Stampa
di Fabrizio Casari

Arbitri e designatori, giocatori e procuratori, giornalisti e moviolisti, senza dimenticare banchieri e ministri. Nella generale confusione una cosa appare chiara: la grande ammucchiata di Luciano Moggi non risparmiava nessuna competenza, nessun ruolo e nessuna indecenza per il dominio affaristico e mediatico del mondo pallonaro. Pur non essendo ancora conclusa la vicenda, con tre procure diverse che indagano, alcune cose possono dirsi già chiare.
Alterati se non truccati i risultati delle partite tramite designazioni di arbitri compiacenti e sapientemente orientati; falsati bilanci e quindi destini di società di calcio; alterato se non truccato, il calciomercato, attraverso il ruolo della GEA WORLD, la società monopolista gestita dai figli di Moggi e Geronzi, ma con il ruolo rilevantissimo di Alessandro Moggi, figlio di cotanto padre.
Il rampollo aiutava il papà, che si occupava direttamente di arbitri e banche, di ministri e conti offshore, spostava giocatori, allenatori e decideva persino chi dovesse arrivare in Nazionale, compresa la segretaria dell'allenatore, "perché sennò spiffera tutto". Che poi il figlio dell'allenatore della Nazionale, Marcello Lippi, fosse un collaboratore della Gea, pare che questo cambi poco. Lippi non fa una gran figura: nelle telefonate intercettate Moggi lo definisce "uno che parla solo di fica, barche e pesca", aprendo uno squarcio sulla personalità, i gusti e l'armonia matrimoniale del c.t. della nazionale alla vigilia di un mondiale. Anche il figlio non ne esce benissimo, visto che il suo ruolo nella GEA non pare determinato dalla sua assoluta competenza della materia, quanto dell'indiscutibile parentela con il padre.
Non solo: le mani di Lucianone arrivavano tanto ai vertici federali quanto al pilotaggio delle sentenze, soprattutto quelle aventi per oggetto le attività della GEA. Una società che ha nel suo elenco di assistiti centinaia tra giocatori e allenatori.

Le rivelazioni fatte filtrare dalle Procure di Torino e Napoli sulle intercettazioni telefoniche svelano, anche ai più ciechi e sordi, o meglio i finti ciechi e finti sordi, che la corruzione nel calcio non era e non è un fatto episodico; non rientra cioè nell'aiutino o nella barzelletta sulla sudditanza psicologica, eufemismo ormai ridicolo per definire una realtà fatta di corruzione allo stato puro. Coinvolge ogni comparto, gli addetti ai lavori in campo e fuori, che detto in modo diverso, sono tutti coloro che sul calcio vivono e vivono bene. Non solo: quanto emerge dall'inchiesta testimonia, meglio di ogni dibattito, come la corruzione finalizzata al raggiungimento dei risultati sportivi, non sia un elemento episodico o marginale nel carrozzone - che si vorrebbe comunque sano - del mondo del calcio ma sia, a tutti gli effetti, un Sistema. In questo quadro la corruzione arbitrale è solo un elemento di quel Sistema.
Il quadro d'insieme si compone infatti tanto dell'attività agonistica come di quella relativa ai procuratori sportivi, come di quella - più importante, molto più importante di quello che si crede - dell'attività di comunicazione con la quale si orientano le opinioni e si costruiscono strategie aziendali sul piano dell'immagine.

I giocatori

Proviamo a fare qualche esempio? Proviamo. Un giocatore viene individuato come potenziale talento in un vivaio o in una squadra minore o nel mercato estero. Lo si acquista al prezzo più basso possibile, anche attraverso pressioni dirette sul giocatore affinché giochi male e dica apertamente di voler andar via dalla squadra in cui milita, in modo da ridurre le attese e le conseguenti pretese da parte di chi vende e far così risparmiare chi compra (esempio, il colloquio tra Moggi e Giraudo su Ibrahimovic e tra Moggi e il procuratore di Cannavaro prima dei rispettivi acquisti).
Per i giocatori italiani la vicenda è ancor più interessante. Si valorizza un giocatore attraverso i media, che lo definiranno ogni volta più generosamente della precedente, pronti ad occultare eventuali prestazioni opache. Una volta acquisita una certa notorietà, il giocatore entra - sempre a furor di stampa e con le necessarie pressioni sul Commissario Tecnico della nazionale - nel giro degli azzurri. La conseguenza è che il valore del suo cartellino lievita immediatamente e, quasi sempre, le squadre nelle quali milita cambiano ogni stagione. Quindi ad ogni anno c'è un rinnovo contrattuale dove il procuratore guadagna circa il 15%. Per sostenere richieste o offerte è sempre la stampa accomodante che recita un ruolo importante: articoli dove si esalta Tizio o si sminuisce Caio, analisi in punta di penna sull'assoluta necessità di averlo o sull'inevitabilità della sua cessione, causa magari incompatibilità tecnico-tattica; se serve anche sondaggi tra i lettori-tifosi, interviste a tecnici ed ex giocatori che diranno sempre quello che il giornale sostiene, sia essa la vendita o l'acquisto dei giocatori oggetto delle manovre. Dipende insomma qual'è l'interesse d'arrivo.
A questo punto, una sola cosa è certa: il valore di mercato reale del giocatore è andato a farsi benedire, lo scambio si effettua sulla base di una cifra che è la risultante finale dell'operazione affaristico-mediatica. Non è tutto. Succede che, in alcuni casi, le pressioni che gli allenatori effettuano nei confronti dei loro presidenti per acquistare o vendere questo o quel giocatore, brocco o fenomeno che sia, vedono allenatore e giocatore assistiti proprio dallo stesso procuratore.

