di Domenico Melidoro

Tommaso Padoa Schioppa Sarà che quando si parla di politica si ha la memoria corta, che in queste ultime settimane l'attenzione dell'opinione pubblica è stata dominata prima dalle vicende legate agli scandali spregiudicati del dorato mondo del pallone e ora dalle avventure sportive dei Mondiali di Germania, ma le dichiarazioni e le diagnosi del Ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa sulla condizione economico-finanziaria del nostro Paese avrebbero dovuto far riflettere di più e meglio, soprattutto tra gli elettori dell'Unione. Innanzitutto dovrebbe far pensare che le dichiarazioni di Padoa Schioppa sulle rovinose condizioni delle casse dello Stato non sono poi così diverse, nei toni e nella sostanza, da quelle fatte cinque anni or sono da Berlusconi e dai suoi fedeli Ministri, che rinfacciavano ai colleghi della precedente legislatura di aver lasciato in eredità una quantità enorme di debito pubblico, al di là della retorica sul risanamento e sul virtuoso ingresso dell'Italia nella moneta unica. Queste esternazioni dell'esecutivo della CDL che nel quinquennio 2001-2006 ha (mal)governato l'Italia, facevano da preludio a politiche pubbliche conservatrici che hanno ulteriormente ridotto quel che restava dello stato sociale, dopo le cure dimagranti imposte dai risanamenti degli anni Novanta, che non hanno operato per niente sulla redistribuzione della ricchezza. Molti sospettano che il Governo dell'Unione intenda collocarsi nel solco tracciato dai suoi sciagurati predecessori, tradendo pesantemente le aspettative e le speranze di coloro che, col loro voto, hanno espresso il desiderio di voltar pagina.

Padoa Schioppa ha affermato ripetutamente che la situazione economica dell'Italia è simile a quella del 1992, se non addirittura peggiore e chi, come Massimo Riva, conosce bene e apprezza la serietà e la competenza del Ministro, non esita ad affermare che "le dichiarazioni rese da Padoa Schioppa in Parlamento sullo stato della finanza pubblica sono di una gravità solenne" (la Repubblica, 15 giugno 2006). Le preoccupazioni maggiori sono destate dal crescente debito pubblico che, secondo il Ministro (e molti altri prudenti osservatori economici) impone a tutti di "essere economi nelle spese". Non è difficile prevedere - e del resto le prese di posizione dei componenti dell'Esecutivo in proposito sono state inequivocabili - che ci saranno tagli alla spesa pubblica già dalla manovra bis e poi con la Finanziaria successiva. A tentare di placare le proteste e le preoccupazioni manifestate dalla cosiddetta Sinistra radicale e da parti consistenti del Sindacato (in particolare il neo-segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha dichiarato di non rilevare particolari differenze tra questo e il precedente governo ed è convinto che Padoa Schioppa "sembra Maroni: dice di volerci sentire, ma poi decide lui. La concertazione non è questa. Spero che qualcuno riveda questa impostazione", il Tempo, 11 giugno 2006) giungono le rassicurazioni da parte di Giulio Santagata, secondo il quale il governo Prodi "intende allo stesso tempo risanare e sviluppare". Dunque, la cosiddetta politica dei due tempi, quella per cui lo sviluppo, e in particolare le politiche occupazionali, sono secondarie rispetto al risanamento delle casse dello stato, è stata categoricamente esclusa.

Le parole d'ordine dell'azione immediata del Governo sembrano dunque essere "risanamento" ed "equità". Si dice che, se risanamento ha da esserci, visto che l'attuale situazione è considerata insostenibile e non adeguata alle condizioni imposte dai mercati internazionali, esso dovrà essere condotto secondo i criteri dell'equità. I tagli alla spesa pubblica non dovrebbero essere mirati a colpire le fasce più deboli e, inoltre, si promette una rigorosa politica di lotta all'evasione fiscale (che era addirittura giustificata dal precedente Governo Berlusconi) e di tassazione della rendita finanziaria (così ha almeno assicurato D'Alema ad un recente convegno dei giovani di Confindustria). Luca Cordero di Montezemolo, Presidente di Confindustria, non ha fatto mancare il suo parere. Ha dichiarato che quella dei conti pubblici è "una situazione preoccupante che rappresenta, anche per Confindustria, il problema più importante" e ha aggiunto che "non ci può essere crescita senza risanamento dei conti". In particolare, come era prevedibile, Montezemolo ha premuto per ottenere una riduzione "generalizzata e consistente" del costo del lavoro, auspicando che il compito di selezionare le imprese più competitive sia demandato ai meccanismi spontanei del mercato. Intanto, si ritorna da più parti a parlare con sempre più insistenza di "concertazione", con il rischio concreto che questa formula si traduca, come è già successo in passato, in aumenti di profitto per gli industriali e in diminuzione di potere d'acquisto dei salari dei lavoratori.

Mentre si discute animosamente di queste faccende, ci si dilunga in formule che sanno di "politichese" per rimandare (o quantomeno per non irritare il potente alleato d'oltreoceano) il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq. Si danno ordini perché nuovi contingenti di nostri militari vadano in Afghanistan, ci si rende ancora una volta conto del pericolo di condizionamenti moderati ai danni di un reale cambiamento. Ci sarebbe tanto da riflettere sulla flessibilità, che pure il Governo ha intenzione di contrastare in modo vigoroso. Un recente rapporto dell'Osce ripreso da il Manifesto del 14 giugno, ha ribadito che la flessibilità dei rapporti di lavoro non è il mezzo migliore per aumentare il numero degli occupati. "Il lavoro a termine", si legge nel rapporto, "è cresciuto significativamente solo in pochi paesi, come Belgio, Italia, Olanda e Portogallo, mentre è in calo in Irlanda, Spagna, Turchia e Islanda". Proprio l'Italia, tra l'altro a causa della famigerata legge 30, vede peggiorare la propria situazione lavorativa: nel nostro Paese l'occupazione cresce meno che altrove e in più si riscontrano notevoli sperequazioni tra le condizioni lavorative delle diverse regioni. Sono questi i problemi urgenti cui porre rimedio e l'Unione deve confrontarsi su tali problemi, perché è da qui che si cominciano a ricostruire le condizioni di crescita e di sviluppo del nostro Paese.

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