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di Raffaele Matteotti

La forza e la potenza dei paesi che nelle epoche si sono imposti alla luce della storia, si sono sempre fondate su una burocrazia efficiente e sul rendiconto preciso che l'amministrazione era in grado di fornire alla guida politica.
Quello di poter disporre di dati affidabili sui quali fondare il governo dei fenomeni politici ed economici è un problema attuale per la Cina, dove il governo centrale riceve solo rapporti edulcorati dalle amministrazioni periferiche, ma anche per gli Stati Uniti.
Negli USA il problema nasce però dai vertici, che dalle statistiche e dalle misurazioni e rendiconti, in questo momento possono trarre solo sconfessioni al loro operato.
Spariscono così i dati sull'inquinamento, che vengono pubblicati solo dopo esser stati "corretti" da uomini distaccati appositamente dai petrolieri presso l'amministrazione; spariscono i controlli e rendiconti contabili sulle spese per la guerra, ormai fuori controllo e, alla stessa maniera, è sparito anche l'annuale rapporto sul terrorismo.
Un rapporto discutibile e discusso, posto che la qualifica di "terrorista" veniva attribuita abbastanza arbitrariamente dall'amministrazione USA, ma la sparizione del quale ha fatto rumore negli ambienti diplomatici. Già l'anno scorso il rapporto, contestato dall'India perché gli attentati "islamici" sul suo territorio non erano calcolati, fu ritardato fin dopo l'elezione presidenziale, e pubblicato con una serie di avvertenze che lo qualificavano praticamente come sbagliato.
Quest'anno il rapporto non ci sarà e basta; troppo scomodo ammettere che gli atti di "terrorismo" sono aumentati, troppo difficile distinguere quali degli attentati in Iraq siano "terroristi" e quali invece azioni di guerriglia, troppo difficile schierarsi e definire gli attentati in Cina, Russia e in altre regioni del mondo come atti criminali o legittime resistenze da parte delle minoranze.
Condoleeza Rice ha quindi tagliato la testa al toro e deciso che il rapporto non uscirà.
Con questa felice decisione la Rice ha però infranto uno dei principi essenziali della gestione dei fenomeni complessi, cioè quello per il quale occorre misurare i fenomeni per comprenderli e per capire se le soluzioni a loro applicate siano o no efficaci.
Nei prossimi giorni Bush, in occasione del discorso sullo stato dell'Unione, griderà che la "guerra globale al terrorismo" continua e che gli USA ed i "volenterosi" alleati la stanno vincendo, senza tuttavia poter esibire alcun dato che sostenga questa opinione.
Un metodo che contraddice qualsiasi principio di corretta gestione, sia imprenditoriale che politica, e che serve solamente a nascondere i dati che testimoniano il fallimento americano sotto il tappeto, e chiedere alle pubbliche opinioni di credere a Bush, come una volta si doveva credere alla "parola di re".
Un metodo che però rende evidenti a tutto il mondo alcune cose: che il governo cerca di nascondere i dati sgraditi; la sua totale incompetenza (testimoniata dall'abbandono delle sane procedure gestionali); un'altrettanto totale confusione burocratica, visto che a questo punto i dati dell'amministrazione USA sono da considerare artefatti fino a prova contraria.

Un altro aspetto poco considerato è che il rapporto è previsto da una legge, che ne impone la stesura, e che l'Amministrazione infrange senza darsi neppure la pena di modificarla, come farebbe un Berlusconi qualunque. Lo stile di Bush è in definitiva abbastanza simile a quello del premier italiano, ma gli americani, in particolare gli editorialisti più accreditati tendono a mal sopportare l'impiego della "parola di re", convinti di essere ancora nella democrazia dei checks and balances. Allo stesso tempo, Bush ha sempre più difficoltà nell'affermare che la guerra al terrorismo evolve positivamente, visto che tutti ricordano benissimo altre sue dichiarazioni sulla guerra in Iraq che era, bontà sua, finita.

Come Berlusconi, Bush demolisce le precauzioni istituzionali e legali poste a controllo dell'operato del potere, ma questa è una strategia miope, capace forse di prolungare l'agonia del suo governo, ma assolutamente pericolosa per i danni che contribuisce ad occultare o a sottostimare, siano la tragica evoluzione della guerra, che il disastro ecologico globale. Ancora oggi il Washington Post (quotidiano dell'establishment spesso complice nella rimozione degli allarmi ambientali) riferisce che gli scienziati non discutono più sul se e sul come si vada verso una catastrofe climatico-ecologica, ma che si esercitano ormai sull'individuare il punto di non-ritorno oltre il quale l'umanità non potrà che cercare di sopravvivere a una catastrofe epocale. Negli stessi giorni Bush sostiene che l'ambiente sarà salvato dai progressi tecnologici delle aziende americane, per le quali non occorre alcuna disciplina, mentre a Davos le elite economiche festeggiano i bilanci rigonfi ballando nel salone del Titanic.

In tutto il mondo assistiamo ormai a quella che C. Lash ha definito la "ribellione delle élite", un fenomeno per il quale i detentori del potere si fanno eversori delle stesse leggi che sono chiamati a far osservare e che rischia di condurre il pianeta alla catastrofe per mano degli avidi liberati da qualsiasi disciplina e dalla morte delle virtù e delle leggi democratiche.
Non c'è da stare allegri.