I procuratori, del resto, fanno i loro affari: più i giocatori cambiano squadra, più guadagnano e forse, anche certi problemi di spogliatoio, che spingono giocatori a cambiare di frequente squadra, non sono poi così spontanei. Ci guadagnano in due: il giocatore, che rivede verso l'alto il suo ingaggio e il procuratore, che becca la sua brava percentuale sull'operazione. Che poi i bilanci delle società ne risentano, pazienza, si dirà che la colpa è dei Presidenti..
Nel caso in cui il giocatore non si presti ai consigli e suggerimenti che i padroni del calcio propinano, che manifesti aspettative diverse da quelle previste per loro, improvvisamente gioca meno, se c'era esce dal giro dei nazionali e non trova più facilmente collocazione tattica e stampa amica. A quel punto il suo valore scende bruscamente. Ci sono stati casi, anche recenti, di giocatori in orbita GEA e Juventus - ma non solo - che nello spazio di un anno sono esplosi e diventati nazionali, per poi ritrovarli sminuiti, usciti dal giro azzurro e ceduti a squadre minori. Lampante il caso di Miccoli, talento puro esaltato e poi affondato causa dissensi con Moggi.
Le intercettazioni aprono poi, a questo proposito, un altro squarcio sulla cessione di Emerson alla Juventus, per la quale Giraudo sostiene che in assenza di questo SKY non fornirà il contratto sui diritti televisivi alla Roma e lascia qualche serissimo dubbio sull'affaire Cannavaro in ordine al comportamento del "capitano" della nazionale nel suo trasferimento alla Juve via Inter.

La GEA

La General Athletic, viene fondata dai figli di papà, leggasi Andrea Cragnotti, figlio dell'ex presidente fallito della Lazio e da Francesca Tanzi, figlia dell'imprenditore-bancarottiere Calisto Tanzi. All'epoca, i padri erano appunto i rispettivi padroni di Parma e Lazio. Nel 2001 si fonde con la Footbal Management, proprietà di Alessandro Moggi, figlio di Luciano, e Franco Zavaglia. Nacque così la GEA WORLD, tra gli altri di Riccardo Calleri, figlio di Gianmarco, ex presidente di Lazio e Torino. Al momento della fusione Football Management era per il 60% di Alessandro Moggi e il restante 40% apparteneva a Zavaglia. A dividersi invece General Athletic erano Andrea Cragnotti, Chiara Geronzi e Francesca Tanzi, ognuno con il 20% delle quote, mentre il restante 40% era di proprietà della Romafides, fiduciaria del gruppo Capitalia, cioè Geronzi padre.
A completare il quadretto dei famigli appare anche Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco e Davide Lippi, figlio dell'attuale c.t. della Nazionale e, al tempo, allenatore della Juventus.

La GEA WORLD è stata ripetutamente accusata dagli altri procuratori, non solo per la posizione di monopolio ormai assunta, in violazione delle regole e delle norme antitrust, ma anche per "il come" convince giocatori e allenatori a passare nelle sue fila. Come minimo, stando alle testimonianze ed al testo delle telefonate intercettate, si configura il reato di concorrenza sleale con violenza e minacce. E' stata accusata di abusare della sua posizione dominante per influire sui risultati delle partite grazie all'avere tra i suoi tesserati la maggioranza degli atleti in campo. Nel 2002 la Federcalcio aveva deciso di muovere una indagine sulla società, per arrivare a concludere, nove mesi dopo, che la posizione dominante ed il conflitto d'interesse insiti nell'operato della GEA WORLD non esisteva; che la società operava legittimamente e senza commettere violazioni regolamentari. Da ridere a crepapelle. La Federcalcio negava formalmente quello che tutti sapevano sostanzialmente. Ma quali sono gli elementi fondamentali del puzzle che ha deformato completamente il gioco del calcio? Proviamo a vederne alcuni per capire come venivano gestiti.


