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Come una zattera verso una cascata, Mps viaggia spedita verso un destino che pare inevitabile ormai da anni: lo spezzatino e la svendita. La settimana scorsa Unicredit ha annunciato l’avvio di una trattativa in esclusiva con il ministero dell’Economia per la possibile acquisizione di una parte del Monte dei Paschi. La Banca milanese ha così accolto l’appello più volte lanciato dal Tesoro, che da tempo ha individuato in Unicredit l’unico interlocutore possibile per disfarsi dell’istituto senese. Il Mef, ricordiamo, controlla il 64% di Montepaschi e si è impegnato con Bruxelles a riprivatizzare il carrozzone toscano entro il 2022.

 

Calendario alla mano, i tempi per portare a termine un’operazione del genere sono ormai abbastanza stretti. L’urgenza, unita alla mancanza di alternative, gioca tutta a favore di Unicredit, che per sobbarcarsi il fardello di Siena ha già posto condizioni capestro. L’amministratore delegato Andrea Orcel, che ha fama di duro negoziatore, non si accontenta di una ricchissima dote dal Tesoro (si parla di oltre sei miliardi di euro). Ha posto anche altri paletti: “Neutralità in termini di capitale, accrescimento significativo dell’utile per azione, protezione dai contenziosi legali ed esclusione dei crediti deteriorati da qualsiasi transazione”.

Ma al di là degli aspetti finanziari e giuridici della possibile operazione, quello che più conta è il perimetro. Anche se decidesse di procedere (e non è detto), Unicredit non comprerebbe mai tutto il Monte dei Paschi: con ogni probabilità, l’interesse si concentrerebbe sulle filiali Mps del Centro-Nord Italia, lasciando fuori dalla transazione la sede centrale e le filiali al Sud.  

La Banca milanese accetterà quindi di portare a termine l’operazione solo se il Tesoro le consentirà di trarne esclusivamente vantaggi, sterilizzando con soldi pubblici tutti i rischi e i problemi connessi a un istituto che da anni è sull’orlo del fallimento.

C’è da scommettere che andrà così, anche perché proprio l’operazione con Montepaschi è il reale obiettivo cui puntavano le due nomine che negli ultimi mesi hanno ridisegnato vertici di Unicredit. Tre mesi fa quella di Orcel, diventato Ceo al posto del francese Jean Pierre Mustier, che aveva progetti molto diversi, puntando a rafforzare ulteriormente le attività oltreconfine di Unicredit (che è già la Banca più internazionalizzata d’Italia). E prima ancora quella di Pier Carlo Padoan, che con una piroetta ben oltre i limiti della decenza ha lasciato il Parlamento per diventare presidente dell’istituto milanese. Proprio lui, che in precedenza - da ministro del Tesoro - aveva lavorato con solerzia per orchestrare la fusione Unicredit-Mps.

A questo punto, non ci rimane che sorbirci il teatrino dei politici che non perdono l’occasione di usare Mps per la propaganda più spiccia. Salvini, Meloni e grillini vari alzano gli scudi contro “lo spezzatino e la svendita” del Monte, ma - come sempre - evitano di suggerire alternative praticabili. Ed è ovvio, visto che non ce ne sono.

Per il punto a cui siamo, al governo si possono fare solo due richieste sensate: che la vendita di Mps avvenga con il massimo della trasparenza e che i lavoratori coinvolti (si parla di 5-6mila esuberi) siano tutelati con gli ammortizzatori sociali e con il fondo esuberi bancari.

Per tutto il resto, ormai, è troppo tardi. Dei 50 istituti comunitari sottoposti ai recenti stress test dell’Autorità bancaria europea (Eba), Montepaschi è risultato il peggiore. E nonostante sia sul mercato da anni, di offerte non ne sono arrivate: l’unico interessamento è quello manifestato la settimana scorsa da Unicredit, che - come abbiamo visto - è parziale e prevede condizioni crudeli.

Quale sarebbe, allora, la soluzione alternativa? La verità è che il tempo scorre e all’Italia rimane meno di un anno e mezzo per risolvere la grana Mps. Se non ci riuscissimo, dovremmo umiliarci chiedendo a Bruxelles una proroga. Ma per fare cosa? Gli aiuti di Stato alle banche sono proibiti: figuriamoci vaneggiare di improponibili carrozzoni bancari pubblici da allestire intorno al Monte con i soldi dei contribuenti. Sarebbe una follia contabile, oltre che un’ingiustizia sociale e un’operazione illegale. Purtroppo, ormai la scelta è fra cedere al ricatto di Unicredit o lasciare che Mps vada in bancarotta.