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di Marco Dugini

La prima Finanziaria del secondo governo Prodi è stata infine varata. D’Alema l’ha definita un parto “miracoloso”, e forse è davvero così, anche se non necessariamente la cosa va intesa con un’accezione positiva. Piuttosto si è trattato di una soluzione condivisa e mediata in extremis, esito per nulla scontato, vista la nota eterogeneità della coalizione unionista, che mette assieme un arco di posizioni che vanno dalla scuola liberista doc a quella neo-keynesiana. Compito difficile venire incontro alle pretese di Confindustria e, insieme, alle richieste e alle pressioni dei sindacati, entrambi in posizione assai guardinga. E così il bambino, anzi la bambina, fragile sul momento, eppure in carne e ossa, aspetta di essere riconosciuta legittima dai suoi tanti padri. Il battesimo non potrà che essere in Parlamento, dove la maggioranza - par di capire- sarà salda anche senza fiducia, tanto che le destre hanno preferito la chiamata alle armi in piazza, anziché in sede parlamentare. Luci e ombre su questa manovra da 33,4 miliardi, di cui solo 4 finanziati con entrate tributarie e il resto con massicci tagli ad enti locali (4 miliardi in meno), sanità (3), apparato statale (12). Luci e ombre su questa manovra da 33,4 miliardi, di cui solo 4 finanziati con entrate tributarie e il resto con massicci tagli ad enti locali (4 miliardi in meno), sanità (3), apparato statale (12).
Di questi 33,4 miliardi, circa 15 serviranno per il risanamento, mentre il resto verrà utilizzato per risorse e sviluppo; come, ancora non è chiaro.
Possiamo dunque dire, con i più apologetici, che questa finanziaria ha un’anima, e quest’anima sta nel suo indirizzo votato alla redistribuzione sociale (per la prima volta dopo tanti anni)? Si e no.

Di luci possiamo parlare in merito alla vittoria spuntata dai sindacati circa gli interventi, che si attendevano drastici, sulla previdenza sociale, cassati da questa Finanziaria insieme alle decisioni sulla riforma delle pensioni, anch’esse rimandate al prossimo anno.
E ancora, sui pesanti tagli all’istruzione l’hanno spuntata i critici della precedente bozza della Finanziaria, davvero antitetica al programma elettorale votato, sulla quale molte allarmanti indiscrezioni erano uscite nei giorni scorsi.
Così come è positiva la reintroduzione dell’imposta sulla successione, l’1,4 miliardi in più dedicati agli assegni familiari, mentre per quanto riguarda il cuneo fiscale (la riduzione del costo del lavoro che andrà per il 60% a vantaggio delle imprese e per il 40% del lavoratore), si è decisa una misura provvisoria fino al 2008: un contrordine rispetto alla passata oratoria pre-elettorale.

Per quanto riguarda la riforma dell’Irpef, le aliquote da quattro diventeranno cinque.
La prima aliquota, per i redditi inferiori ai 15.000 euro, è prevista al 23%; la seconda, che va dai 15.000 ai 28.000 euro è al 27%, al 38% quella tra i 28.000 e i 50.000, al 41% oltre i 55.000 e, infine, al 43% oltre i 75.000 euro.

Qui emerge un primo problema.
Fatto salvo che la fascia di reddito che va dai 26.000 ai 55.000 euro avrà un’effettiva riduzione in fatto di prelievo fiscale dallo Stato, mentre saranno penalizzati i redditi che superano i 55.000 euro, stupisce invece che il più grande incremento della finanziaria prodiana, in relazione all’era del Polo, riguardi proprio i redditi che stanno tra i 15.000 e i 26.000 euro (la cui aliquota passa addirittura dal vecchio 23% al nuovo 27%); tuttavia vanno valutate anche le considerevoli detrazioni riservate in particolare a questa fascia sociale, per effetto della loro misura inversamente proporzionale al reddito.

Chiodo schiaccia chiodo, ma una grande incognita graviterà ugualmente su molte teste - e non solo su quelle appartenenti alla fascia suddetta - e questo a causa dei tagli agli enti locali.
Regioni, comuni e province non ci stanno, lo ha detto chiaro e tondo più e più volte in questi giorni, l’agguerrito Presidente dell’ANCI, Leonardo Domenici.
Allo stato attuale della Finanziaria, considerano “infattibile” la loro missione amministrativa , a meno di non abbattere drasticamente i servizi sociali alla persona o istituire nuovi ticket, quindi tasse. Ne discuteranno già il 5 Ottobre con una seduta straordinaria del Consiglio Nazionale dell’Associazione dei Comuni italiani.
Nel frattempo si sta già parlando di ticket sul pronto soccorso e non è ragionevole credere che queste misure peseranno sulla situazione dei ricchi con lo yacht, che i manifesti di Rifondazione vorrebbero vedere piangere; ad ogni modo tali ticket riguarderanno solo quei casi di pronto soccorso relativi al cosiddetto “codice bianco”: malattie non urgenti, pazienti non critici, o presenza di percorsi sanitari alternativi.

Oltre a questo c’è chi sottolinea che la Finanziaria appena varata permetterà di aumentare le addizionali Irpef, a discrezione dell’ente locale, fino al tetto massimo dello 0,8%, superiore rispetto a quello fissato attualmente (0,5%).

Se dunque lo spirito di redistribuzione sociale che si pretende per questa Finanziaria potrebbe essere in parte neutralizzato, a livello locale, dalle pretese di Regioni e Comuni - a loro volta penalizzate dalle decisioni prese in sede nazionale - pure sull’ormai mitica aliquota redistributiva dedicata ai redditi superiori ai 75.000 euro c’è forse bisogno di sollevare qualche dubbio.
Non tanto per le condizioni di questa fascia sociale, che certo restano privilegiate e non c’è da piangere miseria, quanto per lo spirito di fondo che potrebbe essere sotteso a tale decisione dell’esecutivo.
Non è affatto credibile che gli italiani con reddito superiore ai 70.000 euro siano soltanto il 7% su scala nazionale, come ci dicono alcuni sindacalisti e politici citando statistiche che per forza di cose non possono fare i conti con le storture strutturali di questo Paese.

In realtà, nella dinamica reale delle cose, sono molti di più gli over-70.000, anche se purtroppo in gran parte occulti, e quindi sarebbe bene che l’Unione si ricordasse che l’obiettivo numero uno di un’azione politica realmente riformatrice dovrebbe essere quello di una lotta seria all’evasione fiscale, cioè la cura alla malattia che da molti anni divora sempre di più la ricchezza collettiva.
Se è vero, come ha detto giustamente Padoa Schioppa, che i “ricchi” dovrebbero essere i primi a pagare le esigenze di sviluppo del Paese, in favore delle classi meno abbienti, limitarsi alla sola quota di ricchi o medio-ricchi onesti sarebbe una scorciatoia di scarsa efficacia (pro-futuro) e di dubbia giustizia.
Al contrario potrebbe ulteriormente scoraggiare l’onestà, in favore della “furbizia” e in Italia, allo stato attuale, non ce n’è veramente bisogno.
Ma su questo solo il tempo e i prossimi anni del governo Prodi ci diranno.