Gli arbitri

La prima, fondamentale anomalia della loro posizione è che non possiedono una propria federazione d'appartenenza, dipendendo quindi dalla Figc. Da qualche anno sono professionisti e guadagnano cifre discrete. Ma la notorietà ed i guadagni alti arrivano solo quando diventano internazionali, cosa che avviene su proposta dell'organismo federale con l'assenso del designatore. Diventare internazionale significa quindi acquisire fama e prestigio, che porterà guadagni maggiori nell'immediato ed una sicura carriera alla fine dell'attività, attraverso gli organi federali oppure come commentatori in radio e tv, pubbliche o private che siano, con conseguenti cachet, tutt'altro che indifferenti.
Mettersi quindi agli ordini del designatore è decisivo: e se il designatore a sua volta è in combine con dirigenti di squadre, per la transitiva si spiegano arbitraggi scandalosi, che vedono cose - e non vedono cose - che noi umani non potremmo immaginare, forse, ma che vediamo tutti sempre in modo diverso dall'arbitro. Per ridurre il danno si sono fornite alcune scusanti che, ripetute migliaia di volte, hanno contribuito a formare il senso comune: l'arbitro deve giudicare in una frazione di secondo, non ha supporti tecnologici, non è una partita facile, i giocatori non l'aiutano e via sdilinguando. Ma in realtà decidere rapidamente e giustamente è il loro lavoro; vedere tutto il contrario di quello che tutti vedono è qualcos'altro.
Cartellini mirati per non far giocare i migliori contro la Juve, arbitraggi banditeschi rivendicati con allegria nelle telefonate successive al designatore. Le intercettazioni tra Moggi e Pairetto indicano però una particolare attenzione verso alcuni e altrettanta cattiveria verso altri. Forse si può spiegare anche con questo legame incoffessabile un dato imbarazzante per la società bianconera: appartiene infatti alla Juventus, per la quale Moggi chiede arbitri a la carte, il singolare record che la vede come squadra con il maggior numero di falli commessi e il minor numero di ammonizioni ed espulsioni subite. Quel che peggio è che ci tocca pure rivalutare l'arbitro Moreno dei mondiali in Corea, leader del peggio del peggio ma, almeno lui, uno che sbaglia perché incapace, non perché corrotto.
E conferma, pur se indirettamente, la cronica difficoltà della Juventus a vincere nelle coppe europee, dove il designatore, com'è noto, non è Pairetto e dove gli arbitri non possono dirigere le partite delle squadre del loro stesso paese.

Di converso, spiega più di ogni altro tormentone sull'inefficace gestione societaria dell'Inter - leggasi la difficoltà della società milanese di vincere in Italia - dal momento che nessuno dello staff di Via Durini intrattiene relazioni di quella natura con il designatore e, soprattutto, risulta essere la vera ossessione di Moggi, che alla squadra nerazzurra si dedica costantemente per sfavorirne ogni attività, sia sul campo - attraverso gli arbitraggi - sia fuori - attraverso il calciomercato.
E, infine, appaiono più chiare le lamentele di alcuni allenatori e di alcune società, Inter Roma e Bologna in testa, ma non solo, contro alcuni arbitri tra cui Trefoloni e Bertini, De Santis e Dondarini, Rocchi e Tombolini, indicati come "amici" assieme a Pieri e Messina nelle telefonate di Moggi a mezzo mondo. A questi si aggiungono diversi guardalinee, Pisacreta in testa, stando ai materiali raccolti dalle procure di Roma, Napoli e Torino.

