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di Raffaella Angelino

C'è una pubblicità che irrompe di frequente durante le serate passate davanti alla televisione: una donna che acquista un capo d'abbigliamento che costa sempre di più col passare dei secondi. C'è il viso perplesso dell'ignara consumatrice e una voce fuori campo che chiede se si farebbe mai trattare in quel modo da un conto corrente. Le banche, anche attraverso i messaggi promozionali, si fanno il lifting, cercano di ricostruirsi una credibilità fortemente compromessa dagli scandali costati lacrime e sangue ai risparmiatori. Oltre cinquanta miliardi di euro di sudati risparmi andati in fumo, dati alla mano, distrutti in un arco temporale di circa tre anni. Un milione di italiani truffati che ci hanno rimesso la liquidazione, piccoli risparmi di una vita, anziani che hanno varcato la soglia dell'istituto di credito di fiducia con un gruzzoletto di trentamila euro in tasca (quando ancora in Italia si riusciva a risparmiare), alla ricerca di un investimento sicuro di cui potessero beneficiare figli o nipoti, o essi stessi nel caso in cui ne avessero avuto di bisogno, trattati come speculatori, trascinati di peso sulle montagne russe della finanza. Borse piene di risparmi trasformate in sacchi della spazzatura carichi di obbligazioni emesse da paesi emergenti o da società private risultate insolventi, come Cirio e Parmalat. Oggi, grazie anche alle prime sentenze favorevoli ai "risparmiatori traditi", è possibile affermare che non si è trattato di casi sporadici di cittadini magari poco accorti, disattenti o ingenui; bensì vittime di "una scorrettezza di massa", secondo l'opinione delle agguerrite associazioni dei consumatori.

Dietro alla lunga sequela di scandali c'è la regia di un sistema per nulla trasparente, prosperato all'ombra di Palazzo Koch. Non a caso fu proprio l'ex governatore-monarca Antonio Fazio a parlare di "quattro soldi", riferendosi alle perdite subite dai risparmiatori titolari delle ormai note obbligazioni bidone. Dunque, quei "quattro soldi", secondo le stime delle associazioni dei consumatori, nel caso dei bond Cirio ammontano a 1,25 miliardi di euro (sono 35 mila i cittadini coinvolti), mentre 20 sono i miliardi di euro bruciati nel caso del crack Parmalat (145mila i risparmiatori interessati).

Per fortuna di tutti, il vento giudiziario comincia a far sentire la sua forza e, per restare al caso Parmalat, tornato d'attualità in questi giorni con l'interdizione temporanea di Cesare Geronzi dagli incarichi in Capitalia, iniziano a fioccare sentenze che chiamano in causa il sistema del credito. Il tribunale di Catania recentemente ha dato ragione ad una vittima del crack Parmalat, condannando la banca a risarcire l'intera somma investita per "totale nullità dell'ordine d'acquisto delle obbligazioni". La prima sentenza in assoluto sui bond emessi dalla società di Collecchio, è stata emessa meno di un anno fa dal tribunale di Ferrara che ha condannato la banca che aveva rifilato ad una cliente titoli "sicuri e garantiti", evidentemente non troppo.

Vittime reali di Parmalat, uno scandalo ancora tutto da ricostruire e che, dopo tanti anni, riserva ancora colpi di scena. L'ultimo è datato 22 febbraio: con un'ordinanza emessa dal tribunale di Parma che sta indagando sulle vicende Parmatour e Ciappazzi, è stato interdetto dall'esercitare "uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese" il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi. Già negli ultimi mesi del 2005, nell'ambito dell'inchiesta sul crack dell'azienda di Collecchio, la procura emiliana aveva meditato di chiedere l'interdizione ma la richiesta non era mai stata formalizzata. Oggi la misura è stata giustificata dal pericolo di reiterazione del reato. Infatti, oltre che all'indagine sull'affare delle Acque Ciappazzi che Calisto Tanzi acquistò dall'allora Gruppo Ciarrapico dietro la regia - secondo l'accusa - proprio del presidente di Capitalia, dietro la decisione del tribunale c'è l'indagine su alcuni finanziamenti concessi nei primi anni 2000 al gruppo turistico di Tanzi.

Ma non si tratta degli unici guai giudiziari che pendono sulla testa di Geronzi. "La procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia - ha infatti ricordato il giudice alla fine del 195 pagine del provvedimento - ha chiesto il rinvio dell'indagato in relazione al fallimento del Gruppo Italcase-Bertelli (poi Bagaglino); la procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha inviato all'indagato avviso di conclusione delle indagini in relazione alla dichiarazione di insolvenza del Gruppo Cragnotti. Si tratta, come emerge dalle imputazioni, di fatti analoghi a quelli oggetto del presente provvedimento (cioè Parmalat), anch'essi di notevole gravità". Per il giudice ormai Capitalia aveva "occupato" Parmalat: un'operazione "condotta, oltre che con una certa brutalità, inscenando moine davvero ipocrite". Tra le operazioni dolose contestate a Geronzi, che nell'inchiesta è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta e usura, c'è quella di aver indebitato l'azienda di Collecchio attraverso un finanziamento della Banca di Roma per 50 milioni di euro, "affinché la stessa potesse a sua volta erogare un finanziamento ponte al gruppo viaggi" così da impedirne il fallimento.

Tutte le operazioni contestate al re della finanza romana sono comunque servite a provocare la "seppur ritardata dichiarazione di insolvenza del gruppo economico Parmalat-Tanzi, nonché - nel solo 2003 - un aggravamento del dissesto del gruppo turistico per 220 milioni di euro circa e del gruppo Parmalat finanziaria per 3 miliardi di euro circa".
Il finale della vicenda è ancora tutto da scrivere, ma mentre migliaia di risparmiatori attendono ancora giustizia, fa un certo effetto leggere le dichiarazioni del procuratore di Parma, Gerardo Laguardia, che ammette: "Penso che ben più indignati, per il suo modo di interpretare il ruolo di presidente di uno dei più importanti gruppi bancari, siano le migliaia di cittadini che hanno investito i loro soldi in bond Parmalat nel 2003". Che ancora piangono sul latte versato.