  e se tutto va bene entro due o tre anni saremo completamente indipendenti dalla Russia”. Ammesso che questo sia vero, il problema è capire in che condizioni saremo fra due o tre anni.

 

L’Italia è, dopo la Germania, il Paese europeo che importa più gas da Mosca: nel 2021 abbiamo pagato a Putin circa 10 miliardi di euro (contro i 14 di Berlino) per acquistare circa 28-29 miliardi di metri cubi di gas, a fronte di consumi annui complessivi per 76 miliardi. Significa che, al momento, la Russia copre il 38% del nostro fabbisogno.

Ipotizziamo ora lo scenario peggiore: con la scusa della “violazione contrattuale” (quantomai ridicola da parte di chi per primo ha imposto sanzioni) l’Italia, insieme al resto dell’Unione europea, si rifiuta di pagare le forniture in rubli, e Putin chiude completamente i rubinetti. Che succede a quel punto?

Sul momento niente, perché andiamo verso la stagione calda e le scorte sono sufficienti. Con il passare dei mesi, però, la situazione si farebbe ben più seria. Sempre secondo Nomisma Energia, anche se importassimo un po’ di gas liquido dagli Stati Uniti, già durante l’estate potrebbero mancarci fra i 10 e i 12 miliardi di metri cubi; dopodiché, una volta bruciate le riserve, l’inverno porterebbe con sé il razionamento e la recessione. Parliamo della stagione fredda 2022-2023, ben prima dei 2-3 anni che Cingolani (con ottimismo) ritiene necessari per svincolarci del tutto dal gas russo.

Il ministro ostenta tranquillità e sostiene che siamo pronti a fare accordi rapidi con altri Paesi, ma per ora i fatti lo smentiscono. In effetti, le alternative sono due: possiamo comprare il gas sui mercati con acquisti spot - cioè sul momento, volta per volta - pagando prezzi esorbitanti; oppure possiamo stipulare contratti di fornitura con Paesi fornitori. Forse, come dice Cingolani, saremo anche “pronti a siglare accordi”, ma per ora non ne abbiamo firmato neanche uno. Il governo tedesco, invece, ha già chiuso un’intesa con il Qatar per la fornitura di gas liquido (Gnl).

La stessa materia prima ci arriverà in quantità sempre maggiori dagli Stati Uniti (che negli ultimi anni hanno fatto di tutto per evitare l’apertura del gasdotto North Stream 2 fra Russia e Germania). Entro la fine del 2022 gli Usa spediranno in Europa 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto: una quantità miserrima a fronte dei consumi annui europei (circa 430 miliardi di metri cubi, di cui 150 garantiti da Mosca), ma destinata a moltiplicarsi entro il 2030. Per Washington sarà davvero un bell’affare, mentre gli europei subiranno un danno economico notevole, per almeno due ragioni.

Innanzitutto, il prezzo. Bruxelles sta ancora trattando con gli Stati Uniti (il che è curioso, essendo già state annunciate le quantità oggetto dell’accordo), ma di sicuro non sarà un’intesa vantaggiosa per l’Unione, visto che sul mercato il Gnl made in Usa costa circa il 20% più del gas russo.

In secondo luogo, per rendere utilizzabile il gas liquefatto servono i rigassificatori (che non sono oggetti, come molti politici sembrano pensare, ma veri e propri impianti industriali). In Europa, queste infrastrutture sono concentrate nella penisola iberica, ma la Spagna non ha abbastanza gasdotti per far arrivare il Gnl rigassificato nel resto d’Europa.

Tutto questo, com’è ovvio, agli Stati Uniti non interessa. Dal loro punto di vista, la guerra in Ucraina comporta maggiori esportazioni non solo di gas, ma anche di armi, di aerei militari e di tecnologie per la difesa. Il tutto mentre l’Europa aumenta in modo consistente la sua quota di partecipazione alle spese Nato. A conti fatti, vista da Washington, la guerra in Ucraina deve durare il più a lungo possibile.