I giornalisti

Vero e proprio indotto del sistema calcio, lo scenario giornalistico e mediatico che si muove intorno al mondo pallonaro, determina molto più di quanto a sua volta non sia determinato. Dall'immagine delle società di calcio al calciomercato, dal grado di popolarità di giocatori, dirigenti e allenatori all'esaltazione o affossamento di quelli che non entrano nel carrozzone, nulla è lasciato al caso.
Dalla trasmissione di Biscardi, il vero must del trash pallonarolo, si snoda uno dei tanti livelli d'attenzione di Moggi sui media, ma l'occhio e la mano del "paletta" tocca anche la Rai, trovando complicità interne scandalose nei dirigenti di Rai sport. Scatenati nelle televisioni e nelle radio, nei giornali come nei corridoi, i pennivendoli di area GEA vengono lusingati e premiati, comunque istruiti su quello che devono o non devono dire, mentre quelli che insistono per fare il loro lavoro sono ammoniti o rimossi. L'obiettivo è chiaro: favorire il patto di potere Juventus- Milan che è la destinazione ultima, insieme con il business, dell'operazione. Come già scritto sopra, il metodo si adegua alla professione. Quindi articoli, editoriali, sondaggi,opinioni, tutto quello che serve alla causa della GEA. Esemplare la tecnica: informazioni riservate a pochi, consentendogli così di scrivere o dire prima degli altri cosa sarebbe successo, specie nel calciomercato, argomento tra i più seguiti. Grazie a ciò, ognuno di loro acquistava e rinforzava il credito nelle rispettive redazioni come giornalista sempre ben informato, comunque ben "ammanicato", ragion per cui diventava decisiva la sua collaborazione e sempre più importante avvalersene, anche con qualche sacrificio economico.
Si caratterizzavano in modo diverso: alcuni di questi, come Tosatti e Damascelli, recitavano la parte dei santoni con il naso all'insù, pur essendo sempre schierati a difesa degli equilibri politici dominanti; altri, più in difficoltà con gli argomenti, come Melli, o persino con il lessico, come Biscardi, diventavano noti come commedianti, personaggi buoni per dibattiti da bar, ma per ciò stesso capaci di penetrare a fondo nel non eccellente livello delle discussioni sulla materia. Proprio per la loro scarsa affidabilità divenivano popolari, proprio così determinavano consenso.

I politici

Addirittura i politici, molti peones ma anche qualcuno più importante e - significativamente - i due ministri berlusconiani Pisanu e Siniscalco, sono entrati nell'inchiesta. Se per Pisanu, stando alle intercettazioni pubblicate, si tratta del più becero mercato delle vacche - "sostieni le mie posizioni sulla chiusura degli stadi e aiuta la mia Torres" - chiede Pisanu a Moggi, per Siniscalco le cose sono molto più gravi ed hanno direttamente a che vedere con il lavoro della Guardia di Finanza nell'ambito delle inchieste sulla Juventus e sulla GEA. Siniscalco, peraltro, non era e non è parlamentare, quindi l'apertura di una inchiesta a suo carico dovrebbe essere più rapida, potendo giovarsi dell'assenza delle procedure previste per l'incriminazione dei parlamentari, che invece potrebbero proteggere l'operato di Pisanu. Attendiamo poi di sapere i contenuti del colloquio tra Moggi e Berlusconi a palazzo Grazioli durante la campagna elettorale e di sapere come gli inquirenti interpretino le frasi - intercettate - di Moggi che, parlando con Giraudo, racconta di come "Berlusconi ha già pettinato" il designatore Pairetto. Vedremo.

Qualche conclusione provvisoria

La nomina di Guido Rossi a Commissario straordinario è la prima buona notizia per l'igiene dell'ambiente. E' uomo integerrimo, insensibile agli equilibri sporchi che hanno operato negli ultimi 15 anni nel mondo del pallone. La sostanza è che l'impero che si è fatto sistema era gestito in funzione della supremazia assoluta della Juventus e del Milan nel campionato di calcio. Appare evidente, non solo dalle intercettazioni, il ruolo decisivo di Moggi nel garantire la rielezione di Galliani al vertice della Lega Calcio, alla faccia del macroscopico conflitto d'interessi.
Il dominio assoluto sul sistema era garantito proprio dalla GEA, una sorta di braccio armato della combine. Uno degli obbiettivi fondanti risulta essere quello di tenere lontano dai successi l'Inter di Massimo Moratti. Una squadra così blasonata, con una immagine forte e così diversa da quella di Juventus e Milan, anzi agli antipodi, con risorse economiche straordinarie, un tifo ad alto tasso di capacità di "fare opinione", un Presidente stimato ovunque e da qualsiasi tifoseria e un parco di giocatori di primo livello, non poteva vincere. Perché una sua vittoria non sarebbe stata "unica"; avrebbe aperto quasi sicuramente un ciclo che avrebbe inevitabilmente portato alla modifica, se non allo stravolgimento, degli equilibri di potere, tanto nella Lega e nella Figc, come nella Uefa.
La Lazio, il Verona, anche la Roma, potevano vincere (quattro campionati in 25 anni..) ma erano vittorie che servivano soprattutto a dimostrare l'apparente regolarità del campionato. Se invece fosse toccato all'Inter, come detto sopra, nessuno avrebbe potuto prevederne lo sviluppo futuro, nel surplus di entusiasmo che avrebbe circondato l'ambiente nerazzurro, i successivi investimenti, i risultati d'immagine che avrebbe prodotto la nascita di un alternativo blocco di potere.
Insomma, altro che Moratti il perdente, l'Inter suicida e tutti gli altri tormentoni che costruivano opinione negativa, propedeutica per giustificare altre successive sconfitte. In attesa di sapere cosa effettivamente successe nei particolari, risulta però evidente di come due o tre scudetti siano stati letteralmente scippati all'Inter e, almeno uno, alla Roma.

