Pacifisti (intelligenti) nel Comitato di Amministrazione delle industrie delle
armi. Pacifisti che fanno da consulenti ai direttori di banca. E' questo l'invito
lanciato da Giorgio Beretta, della Campagna BANCHE ARMATE, durante il convegno
per i sei anni di attività, sabato scorso a Roma.
La campagna, nata nel 1999 per iniziativa di tre riviste cattoliche (Nigrizia,
Missione Oggi e Mosaico di Pace) e dell'Associazione Finanza Etica, oltre a
tracciare un bilancio del suo operato, chiede alle banche di essere trasparenti
sui loro legami con l'industria delle armi e propone una lettera tipo da inviare
alla propria banca per avere chiarimenti. Non ci sono grandi mezzi, né
testimonial famosi, ma l'idea si diffonde: qualcuno scrive al direttore, qualcuno
chiede un incontro, chi non è soddisfatto chiude il conto e c'è
anche chi festeggia la chiusura del "conto armato", con brindisi e
torta davanti alla filiale della banca. Le banche minimizzano e cercano di tranquillizzare i correntisti: è
tutto legale, non finanziamo l'industria armiera, abbiamo solo un ruolo passivo,
forniamo servizi accessori alle transazioni di export. Ma su quei servizi si
guadagna. "Le banche armate non sono solo quelle che finanziano l'industria
delle armi" ricorda Beretta, "sono anche quelle che offrono servizi
di intermediazione, di appoggio e che su questi servizi prendono delle commissioni".
Il bilancio della campagna, a distanza di sei anni, è positivo. Lo confermano i dati che emergono dalla relazione alla legge 185/90 (la legge che prevede che le operazioni di esportazione di armi siano soggette ad autorizzazione): Unicredit e Banca Intesa, tra i principali sostenitori dell'esportazione di armi nel triennio 1999-2001, hanno ridotto di molto la loro partecipazione e hanno intenzione di non assumere più contratti di questo genere o di adottare criteri più stringenti di selezione. Il Gruppo MPS è uscito definitivamente dal settore, Banca Nazionale del Lavoro ha diminuito negli ultimi due anni la propria partecipazione. Anche Capitalia, uno degli attori principali del settore, ha deciso lo scorso anno di cambiare rotta e di limitare l'assistenza all'industria armiera solo per attività non offensive (radar, carri non armati per trasporto truppe, trasmissione satellitare) e solo nei paesi europei o OCSE.
Non tutte le banche hanno deciso di "disarmare", però. S.
Paolo Imi, per esempio aumenta la partecipazione ad operazioni di esportazioni
di armi nel triennio 2002-2004 e, nonostante il codice di autodisciplina interno
limiterebbe le esportazioni ai paesi NATO o UE, esporta invece anche in Paesi
del Sud del mondo.
Se alcuni istituti escono dal settore, altri invece entrano: è il caso
di Antonveneta e di Banca Popolare di Milano, cosa che ha suscitato
rimostranze, considerato che BPM è socia di Banca Etica e partecipa ad
Etica sgr, la società di gestione del risparmio che promuove prodotti
finanziari trasparenti.
Nel complesso comunque si nota un cambiamento di atteggiamento da parte delle banche, evidenziato anche dalla relazione alla legge 185/90, che presenta come problematica di alta rilevanza l'atteggiamento di buona parte degli istituti bancari che " pur di non essere catalogati fra le cosiddette "banche armate", hanno deciso di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'import o l'export di materiali d'armamento". Questo comporterebbe difficoltà operative per l'industria, costretta ad operare con banche non residenti in Italia, con la conseguenza - secondo il Ministero - di rendere più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario delle operazioni. A questo sarebbe stata trovata una soluzione, non meglio specificata, a livello interministeriale. Peccato non ci fosse l'on. Giuseppe Cossiga, che pure aveva assicurato la sua presenza al convegno, a chiarire meglio problema e soluzione.
Sul successo della campagna BANCHE ARMATE è d'accordo anche Carmine Lamanda, Direttore generale di Capitalia e unico rappresentante del mondo bancario ad aver accettato l'invito degli organizzatori, che ricorda che Capitalia ha ridotto del 65% gli importi delle transazioni legate all'esportazione di armi nel corso del 2005. "Noi vi osserviamo, seguiamo i vostri dibattiti, il Sud del mondo interessa anche noi. Non tutto quello che è legittimo è anche etico e noi cerchiamo di distinguere e di selezionare". Se le banche vogliono davvero entrare nel mondo dell' "etico", che almeno lo facciano bene. Perché non chiamare un pacifista a far parte dei comitati etici? Perché non confrontarsi davvero con chi propone i valori etici e sostiene che cambiare è possibile? Lamanda non raccoglie l'invito.
A fronte di un bilancio positivo, restano però da affrontare questioni
importanti, come quella dell'ampliamento della campagna all'Europa, per l'adozione
di strumenti che vincolino le banche a criteri di trasparenza a livello europeo.
C'è ancora molto da fare.