Emerge, altrettanto chiaramente, la vera natura della Juventus, più simile a Moggi che non allo "stile" dell'Avvocato Agnelli. Che non era un santo e sapeva muoversi con abilità dalla sua posizione di potere all'interno degli organismi federali, di cui la Juve ha fatto parte dal primo giorno della loro esistenza. Ma oggi la Juventus si rivela per quello che è stata, almeno fino a ieri: falso in bilancio, interferenza indebita negli organi del sistema, malversazione e illecita influenza nel mercato dei calciatori, elemento fondamentale dell'alterazione dei risultati sul campo, continuato abuso della posizione determinante nei media tramite la proprietà Fiat e delle altre controllate, vedi Gemina. Per non parlare della vicenda doping, che ha segnato lo scandalo peggiore del calcio più rapidamente affossato. Giocatori reticenti, dirigenti omertosi, responsabili colpevoli definiti incolpevoli. Non mancano nemmeno i colloqui tra Moggi e Lapo Elkann, che si dice disposto a praticare il 23% di sconto e la pronta consegna sulle auto che richiede il suo Direttore generale. Credeva fossero per i senza casa? Dal Consiglio d'amministrazione ai dirigenti medici, dai giocatori ai magazzinieri, pare che trovare qualcuno pulito nell'ambiente Juve sia impresa non facile, la classica ricerca di un ago nel pagliaio. Eppure si tratta di una società gloriosa, che anche senza trucchi e scorrettezze avrebbe potuto vincere. Ma i cui giocatori hanno scelto, tra doping, scommesse, comportamenti illeciti e quant'altro, di collaborare attivamente o no, all'alterazione delle prestazioni sportive.

Le manovre che cominciano a delinearsi per salvarla sono di due tipi: una cerca di spargere su tutte le squadre elementi d'irregolarità, così da definire un "tutti colpevoli". Che al momento di procedere potrebbe significare, alla fine, "nessun colpevole", giacché la colpa è, appunto, generale. Quindi, nell'impossibilità di sopprimere tutto, sanatoria generalizzata per tutti. Lo schema usato per Tangentopoli, insomma. Per ora si affaccia tiepidamente, ma potrebbe trovare ulteriore alimentazione dall'incombere dei mondiali.
L'altro è invece più realistico e si fonda su una mediazione che alla lunga potrebbe risultare insidiosa: dato che risulta impensabile l'assoluzione per la Juventus e la GEA, si potrebbe stabilire la scesa in serie B della squadra, la sospensione per alcuni anni dei personaggi legati a Moggi, la radiazione di altri e penalizzazioni per le altre squadre coinvolte.
Sarebbero entrambe sbagliate: la prima per la sua evidente assurdità, la seconda per l'evidente disparità sia nei confronti di precedenti sanzioni ad altre squadre, molto meno colpevoli della Juve, sia per l'inosservanza delle norme federali e dei reati commessi.
La Juventus deve andare in C2 per responsabilità oggettiva e soggettiva. Moggi - e con lui suo figlio e gli altri attori GEA, devono essere radiati e processati per illecito sportivo e frode sportiva, peculato e corruzione. In attesa di vedere se gli organismi di controllo - vedi Consob - verificheranno eventuali irregolarità o reati commessi dalla Gea nei confronti delle società quotate in Borsa.
I giocatori coinvolti devono essere squalificati a vita. La Lazio deve subire una forte penalizzazione e il suo presidente Lotito, che dalle intercettazioni risulta complice attivo di Moggi, la radiazione dagli organi federali. La Fiorentina e la Roma, invece, visibilmente vittime pur se reticenti, dovrebbero subire penalizzazioni di punti.
Marcello Lippi, Buffon e Cannavaro, non possono rappresentare l'Italia ai mondiali. Meno di questo è impossibile prevedere.
Se davvero si vuole ricominciare dal calcio, il primo dev'essere assestato al marcio.